La pianista Antoanela e il suo viaggio di andata e ritorno dalla sordità grazie all’impianto cocleare: “Ora la musica è un linguaggio”

Antoanela Elena Isaiu è una pianista che ha superato la sordità provocata da una rara malattia autoimmune grazie all’impianto cocleare. Oggi, nella giornata Mondiale dell’Udito, Antoanela è tra i protagonisti sul palco dell’Auditorium Rai Arturo Toscanini di Torino per un evento di sensibilizzazione fatto da altri artisti che, come lei, hanno convissuto con la perdita dei suoni.
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Kevin Ben Alì Zinati 3 Marzo 2024
* ultima modifica il 05/03/2024
In collaborazione con Antoanela Elena Isaiu Pianista portatrice di un impianto cocleare

Antoanela e suo marito Christian avevano un rituale segreto. Lei lavorava al conservatorio, lui invece insegnava a scuola e ogni sera, quando tornavano a casa, prendevano un bicchiere di vino e si raccontavano tutte le piccole cose passate nelle rispettive giornate.

Si trattava di un momento magico, che dava serenità alla vita e ne valorizzava la semplicità. Era una di quelle cose che fanno di due persone un nucleo indivisibile.

All’improvviso però questo rito si è rotto. Antoanela e Christian sono arrivati al punto in cui stavano insieme alla sera, lei sorrideva e suo marito ricambiava, ma non potevano comunicare.

“Potevo scrivere ma con carta e penna scrivi l’essenziale, non trasmetti tutto ciò che senti. Ho cominciato ad abitare in un silenzio che non potevo rompere, ed è stato pesante. Un silenzio dovuto a una sordità pressoché totale, che Antoanela Elena Isaiu ha dovuto affrontare a 36 anni a causa della sindrome di Cogan.

Lei è Antoanela Isaiu, mamma e pianista che oggi ha superato la sordità tornado ad esibirsi sul palco grazie all’impianto cocleare.

Si tratta di una malattia rarissima di cui ancora oggi non si sa granché se non che si origina da una reazione autoimmune contro un autoantigene sconosciuto e coinvolge l’occhio e il sistema audio-vestibolare.

Ma il silenzio, per una musicista che ha fatto del pianoforte la propria vita, è stato ancora più devastante. “Che poi, non è un vero e proprio silenzio: è il mondo che ti parla con un suono diverso, impossibile, che ti fa impazzire e non ti lascia dormire di notte”.

Antoanela ha iniziato a studiare note e spartiti in Romania quando aveva 6 anni e il suo talento l’ha presto portata a suonare con i migliori maestri d’orchestra in circolazione e ad abitare il mondo e l’Europa, dall’Italia alla Germania. Poi però è cambiato tutto.

“Mio marito ed io abbiamo una relazione incredibile, siamo migliori amici, parliamo liberamente di qualsiasi cosa e ci amiamo tantissimo e profondamente. È così che ho affrontato la malattia e il successivo intervento per l’impianto cocleare. Antoanela racconta tutto questo dalla parte di là dello schermo di un computer, in un ponte digitale, fatto di parole ed emozioni, tra Milano e Francoforte.

L’occasione della chiacchierata è notevole. Oggi è la Giornata Mondiale dell’Udito e Antoanela è tra le protagoniste del «Sound Sensation – Musica senza Barriere».

Come puoi intuire dal nome, si tratta di un evento culturale in cui, sul palco, artisti di fama internazionale colpiti diverse forme di sordità e portatori di un impianto cocleare mettono sul palco la propria arte per ribadire la necessità di servizi di cura dell’udito accessibili per tutte le persone che ne hanno bisogno.

C’è chi lo fa danzando, chi dando forma alla propria arte visiva e chi, come Antoanela, suonando.

In scena all’Auditorium Rai Arturo Toscanini di Torino, la manifestazione – che offre la piena accessibilità a tutti coloro con un ausilio uditivo attraverso un particolare sistema wi-fi – vuole ricordare anche l’importanza degli strumenti che oggi abbiamo a disposizione, come appunto l’impianto cocleare.

