
È un dato di fatto, l'emergenza Covid-19 ci ha fatto (ri)scoprire il lavoro agile, meglio noto con il termine inglese smart working. Come in tutte le cose, ci sono i pro e i contro. Sicuramente tra i primi mettiamo i benefici dal punto di vista ambientale, ovvero il risparmio in termini di emissioni di anidride carbonica dovuto soprattutto alla riduzione degli spostamenti casa-ufficio. Ma se lo smart working diventasse una pratica consolidata anche in futuro, è possibile quantificare tale beneficio?
È quello che ha provato a fare un nuovo studio di Carbon Trust, associazione senza scopo di lucro istituita nel 2001 per aiutare governi, aziende e organizzazioni a ridurre il loro impatto ambientale, e commissionato dal Vodafone Institute for Society and Communication.
Nel report "Homeworking", condotto in cinque Paesi dell'Unione Europea (Repubblica Ceca, Germania, Italia, Spagna, Svezia) e nel Regno Unito, viene presa in considerazione la quantità di emissioni di carbonio risparmiate grazie al lavoro da remoto prima, durante e dopo la pandemia e vengono fornite proiezioni sulla quantità di CO2 equivalente che sarà possibile risparmiare nel futuro post-emergenza con un impiego maggiore dello smart working rispetto al passato, analizzando le emissioni legate al pendolarismo e alla presenza in ufficio.
Ebbene, si calcola che, per ogni persona che lavora in modalità agile in Italia, il risparmio sarebbe equivalente a oltre una tonnellata (1.055 chilogrammi) di C02, una quantità pari a quella emessa da più di sette voli da Londra a Berlino. In generale, attraverso il ricorso il ricorso allo smart working potremmo evitare emissioni fino a 8,7 megatonnellate di Co2 all'anno (l'equivalente di circa 60 milioni di voli Londra-Berlino). Non male, vero? Molte aziende lo hanno ormai capito: questo è il futuro. Magari due giorni a settimana, anziché riempire i vagoni della metropolitana o rimanere intasati nel traffico nelle ore di punta, i dipendenti potranno (o dovranno) lavorare da casa. E l'ambiente ringrazia.