L’Ue dà 200 milioni al giorno alla Russia per acquistare il petrolio e l’Italia ne ha quadruplicato le importazioni

Nonostante le sanzioni, l’Unione europea continua a importare combustibii fossili dalla Russia e di conseguenza a finanziare il Paese che sta invadendo l’Ucraina. La denuncia arriva da Greenpeace, mentre secondo i dati della società di analisi Kpler l’Italia l’export di petrolio verso l’Italia è quadruplicato rispetto a febbraio.
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Giulia Dallagiovanna 28 Maggio 2022

Abbiamo ripetuto già diverse volte che la guerra in Ucraina è strettamente intrecciata alla nostra dipendenza dai combustibili fossili. Gli ultimi dati raccolti da Kpler, società di raccolta dati sulle materie prime, uniti a quelli di un'indagine di Greenpeace mostrano un quadro in cui, a lato delle sanzioni, l'Unione europea continua a finanziare la Russia attraverso il petrolio che importa dal Paese. Sarebbero 200 milioni quelli che Putin incassa ogni giorno attraverso l'export di una materia prima altamente inquinante. E l'Italia è in prima fila tra i compratori, avendo addirittura quadruplicato le importazioni rispetto a febbraio.

Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace, parla di "atteggiamento ipocrita dell'Unione europea", che da un lato condanna l'invasione da parte della Russia e impone sanzioni economiche, mentre dall'altro continua a finanziare il Paese (e di conseguenza la guerra) comprando petrolio e gas. "L'embargo al petrolio russo non è ancora iniziato – prosegue, – ma la situazione è curiosa: c'è stata sì una contrazione dell'import in Europa che si attesta attorno a un milione di tonnellate al giorno, ma nel frattempo in Italia le importazioni sono raddoppiate. Oggi importiamo 450mila tonnellate al giorno".

Ma perché? Cos'è cambiato rispetto a prima della guerra e come mai abbiamo incrementato le importazioni proprio adesso?

La prima ragione è da ricercarsi nella più moderna raffineria d'Italia, la Isab di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa. Da qualche anno il proprietario è una societò svizzera, la Litasco, che a sua volta fa parte di Lukoil, il colosso russo del petrolio. La Isab si è vista tagliare ogni possibilità di finanziamento dalle banche, preoccupate dalle possibili sanzioni, e di conseguenze ora può acquistare il greggio solo dalla Lukoil stessa. In caso di embargo sul petrolio russo, ad esempio, "in considerazione dell'impatto sulla sicurezza energetica e i posti di lavoro, potrebbe essere necessario procedere a una temporanea nazionalizzazione di questi asset", ha spiegato al Financial Times Simone Tagliapietra, esperto del think-tank Bruegel.

Un altro motivo ha invece a che fare con il porto di Trieste e il suo ruolo da cancello d'ingresso verso il resto d'Europa. Nello specifico, per questa città passa la Transalpine Pipeline, un oleodotto lungo 753 chilometri, che riceve il greggio direttamente dalle petroliere e lo porta fino alle raffinerie tedesche di Baviera e Baden-Württemberg. Anche qui c'è un azionista russo, Rosneft, che detiene la maggioranza relativa.

Greenpeace intanto ha dato il via a una protesta provando, con le sue navi, a intercettare le grandi petroliere russe che si dirigono verso l'UE e impedire lo sbarco del petrolio. Postazioni degli attivisti si possono trovare anche in Sicilia e a Trieste. La battaglia di Davide contro Golia.

Intanto siamo ancora alle dipendenze di combustibili fossili che ogni giorno si rivelano problematici per l'ambiente e per questioni etiche. "La proposta dell'embargo al petrolio russo, oltre a essere lenta, è soprattutto curiosa perché di fatto dice che dobbiamo andare a cercare questo petrolio da qualche altra parte", fa notare Giannì. Si perché invece che impegnarci per capire come cambiare la merce, ci limitiamo a cambiare fornitore. In questo caso, un primo passo importante sarebbe investire in veicoli elettrici, dal momento che per il 70% dipendono invece dal greggio russo. Greenpeace propone inoltre di vietare i voli a corto raggio, di ridurre ulteriormente i limiti di velocità, di rendere il traporto pubblico più economico e accessibile e di incentivare lo smart working.