Antoanela ci racconta questo con delicatezza e le sue frasi hanno tutte l’andamento dolce di una melodia. C’è un inizio che ti coinvolge, uno svolgimento centrale dove le emozioni esplodono e una conclusione lineare e ricca di senso.

Lo si sente anche quando con la memoria torna indietro a quella mattina di dieci anni fa, durante la quale ha cominciato a sentire poco e a non identificare più i suoni.

Antoanela si è spaventata al punto che è corsa subito al pronto soccorso di Parma, dove abitava, anche perché non riusciva più nemmeno a stare in piedi.

Una volta visitata, nel giro di poco è stata subito ricoverata perché la situazione era seria. In circa 10 giorni, poi, ha perso completante l’udito.

“Scusami se ti interrompo di nuovo: puoi cambiare un po’ la posizione della camera? Ho bisogno di vedere anche le tue labbra. Ecco, così va meglio, grazie mille”. Mentre risistema gli occhiali sul naso al di là dello schermo, Antoanela nasconde un leggero sorriso imbarazzato dietro la mano.

Poi sospira, lentamente, forse per cercare le parole giuste, come le dita che cadono sui tasti. “Da quel momento in poi è tutto un po’ confuso. Ogni episodio di questo percorso non lo ricordo molto bene per due ragioni. Prima di tutto perché ero spaventatissima. E poi c’è stata un’altra cosa. Sono cominciati anche forti dolori in tutto il corpo, non dormivo e non mangiavo. Sono stati colpiti anche gli occhi. Correvo il rischio di perdere anche la vista”.

Dopo qualche mese la malattia si è stabilizzata ed è stato allora che le hanno parlato dell’impianto. Identico a quello di cui ci avevano raccontato Erika e Kevin, si tratta di una sorta di protesi elettronica, di un organo di senso artificiale capace di mimare il funzionamento della coclea.

Amplificando il suono esterno, l’impianto cocleare lo trasforma in un segnale elettrico e lo trasmette alle poche cellule nervose dell’orecchio ancora funzionanti restituendo così un udito praticamente simile a quello di una persona normoudente.

“All’inizio ho rifiutato l’idea dell’impianto – ha continuato Antoanela – Forse sembrerà strano ma ero sicura che come da un giorno all’altro ho perso l’udito, allo stesso modo sarebbe anche tornato”.

Alla fine, però, si è affidata – e fidata – alla scienza e una volta tornata a casa dall’ospedale si è trovata un piccolo aggeggio elettronico sistemato dietro l’orecchio destro. “Mi sento molto felice e fortunata perché sono nata in un periodo storico nel quale possiamo approfittare di ciò che la medicina e la ricerca ci possono offrire. So che sono iniziate le ricerche per provare a recuperare l’udito attraverso le cellule staminali ma non vale la pena aspettare”.

Aspettare, per Antonaela, avrebbe significato perdersi tante cose, come la voce della sua bambina, Alexandra Iulia, che all'epoca aveva 5 anni. “Sai quella vocina? Hai figli, per caso? Ti racconto: quando sono piccoli sono fantastici, fanno degli sbagli linguistici che ti fanno impazzire. Noi siamo rumeni e passando all’italiano c’erano un sacco di sbagli così ingenui eppure così geniali. Poi ti perdi gli uccelli, il vento, anche quando mangi una mela vuoi sentirlo con tutti i sensi. Sentire il profumo, il gusto ma anche come suona quando la mangi. Perdermi tutto questo era un incubo”.

Mentre Antoanela parla e racconta la sua storia, sopraggiunge un pensiero. Perdere l’udito quando si è bambini è un’ingiusta amputazione delle sfumature della vita, vedersele rubare dopo che le hai assaporate per oltre trent’anni, avendo fatto una vita di suoni e del suono la tua vita, è un cambiamento che ti disorienta nel profondo.

“Quando fai musica come mestiere, questa fa parte della vita, non solo quando studi e vai a scuola ma anche in ogni suo singolo aspetto. Quando leggevo ascoltavo musica classica e ho sempre associato un certo scrittore a una certa musica”. Per rafforzare ancora di più quest’idea, Antoanela suggerisce di leggere Balzac e ascoltare il primo concerto di Brahms, a quel punto forse capiremo di più la parola scritta, dice.

