“Le materie prime non sono infinite, ma la città può esserne una risorsa”. Intervista all’architetto Mario Cucinella

Il pianeta Terra non ha risorse infinite, ma la città può essere considerata una preziosa miniera di materiali da riciclare. È questo il principio su cui si fonda la realizzazione di “Design with Nature”, l’installazione di Mario Cucinella per la 60esima edizione del Salone del Mobile.
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Gaia Cortese 7 Giugno 2022

La 60esima edizione del Salone del Mobile apre al pubblico oggi e lo fa mettendo al centro di tutto la sostenibilità, il riciclo e il riuso. Tematiche che non possono più passare in secondo piano nel mondo dell'architettura, ma al contrario devono essere discusse e dibattute per un piano concreto nell'ottica di salvaguardare l'ambiente.

Luogo di incontro e confronto sarà l'installazione dell'architetto Mario Cucinella che, al Padiglione 15 del Salone, presenta l'installazione "Design with Nature", una sorta di "ecosistema" di 1.400 mq che scommette tutto sulla socialità ritrovata e su una progettazione che tenga conto dei principi dell'economia circolare, del riuso e del riciclo.

Al Salone del Mobile presenta Design with Nature, un'installazione che ragiona sui temi dell'economia circolare e del riuso. Relativamente a questi temi come si sta comportando l'Italia nell'ambito dell'edilizia?

Dipende un po’ dagli ambiti, perché, per esempio, nell’ambito dell’economia circolare, a livello europeo l’Italia è quella che fa più attività di recupero e di riciclo dei materiali. Quindi da un certo punto di vista oggi c’è un virtuosismo nel mondo delle imprese, soprattutto nel recupero e nel riciclo in tanti settori dell’industria. Nell’ambito dell’architettura è un problema che hanno un po’ tutti i Paesi perché costruire è sempre un’operazione diversa che riciclare i materiali però ci si è ormai affacciati ad un mondo di imprese che stanno lavorando con materiali che vengono dai ricicli rinnovabili.

Anche nel mondo dell'edilizia ci sono la consapevolezza e l’ambizione di riflettere sul quanto l’edilizia pesa sui consumi e sulle emissioni di CO2, quindi si è iniziato a puntare sul legno perché imprigiona la CO2 oppure su finiture che vengono da progetti di riciclo al 100 per cento. Negli ultimi tempi anche il mondo della progettazione e e della produzione guarda non solo alla qualità del prodotto, ma anche al valore etico che ha nei confronti dell’ambiente.

Il risultato è abbastanza positivo, ma di certo c’è ancora molto da fare. Voglio dire che siamo sulla strada giusta, su una strada che non ha un bivio perché quello è il percorso da seguire; oltretutto mi sembra che anche per la pressione degli ultimi anni esercitata dall'Europa sugli obiettivi del 2030 e del 2050, si è comunque creato un mood generale di sensibilità in termini ambientali.

Ovviamente oggi siamo in una fase di transizione, quella che chiamiamo transizione ecologica. Veniamo da un periodo di 250 anni di rivoluzione industriale in cui abbiamo fatto di tutto e di più anche con grande ottimismo; oggi non c’è più quell’ottimismo “felice” di quegli anni perché abbiamo capito che il mondo ha un limite di produzione di materie e non possiamo continuare a consumarlo così. C’è un nuovo ottimismo, come sempre d'altronde deve essere, per cui stiamo trovando nuove soluzioni. Si chiama transizione perché stiamo attraversando un momento di cambiamento, ma ci vuole un po’ di tempo.

Design with Nature di Mario Cucinella Architetcs realizzata al padiglione 15 in occasione della 60° edizione del Salone del Mobile di Milano

Cosa si intende per transizione ecologica e perché è così importante?

