L’Indonesia blocca le esportazioni di carbone, ma è un segnale che la domanda globale continua a crescere

Nonostante gli impegni della Cop26, nel 2021 la crescita economica globale è stata sostenuta soprattutto dal carbone, con un aumento del 6% della domanda. Ne consumano in misura maggiore Cina e India, ma anche in Europa diversi Paesi ne hanno aumentato la produzione per far fronte alla crisi energetica. L’Italia a dicembre ha rimesso in funzione 2 centrali, sebbene sia stato solo per una ventina di giorni.
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Giulia Dallagiovanna 5 Gennaio 2022

È notizia di pochi giorni fa: il governo indonesiano ha bloccato le esportazioni di carbone almeno per tutto il mese di gennaio. Ma c'è poco da stare allegri. Non è il segnale di una svolta green, bensì la conferma che la transizione ecologica procede a singhiozzo e che gli impegni presi durante la Cop26 sembrano già offuscarsi. Nel 2021 la domanda di carbone è aumentata del 6% a livello globale e per il 2022 si teme di superare addirittura il picco dell'inverno 2013-14. Lo scenario dipinto dal rapporto Coal 2021, a cura dell'Agenzia internazionale dell’energia (Iea), è credibile soprattutto a fronte della crisi energetica che sta investendo il settore produttivo e provocando black out negli impianti industriali di diversi Paesi del mondo, tra cui Cina e Germania. Ed ecco perché l'Indonesia, uno dei maggiori esportatori, ha chiuso i battenti: per timore di non averne abbastanza per sé. L'Italia intanto ha rimesso in funzione due centrali, anche se solo per pochi giorni.

Cosa succede in Indonesia

L'Indonesia, da sola, fornisce la maggior parte del carbone che viene bruciato nelle centrali elettriche di Paesi come Cina, India, Giappone e Corea del Sud. Ma vende anche all'Europa, tanto che in Italia risulta essere la quarta area di importazione di questo combustibile. Allo stesso tempo, ne utilizza parecchio, fino a coprire il 60% di tutta la produzione energetica interna.

Per non rischiare di rimanere a corto di scorte, le aziende che lo estraggono sono obbligate per legge a cedere il 25% della loro produzione alla società energetica statale (Perusahaan Listrik Negara, PLN), a prezzo ridotto rispetto a quello di mercato. Tuttavia diverse di loro non hanno mantenuto gli impegni presi e al 1 gennaio 2022, solo l'1% del totale risultava effettivamente consegnato. Per timore di black out estesi, il governo ha quindi deciso di interrompere le esportazioni all'estero. Lo farà per un arco di tempo non ancora definito, ma che dovrebbe essere comunicato proprio oggi.

La domanda di carbone

Tra il 2018 e il 2020, il mondo sembrava voler rinunciare al carbone: la produzione di energia da questa fonte fossile era diminuita del 7% (circa 500 tonnellate in meno) in tre anni. Il 2020 poi era stato particolarmente negativo, con una domanda in calo del 5% rispetto al 2019, che si era già concluso con un meno 1,8%. Le cifre erano riportate nel rapporto Coal 2020, sempre a cura della IEA, un'organizzazione intergovernativa di cui fanno parte 30 Paesi come Australia, Canada, Stati Uniti e anche Italia.

Nel 2021 la produzione di energia dal carbone è aumentata del 9%

A partire dal 2021 il trend si invertito di colpo. Molto ha fatto la necessità di una ripresa economica dopo il Covid, con una domanda di elettricità in costante crescita. Un'altra spallata è arrivata dal prezzo di rinnovabili e gas, non competitivo con un combustibile economico e ad alta resa quale è il carbone. E così, in un solo anno la produzione di energia da questa fonte è aumentata del 9% a livello globale.

Chi ne consuma di più

Il Paese che più di tutti è dipendente dal carbone è la Cina, che nel 2020 ha assorbito più o meno la metà del consumo mondiale. Il 57-60% dell'energia prodotta dalla seconda economia del mondo viene ottenuta grazie a questa fonte. Tanto per fare un paragone, la media europa si aggira attorno all'11%.

Ma da almeno tre o quattro mesi, l'approvvigionamento energetico è entrato in crisi, al punto che nemmeno le quote di gas naturale importato sembrano riuscire a far fronte alla carenza di elettricità. La rete energetica e il modello di produzione dell'energia sono ancora troppo poco flessbili per integrare in modo convincente le fonti rinnovabili e l'imponente sviluppo industriale del Paese ha rischiato di rimanere senza carburante. Da qui la decisione di aumentare la produzione di carbone, riaprendo anche centrali in dismissione.