“Sai cosa è cambiato davvero da quando ho perso l’udito? Per la prima volta ho capito che la musica è una forma di terapia. Te lo spiego, ma non so quanto tempo abbiamo”. Quello che vuoi, Antoanela: tutto il tempo che vuoi.

“Quando studi un pezzo è importante rispettare con religiosità ciò che il compositore ha scritto. Se sotto una nota ha messo un «piano» o ha cominciato con un crescendo – continua – lo devi seguire ma da qui in poi arriva finalmente la tua libertà come interprete. Lì cominci a pensare e a immaginare il suono”.

In questo modo, dice, la musica diventa la scialuppa in mezzo all’oceano, il soffio di vento nella vela dell’aquilone. “Facendo così, la musica è diventata una bussola. Mi ha guidato attraverso la perdita di mio padre. Inseguendo un suono ho ritrovato un sentimento. Così ho fatto fuoriuscire un trauma”.

Trascinando all’esterno ciò che tormentava il suo interno, Antoanela ha guardato dritti negli occhi i suoi fantasmi, piccoli o grossi che fossero, i suoi momenti tristi, la sua malattia. Ma non per sfidarli. Mentre suonava, non c’era aria di battaglia.

Attraverso la musica, Antoanela li ha affrontati, li ha capiti e ci ha fatto pace, anche con ciò che la sordità le aveva tolto. “La musica per me ora non è più una carriera ma è un linguaggio”. Per parlare con gli altri, per parlare a se stessa.

Nonostante l’impianto cocleare, Antoanela non può comunque sentire tutto perfettamente. Ancora oggi non riesce ad identificare con precisione i timbri e i colori di un suono.

L’impianto restituisce suoni decisamente più pieni e distinti rispetto a un classico apparecchio acustico ma il risultato non potrà mai essere identico a un udito naturale. “È per questo che ho dovuto imparare tutto daccapo: non solo la tecnica, visto che non ho toccato il pianoforte per un anno. Ho dovuto capire di nuovo come riconoscere il colore dei suoni, perché il pianoforte è un’orchestra”.

La musica cambia, si muove, segue l’evolversi del mondo e plasma nuovi aspetti, forme, personalità. Lo stesso processo avviene per la nostra musica e per il ruolo e il significato che assume nelle nostre vite in continua rivoluzione. Dopo la malattia e un viaggio di andata e ritorno dalla sordità, la musica per Antoanela è diventata qualcos’altro.

Un modo per leggere la vita e interpretarne le melodie, sì, ma non solo. “Fino alla perdita dell’udito mi sentivo una pianista e studiavo fino a quando non sentivo bene ogni passaggio. Oggi faccio l’opposto, parto dai movimenti fino a quando non li sento tutti sciolti, fino a che il corpo non è completamente rilassato e la mia respirazione non è calma. La musica mi ha reso più consapevole del mio corpo e meno perfezionista. Adesso mi interessa solo che suonare mi faccia sentire bene, e se faccio sentire bene anche gli altri è anche meglio”.

Secondo Antoanela, non è azzardato dire che nella malattia, nella sordità, nella riscoperta del suono con l’impianto cocleare ci abbia trovato un’opportunità di cambiamento, anzi no, di evoluzione“In ogni male c’è del bene e questo ti fa andare avanti con grande ottimismo e coraggio”.

Lo stesso coraggio che l’ha aiutata a vincere la paura di attaccarsi un dispositivo alla testa, quel timore irrazionale e inspiegabile di mandare in blocco il cervello e di abituarlo a sentire in maniera artificiale impedendogli quindi di svilupparsi.

“Le cellule dell’udito non si riparano da sole, quindi perché perdere tempo? Anche le persone che non hanno figli hanno una motivazione e devono seguirla. Devi farlo per te stessa, non per gli altri. Io volevo risentire la voce della mia bambina. Avevo il sogno di diventare un esempio per lei. Ora però è cresciuta, ed è una piccola donna molto forte. Oggi sono io che devo imparare da leiconclude Antoanela, con il volto rigato dalle lacrime, e sorridente.

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