
Una delle conseguenze dei cambiamenti climatici è l'erosione delle coste. E una delle conseguenze dell'erosione delle coste è la distruzione della biodiversità che le caratterizza. Alcune specie vegetali infatti non riescono a sopravvivere ai cambiamenti e all'avanzamento dell'acqua, rischiando di scomparire.
È il caso – per esempio – delle mangrovie sulle coste australiane. Che sta tuttavia permettendo a dei ricercatori universitari di testare la stampa 3D a supporto delle piante che si trovano nella stessa situazione.
L'erosione delle coste australiane pone purtroppo alcune specie vegetali di fronte a problemi non indifferenti. Alcuni semi non riescono infatti ad affondare le radici a fondo, mettendo a repentaglio la stessa crescita della pianta. La naturale rivegetazione, quindi, è di fatto impossibile: non si può insomma sperare che queste piante costiere si adattino alla nuova situazione (almeno non in tempi brevi: il rischio è di perderle del tutto).
Il programma di ricerca "Regenerating Our Coasts" vuole quindi aiutare queste piante dando loro il giusto supporto, a partire dalle mangrovie, che faticano a mettere radici e a crescere con la forza dovuta.
Si tratta di un progetto multidisciplinare il cui scopo è la restituzione vegetativa naturale.
Uno dei passi più interessanti è l'utilizzo di strutture biodegradabili stampate in 3D a supporto dei semi e dei fusti di mangrovie che possono così appoggiarsi al terreno pur trovandosi una maggiore umidità. I reticoli stampati, infatti, rallentano le maree e il flusso d'acqua sulla costa, permettendo al terriccio di accumularsi con i suoi tempi (terriccio necessario per la crescita delle mangrovie). In questo modo, i ricercatori sono in grado di ricreare i cicli naturali della costa, aiutando concretamente la vegetazione in maniera rispettosa e non stravolgente.
Questi supporti per mangrovie sono prodotti in Olanda attraverso la stampa 3D. Il materiale che li compone è compostabile ed è formato da amido di patata scartato dall'industria alimentare. Di fatto, si tratta di un lattice non tossico che imita le condizioni del terreno costiero, supportando il rafforzamento dei fusti delle piante.
I produttori spiegano che il tempo di degradazione va dai due ai dieci anni, a seconda dell'ecosistema in cui si calano queste strutture e a seconda delle situazioni ambientali. Sono già state utilizzate in Europa e Nord America e ora anche l'Australia le sta testando.