L’acqua contaminata di Fukushima potrebbe essere versata in mare provocando danni anche al Dna umano

Negli anni, in Giappone hanno versato 1,23 milioni di tonnellate di acqua per raffreddare gli impianti nucleari danneggiati dal terremoto del 2011: ora lo spazio di stoccaggio sta finendo, ponendo tutti di fronte a un grave dilemma.
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Gianluca Cedolin 10 Novembre 2020

Sono passati quasi dieci anni dal terremoto di magnitudo 9 (e dal conseguente maremoto) che l'11 marzo 2011 aveva colpito la regione di Tohoku, nel nord del Giappone, provocando, oltre a 15mila morti e a gravissimi danni, il disastro nella centrale nucleare di Fukushima. Una catastrofe classificata con il massimo grado sulla scala Ines (il parametro di valutazione degli incidenti nucleari), il settimo, lo stesso di Chernobyl, capace ancora oggi di creare grossi rischi e problemi. Uno di questi nodi sta venendo al pettine dell'amministrazione giapponese: per raffreddare gli impianti danneggiati dalla catastrofe, la Tokyo electric power company ha pompato decine di migliaia di tonnellate di acqua che, una volta usata, viene immagazzinata in oltre mille serbatoi.

Adesso lo spazio di contenimento sta finendo, ponendo i gestori e il governo giapponese di fronte a un grande dilemma: cosa fare di 1,23 milioni di tonnellate di acqua contaminata? La soluzione individuata da molti, ma contestata da tanti altri, sembra essere quella di rilasciare l'acqua in mare: una decisione che potrebbe essere ufficializzata nel prossimo periodo, con le operazioni che comunque non inizierebbero prima del 2022. Da Greenpeace alle associazioni di pescatori giapponesi, sono arrivate molte critiche a questa eventuale procedura: cerchiamo di capire quali sarebbero i rischi di questo versamento.

Nel processo, l'acqua sarebbe filtrata, con l'estrazione di 62 dei 63 elementi radioattivi presenti: tutti tranne il trizio. Questo isotopo radioattivo dell'idrogeno causa danni all'uomo in dosi molto elevate, anche se l'acqua sarebbe diluita e filtrata in modo da diventare almeno 40 volte meno concentrata prima di essere rilasciata: il tutto durerebbe oltre dieci anni. Secondo un report diffuso il mese scorso da Greenpeace, poi, oltre al trizio l'acqua contiene l'isotopo radioattivo Carbonio-14. Questo viene definito «un contributore alla dose di radiazione umana collettiva», in grado di causare «danni potenziali al Dna umano». Questo isotopo del Carbonio inoltre ha una vita media di oltre 5mila anni, e potrebbe rimanere nell'ambiente per tantissimo tempo, quindi, incorporandosi alla materia vivente (i pesci, per esempio).

E a proposito dei pesci, i pescatori giapponesi, ma anche la Corea del Sud (tra i principali importatori di prodotti ittici nipponici), lamentano il clamoroso danno d'immagine (oltre a quello ambientale) che tale provvedimento potrebbe avere: chi comprerebbe del pesce pescato dove sono state versate migliaia di tonnellate di acqua radioattiva? «Ci opponiamo con tutte le forze al rilascio di acqua contaminata nell'oceano, che potrebbe avere conseguenze catastrofiche sul futuro dell'industria ittica giapponese» ha detto Hiroshi Kishi, il presidente di Jf Zengyoren, una federazione di cooperative ittiche, come riporta la Cnn. La corsa contro il tempo per trovare una soluzione sostenibile continua.