Ci si riferisce al passaggio da come si costruiva, si produceva prima e come lo si fa oggi. Oggi c’è molto più attenzione, più legislatura a riguardo e un'Europa che sta cercando di portare il mondo dell’industria e delle città a guardare ad un futuro più sostenibile, ma anche più salubre. Un’aria più pulita in città ha dei riflessi non soltanto sul quotidiano, ma anche sulla salute pubblica quindi stiamo cercando di attraversare questo momento anche per cercare di vivere meglio e avere sempre meno di dipendenza dal petrolio e dal gas, da cui  abbiamo visto in questi giorni quanto siamo ancora dipendenti. Tutto questo ci fa capire anche quanto notevole sia il peso politico sulla questione, perché dipendere da risorse non rinnovabili impone una politica energetica diversa.

Oggi il tema è: quanto tempo ci mettiamo a trovare un'indipendenza, o una non dipendenza, dal petrolio. Al Salone vogliamo comunicare che in realtà questa transizione è già avvenuta o per lo meno sta avvenendo, perché ci sono aziende, designer e progettisti che stanno già lavorando in questa direzione. Ma è solo l’inizio e c’è ancora tanto da fare.

La città può davvero essere un’opportunità per ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente?

La città è prima di tutto la prima causa, questo è il problema. Le città rappresentano circa tra il 2 e il 3 per cento della superficie del pianeta e producono il 70 per cento dell’inquinamento, quindi diciamo che le città sono il problema.

L’azione fatta sulle città per ridurre l’inquinamento, come ridurre il traffico o ridurre l’inquinamento delle caldaie, va nella direzione dove il problema è più intenso. pero abbiamo provato a proporre la questione anche da un altro punto di vista: se la città è già costruita da così tante materie (pietra, legno, vetro, alluminio, ferro…) e la città tende a cambia continuamente perché si demolisce, si ricostruisce, si ristruttura, forse dovremmo guardare a questi cambiamenti come una risorsa da poter riutilizzare.

"La città deve essere vista come un’opportunità, non solo come un problema".

Al posto di buttare via e sprecare, magari recuperiamo, ricicliamo, reinseriamo nel ciclo delle costruzioni almeno una quota parte dei materiali che sono stati oggetto di trasformazione. Ecco perché abbiamo chiamato la città una "miniera": perché dalla città potremmo recuperare una parte delle risorse primarie di cui abbiamo bisogno. La città deve essere vista come un’opportunità, non solo come un problema.

Anche l'ambiente domestico può essere una risorsa?

La casa alla fine è un  po’ il primo tassello del welfare e lo vediamo bene quando il problema della casa diventa un problema sociale. Poter quindi costruire e dare una casa a tutti mi sembra sia uno dei temi più importanti per la politica dei prossimi anni, soprattutto  nelle città o nei Paesi più ricchi a cui non mancano le risorse.

Oltretutto con il Covid abbiamo scoperto quanto la casa sia importante perché adesso la casa è diventata anche un luogo dove poter lavorare e studiare per esempio. La casa diventa così, non solo più un bene ma uno strumento per gestire la vita privata. Così lo smart working ha dato l’opportunità di gestire meglio il proprio tempo, anche dal punto di vista dell’uso della propria casa.

Poi c’è tutto il tema dello spreco. Forse la prima azione che possiamo fare, prima ancora di parlare di riduzione dei consumi, è quella di evitare gli sprechi da quello alimentare  all'abitudine di non riparare più un oggetto danneggiato, ma di buttarlo via.

Avere una certa attitudine verso la sostenibilità diventa quindi imprescindibile.

Cosa si intende per edilizia a impatto zero? E perché la considera un’illusione?

L'ho detto in maniera un po' provocatoria, perché è bello parlare per esempio del km zero  per i prodotti alimentari, ma in verità anche quello si misura su un raggio di 30 km: insomma "impatto zero" è bello da dire, ma non è propriamente così.

