La polvere del Sahara che ha invaso mezza Europa fa male alla salute e all’ambiente? Come mai si verifica questo fenomeno che ha colorato di rosso perfino la neve delle nostre Alpi?
Quando parliamo di polvere del Sahara immaginiamo le dune di sabbia dorata del deserto, che a un certo punto il vento solleva portando fino a noi. In realtà non avviene proprio così. La maggior parte delle polveri, così sottili e leggere da riuscire a galleggiare nell’aria per giorni, provengono da vere e proprie depressioni che un tempo, migliaia di anni fa, erano laghi. Che oggi sono prosciugati. La più grande fonte di “pennacchi di polvere” del pianeta è infatti la depressione di Bodélé, il punto di minore altitudine del deserto del Sahara, situata nel Ciad settentrionale. Circa 10 mila anni fa qui c’era un lago. I pennacchi di polvere sono quindi il risultato dell’erosione di rocce causata dal vento che modella il nostro pianeta da sempre.
Un granello di questa polvere è grande circa 20 micron, ma nel corso del suo viaggio, soprattutto quando attraversa gli oceani, riduce le proprie dimensioni fino a 10 micron. Per darti un’idea di quanto è minuscolo pensa che un globulo rosso misura circa 8 micron. Ecco perché la scienza sta cercando di studiare a fondo gli effetti di questo particolato sulla salute umana. Perché queste polveri sono talmente piccole che possono penetrare nei polmoni, infilarsi nei tessuti e nel sangue. Uno studio svolto nel 2020 dall’Università della California ha analizzato il tasso di mortalità infantile nelle zone dell’Africa dove la concentrazione di queste polveri è maggiore. I risultati dicono che all’aumentare della concentrazione di queste polveri, maggiore diventa il rischio di morte dei bambini.
Tuttavia, queste tempeste di polvere in Europa sono parte di un processo naturale. Ci arrivano ogni anno, solitamente tra la primavera e l’autunno grazie ai venti come lo scirocco e il libeccio. Anzi, guai se ciò non avvenisse. Essendo ricchi di ferro e fosforo questi granelli nutrono i nostri ecosistemi. Pensa che il 70% del ferro di cui si nutre la vegetazione marina nel Nord Atlantico proviene proprio dai pennacchi di polvere che si depositano sull’acqua.
Di contro però c’è molta attenzione da parte della scienza su questo evento, in particolare sul modo in cui il cambiamento climatico lo sta influenzando. A preoccupare è la densità di questo strato di polvere che dal XX secolo risulta molto più carico di particolato. Non a caso ce ne siamo accorti tutti – come se una nebbia arancione avesse avvolto le nostre città – e in alcune zone del Paese è stato raccomandato l’uso della mascherina. Da cosa dipende questo aumento della densità?
La comunità scientifica sta cercando risposte. In parte è conseguenza degli effetti del cambiamento climatico: in sostanza se piove di meno in Africa, il territorio è più secco e si accumula più polvere. Un’altra ragione potrebbe essere che il suolo africano sia sempre più sfruttato dall’uomo per uso agricolo. Non è chiaro ancora quali potrebbero essere gli effetti di un maggiore carico di polveri sahariane sulla salute del pianeta e sul clima. Questo perché, a seconda delle zone in cui transitano questi pennacchi, si comportano un po’ come dei termoregolatori. Possono riscaldare o raffreddare il pianeta. Se sono sull’oceano riflettono i raggi solari impedendo al mare di riscaldarsi. Se cadono sulla neve riducono l’effetto albedo, ovvero la capacità della neve di riflettere la luce solare. Assorbendo questa energia aumenta la velocità con cui fonde e questo è un problema per le riserve d’acqua nel corso dell’anno. Contestualmente potrebbe aumentare il rischio di valanghe. Anche se questo effetto è oggetto di studio degli scienziati.