Fiocchi di neve, orsi bianchi con sciarpe rosse attorno al collo, agrifoglio e abeti imbiancati: ma perché le decorazioni di Natale sono quasi tutte a tema polare? Forse non ti sarai mai posto questa domanda, ma, se ci pensi, per il mondo cristiano il 25 dicembre coincide con la nascita di Gesù in Palestina. Insomma, un'immagine lontana dal Babbo Natale che viaggia su una slitta trainata da renne. I simboli che oggi ci sembrano legati indissolubilmente a queste festività si sono diffusi a partire dalla seconda metà dell'Ottocento e provengono sopratutto da Nord Europa e Stati Uniti. Ma nel 2023, in piena crisi climatica, c'è un contrasto che non puoi non aver notato: mentre sorridi alla vista di un pupazzetto di neve finto all'angolo della strada, ti slacci il cappotto perché fa troppo caldo.
Come sappiamo, secondo la tradizione cristiana Gesù è nato in Palestina nell'anno 0. Non tutte le ricostruzioni sono concordi su quale fossero le previsioni del meteo per la famosa notte del 25 dicembre, ma la neve sarebbe da escludere. Nel periodo romano infatti non si verificavano nevicate con particolare frequenza in quell'area, nemmeno a Betlemme, una cittadina che sorge a circa 700 metri sul livello del mare. Eppure, tra qualche giorno inizierai a decorare il tuo abete con fiocchi bianchi, pinguini che pattinano sul ghiaccio e magari qualche biscotto di zenzero, che sa un po' di tisana bevuta davanti al caminetto acceso.
Questa discrepanza geografica trova risposta nelle tradizioni popolari più antiche e di origine pagana. La data del 25 dicembre è stata infatti scelta sulla base delle celebrazioni per il solstizio di inverno molto diffuse tra le popolazioni del Nord Europa e i Saturnali romani in onore del dio Saturno. In entrambe le occasioni si ritrovano alberi decorati. Anche se l'Albero di Natale come lo conosciamo oggi è diventato di moda a partire da metà Ottocento, quando il principe Alberto di Sassonia esporta una tradizione dei nobili tedeschi alla corte della regina Vittoria del Regno Unito, sua moglie.
Anche Babbo Natale ha attraversato diversi Paesi e cambiato spesso nome, ma è negli Stati Uniti che ha assunto le attuali sembianze, più o meno nella prima metà del ‘900, che sono state poi consacrate dalla pubblicità. Per gli americani, questo vecchio signore che porta doni vive al Polo Nord, mentre per l'Europa del Nord la casa ufficiale si troverebbe a Rovanieni, nella Lapponia finlandese. Ovunque abbia fissato la sua residenza, una cosa è certa: il Babbo più famoso del mondo vive tra ghiacci e neve. Non a caso, il suo fidato compagno di avventure è Rudolf, la celebre renna dal naso rosso. E fin qui, l'atmosfera è molto romantica e hygge.
A questo punto della storia, però, subentra l'evento drammatico: la crisi climatica. Sì perché mentre guardi le vetrine con i fiocchi di neve perfettamente disegnati, ti chiedi quando arriveranno le prime nevicate vere in un anno, il 2023, che potrebbe rivelarsi addirittura senza inverno. D'altronde l'inverno precedente si è concluso con un -64% di neve rispetto alla quantità che avremmo dovuto avere alla fine della stagione fredda. Secondo la la Fondazione CIMA (Centro Internazionale di Monitoraggio Ambientale), è stato tra gli inverni più caldi mai registrati.
Le Alpi sono a secco: una ricerca dell'Università di Erlangen-Norimberga pubblicata su Nature Communications ha certificato che tra il 2001 e il 2020 i ghiacciai alpini hanno perso un terzo del loro volume.
E il problema non è solo sulle montagne. I pinguini al Polo Sud presto non sapranno più dove pattinare. A settembre 2023, i ghiacci dell'Antartide hanno toccato il record negativo di estensione: il National Snow and Ice Data Center (NSIDC), istituto americano che fa parte dell'Università del Colorado e diffonde dati sullo stato di salute dei due Poli, ha calcolato un'estensione pari a 16,96 milioni di chilometri quadrati. La più bassa degli ultimi 45 anni. E sempre a settembre, il Cnr ha avviato una spedizione italiana al Polo Nord, dove ha scoperto che "è rimasto pochissimo ghiaccio marino". Oggi orsi polari (senza sciarpa) e 11 diverse specie di pinguini sono a rischio estinzione.
Il trend purtroppo non è in positivo. La notizia peggiore è arrivata forse sabato 18 novembre quando, per la prima volta, abbiamo superato i +2 gradi di temperatura media globale rispetto all'epoca pre-industriale. È stato solo un attimo, ma la World Meteorological Organization ha lanciato subito l'alert: siamo molto lontani dagli Accordi di Parigi.
Ecco, se a guardare le decorazioni di Natale, tra la voglia di festa e la frenesia per i regali avverti anche una leggera malinconia, bè non hai tutti i torti. C'è ancora tanto che possiamo fare, a partire dai piccoli gesti di ogni giorno, per invertire la rotta o quanto meno evitare le conseguenze più drammatiche. Ma forse il primo passo, il più importante, è parlarne. Anche al pranzo di Natale, con quel tuo zio che pensa che sia tutto un complotto costruito ad arte da un piccolo gruppo di multimiliardari che vuole governare il mondo (e che invece già lo fa, pure senza complotti). Anche con quel tuo amico che proprio non capisce perché non dovrebbe acquistare decine e decine di capi fast fashion sui siti di ecommerce. Solo parlandone facciamo entrare di prepotenza questo argomento nel dibattito pubblico, obblighiamo la politica a occuparsene e forse avrà ancora senso appendere i fiocchi di neve all'albero di Natale.
Fonti| Fondazione CIMA; NSIDC; Nature Communications;