Puntare il dito unicamente contro la Cina, però, sarebbe sbagliato. Il più grande aumento della domanda, pari addirittura al 12%, è stato registrato dall'India, che non a caso alla Cop26 si era battuta per il cambio di verbo sulla questione decarbonizzazione: da phase out ("eliminare") a phase down ("ridurre") entro metà secolo, come riporta il testo definitivo degli accordi. Il Paese è quarto al mondo per numero di miniere, secondo per quantità di prodotto importato e dipendente quasi al 70% da questo combustibile per il suo approvvigionamento energetico. Ma l'aumento dei prezzi delle importazioni e fenomeni metereologici come le violenti piogge monsoniche che rendono inutilizzabili alcuni giacimenti, hanno portato New Dehli e altre grandi città sull'orlo della crisi. E proprio come in Cina, la riposta sta nell'aumento della produzione interna.

Spostandoci in Europa, nemmeno noi stiamo andando forte sul passaggio alle rinnovabili. La Germania, ad esempio, sembra essere green solo sulla carta. A ottobre anche lei ha risentito della crisi energetica, con diversi black out soprattutto in aree di Baviera, Sassonia e Renania-Vesfalia. Come in Italia, anche qui i rincari sulla bolletta si sono fatti sentire, con aumenti che hanno già toccato il 25%. Così, il Paese fatica a staccarsi dal carbone come prima fonte energetica e anzi nel 2021 i combustibili fossili sono arrivati a coprire il 56% del fabbisogno nazionale.

L'Italia e il carbone

L'Italia ottiene dal carbone solo il 9,8% della sua produzione energetica. Fattore che ci pone in vantaggio nel percorso verso l'abbandono di questa fonte fossile. Percorso al quale noi abbiamo fissato una scadenza piuttosto ravvicinata: il 2025. Il phase out in effetti era iniziato già a partire dal 2019, con centrali come quelle di Fusina e Civitavecchia che producono sempre meno.

Dal 2 al 21 dicembre l'Italia ha rimesso in funzione due centrali a carbone

Ma nei primi giorni di dicembre, La Spezia e Monfalcone (in provincia di Gorizia) sono tornate in funzione interrompendo bruscamente la loro riconversione a metano. Oggi sono già spente: l'interruttore è di nuovo sull'off dal 21 dicembre, poco prima di Natale. Questo episodio tuttavia ha messo in chiaro come non siamo ancora capaci di liberarci del tutto dal carbone.

Allo stesso tempo, ne importiamo una quantità che solo nel 2020 è stata pari a 6 milioni di tonnellate. Ci riforniamo soprattutto da Russia, Stati Uniti, Indonesia e Colombia. Quest'ultimo Paese ospita il Cerrejón, una delle più grandi miniere a cielo aperto del mondo. L'estrazione qui contribuisce in modo cospiscuo a deforestazione, distruzione delle comunità indigene e inquinamento di aria e di acqua.

Il futuro è a carbone?

Alla Cop26, tutti i Paesi partecipanti hanno promesso che no, il futuro non sarà a carbone. Quanto meno, non nel lungo termine. Ma dalle parole ai fatti, il percorso è lungo e pieno di ostacoli e quello che è successo negli ultimi mesi ne è la conferma. Cina e India hanno già dichiarato che non intendono ridurre le proprie emissioni prima del 2030, dopodiché si vedrà.

Nel frattempo la Cina ha varato la cosiddetta struttura N+1, una serie di documenti che dovranno disciplinare l'approccio tecnico, legale e burocratico del sistema produttivo del Paese sia al raggiungimento della massima quota di emissioni, sia alla progressiva decarbonizzazione e transizione energetica. Al momento, però, non sono indicati target da raggiungere per quanto riguarda i livelli di consumo del carbone e quindi l'obiettivo primario è proprio quello di creare di una struttura che possa reggere l'abbandono di questo combustibile senza pesare sulla crescita economica.

L'Europa ha varato il suo Green Deal e sembra voler marciare a passo deciso verso la transizione ecologica. Intanto, però, come abbiamo visto rimangono ancora Paesi dipendenti dal carbone che non sembrano essere in grado di invertire la rotta. Arrivando in Italia, la Legge di Bilancio 2022 ha destinato 150 milioni di euro alla transizione industriale, che vanno a sommarsi al 46% complessivo dei fondi del Pnrr che verrà assegnato alla riconversione green. Eppure, quando a dicembre è arrivato il freddo, il prezzo del gas ha iniziato a salire e le centrali nucleari francesi sono state costrette a una chiusura improvvisa, abbiamo subito rivolto lo sguardo verso il carbone.