C’è un’attitudine a parlare delle cose in maniera molto veloce, un po' superficiale. Perché "impatto zero" è una bellissima parola ma forse la capisco per altri segmenti, non per l'edilizia. Nell'edilizia si costruisce in ferro, alluminio e cemento e sono tutti materiali molto onerosi dal punto di vista delle emissioni di CO2. Per questo parlare di "impatto zero" mi sembra un po’ ottimistico. Possiamo dire che gli edifici impatteranno di meno e che ci sarà sicuramente un’azione di riduzione dell’impatto degli edifici dovuta a processi produttivi più efficienti che consumano meno energia, ma penso che sia poco corretto accanirsi sempre sul mondo dell’edilizia.

Quando costruiamo una scuola non possiamo vederla solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello sociale e culturale, quindi bisogna dare il giusto valore al mondo delle costruzioni, anche perché oggi è importante non pensare di essere già "arrivati", ma che piuttosto abbiamo ancora una buona quota da recuperare e questo deve diventare una sequenza di obiettivi da raggiungere.

Credo sia giusto chiedersi: quanto stiamo migliorando? Quanto stiamo facendo meglio di prima? Quanto margine abbiamo ancora per migliorare? Tutto questo ci aiuta a lavorare nella giusta direzione. Se diciamo che siamo già "arrivati", è un po' come dire che la partita l’abbiamo voluta vincere ancora prima di farla.

Anche perché oggi abbiamo pochi dati sull’impatto degli edifici, non solo per quello che consumano, ma per quanto sono costati in termini energetici e di emissioni per i materiali usati. Questo è il momento di dire le cose con grande verità e serietà, per cui a me interessa dire: "Sono arrivato fino a qui, ma so che ancora devo migliorare, quindi cosa faccio?".

È tutto un processo da portare avanti. Bisogna avere fretta, ma non bisogna bruciare i tempi perché poi finiamo per non avere gli strumenti culturali. Il tema della sostenibilità va al di la degli aspetti più tecnici. Il tema è il cambiamento culturale, ossia l’attitudine di ciascuno di noi verso le cose. Con una visione delle cose "superata" si fa molta fatica ad affrontare dei cambiamenti innovativi, quindi è anche giusto guardare ai giovani, ascoltare cosa hanno da dire, come vedono la transizione ecologica. Questo aspetto è davvero importante.

Il progetto Tecla è però un progetto di abitazione sostenibile ad emissioni quasi zero…

Tecla rompeva un paradigma, ma se dobbiamo fare le cose a impatto zero, a zero emissioni di CO2, non è che ho tante strade davanti. Se costruiscono casa con la terra usando una stampante 3D che ha un costo irrisorio, e questa casa ha una progettazione attenta al clima, quindi non ha bisogno di riscaldamento e raffreddamento, io la risposta all'"impatto zero" te l’ho data, ma non sto dicendo che questa sia la risposta con cui costruiremo il futuro. Ad ogni modo, abbiamo dovuto fare Tecla per spiegare come dobbiamo costruire se vogliamo una casa a impatto zero. Chiaramente è una casa di terra e non posso fare un grattacielo cosi.

In occasione della Cop26 di Glasgow il suo studio ha firmato la lettera aperta ai governi perché venga rispettato il piano di abbassamento di 1,5°C previsto dall'accordo di Parigi. Crede sia un traguardo raggiungibile?

Quello dovremmo poi chiederglielo agli scienziati, noi di fatto sposiamo la causa, ma quel documento era importante da firmare perché lo firmano architetti che sono coinvolti e consapevoli che anche il loro lavoro ha un impatto.

Se guardiamo i dati della crescita di emissioni di Co2 e delle temperature, la tendenza è sempre in aumento e questo ci spiega che non è cosi semplice una trasformazione di questo natura in tempi brevi, da un anno all’altro.

Di fatto l’appuntamento della Cop21, quella di Parigi, dava come limite il 2021 e dal 2022 è nata una procedura di controllo di emissioni di co2 in tutti i Paesi che hanno firmato alla Cop. Quindi da gennaio di quest'anno i Paesi vengono monitorati da un punto di vista scientifico per capire se effettivamente obiettivi e politiche menzionati daranno dei risultati e nell’arco di qualche anno avremo dei dati più precisi. Il mondo della politica è quindi consapevole che che ci sarà qualcuno che valuterà i dati raccolti, ma anche dovessero esserci poi delle sanzioni, va detto che non possono essere risolutrici, perché comunque il vero obiettivo, la riduzione delle emissioni di Co2, non sarebbe comunque raggiunto.

La speranza è che oggi la politica abbia un ruolo importante in questo ambito perché dovrebbe essere una visione che guida un Paese e imporre delle regole. La politica  non deve rinunciare a un ruolo cosi importante come quello della partita ambientale. L’iniziativa privata è un’iniziativa di buona volontà, il desiderio di contribuire a una causa, ma la differenza la fanno i governi.

Lei viene considerato un architetto sostenibile. Si ritrova in questa definizione?

Mi sento un architetto consapevole. Questa è la definizione più giusta, perché bisogna essere consapevoli che maneggiamo una materia che può essere molto pericolosa anche perché ha delle conseguenze sul territorio e sulla vita delle persone. Fare  l’architetto è un atto di responsabilità.

In tema di salvaguardia dell'ambiente quali sono stati i più gravi errori commessi da architetti e progettisti dopo gli anni Sessanta?

In quegli anni i temi attuali non erano nell’agenda ed è stato anche un momento molto particolare: negli anni '60 e '70 si usciva dalla guerra, c’era una crescita importante dell’economia del Paese, c’era anche una grande fiducia nel Paese, nel lavoro e nel futuro. Da qui è nata un'ondata durata trenta, quarant'anni di ottimismo, anche molto speculativo. Qualsiasi cosa costruivi, la vendevi, e non c’era una consapevolezza ambientale, ma più un desiderio di crescere e di aumentare la qualità della vita di una fascia di popolazione che usciva dalla povertà.

L'Italia dopo la guerra era un paese contadino che dal mondo rurale entrava in quello urbano, ed è stato tutto visto in chiave positiva. Il problema è che quella crescita è durata troppo a lungo, senza consapevolezza.

Negli anni novanta e duemila i temi ambientali erano già stati messi sul tavolo da altri Paesi come la Germania, la Francia, l’Inghilterra. In Italia c'è stato un certo ritardo soprattutto dal punto di vista della politica: basti pensare che non abbiamo un partito dei Verdi significativo, ma ancora marginale, mentre in Germania hanno una rappresentanza nel parlamento che a noi manca e questa mancanza la paghiamo un po'.

Eppure nel nostro Paese questi temi sono sempre stati all’ordine dell’agenda italiana, perché la nostra è una civiltà contadina, abbiamo una storia green molto forte ma non siamo riusciti a trasformarla in un movimento politico che difendesse questa cultura.

Ci siamo innamorati di una cultura troppo industriale e moderna, quando invece questo è un Paese che ha una cultura rurale di grande qualità e oggi lo si vede anche dal fatto che abbiamo il più alto numero  di prodotti certificati agricoli. Quando è finita quell’onda, quella sbronza negli anni novanta abbiamo scoperto che il nostro territorio ha più ricchezze degli altri e abbiamo riscoperto le origini di diversità ecologica del Paese, un ecosistema ricchissimo su cui dobbiamo puntare per difenderlo e per consolidarlo.

Si può costruire meglio? E come?

Si può. Ci sono materiali nell’edilizia che vengono appunto dal riciclo: cementi che hanno il 30 per cento del cemento riciclato, numerose costruzioni in legno che riducono le emissioni di co2 o ancora materiali che vengono dal mondo del ferro che non sono estratti dai minerali, ma riciclati. Oggi chi costruisce non può non avere nell’agenda questi temi perché c’è un mercato che è attentissimo. Sempre più materiali di finitura provengono dalle filiere rinnovabili, quindi se vogliamo costruire meglio, oggi possiamo costruire meglio.

Photo Credits: Giovanni De Sandre, courtesy Mario Cucinella Architects