L’Ungheria dice basta agli allevamenti di animali da pelliccia (ma non a tutti) dopo i casi di coronavirus nei visoni

Il governo ungherese ha scelto la via della prevenzione per tutelare sia l’uomo che gli animali, imponendo il divieto di allevare visoni, volpi, puzzole e nutrie, dai quali vengono ottenute poi le pellicce. Il provvedimento lascia però qualche perplessità poiché non include i cincillà, presenti in molti allevamenti in Ungheria.
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Alessandro Bai 30 Novembre 2020

L'Ungheria ha deciso di vietare gli allevamenti di animali da pelliccia sul proprio territorio. Ma come si è arrivati a questa decisione? Sicuramente nelle ultime settimane avrai sentito parlare dei tanti casi di coronavirus registrati negli allevamenti di visoni in più Paesi europei, Italia compresa. In questi luoghi, infatti, il virus responsabile del Covid-19 è stato introdotto dall'uomo e, una volta compiuto il salto di specie, è stato soggetto a una mutazione che rappresenta una seria minaccia per la salute pubblica, dato che anche i vaccini, che sono ormai prossimi alla distribuzione, potrebbero risultare inefficace contro questa nuova versione mutata del SARS-CoV-2.

Ecco quindi che il governo ungherese ha scelto di muoversi in anticipo: con un decreto firmato il 24 novembre ha imposto il divieto di allevare non solo i visoni, ma anche volpi, puzzole e nutrie, ovvero tutti quegli animali che vengono sfruttati per ottenere le pellicce. Va detto che, contrariamente ai visoni, queste ultime 3 specie non erano allevate in Ungheria, ma la decisione è stata presa a scopo preventivo, per evitare che qualche allevatore estero possa decidere di spostare le proprie attività nel Paese.

Il provvedimento, tuttavia, non include al momento i cincillà, che in Ungheria continuano ad essere presenti in numerosi allevamenti. Ci si attende quindi che il governo si muova in questo senso, per porre fine anche allo sfruttamento di questi animali, come richiesto a gran voce anche dall'associazione Humane Society International, dato che esattamente come le altre specie anche i cincillà potrebbero contribuire a diffondere il coronavirus.

Il divieto dell'Ungheria sembra essere innanzitutto una mossa dettata dal buon senso, fondamentale per proteggere tanto gli animali quanto gli esseri umani. Dopo le prime segnalazioni in Danimarca, infatti, diversi casi di contagio nei visoni sono stati registrati anche in Francia e in Italia: il diffondersi del virus, oltre a rappresentare un pericolo per l'uomo, fa sì che moltissimi animali debbano essere abbattuti, una crudeltà che può essere evitata in partenza seguendo la strada tracciata dal governo ungherese.

Al momento, però, l'Italia sembra aver optato per un'altra linea: il ministro della Salute Roberto Speranza ha infatti da poco firmato un'ordinanza che prevede la sospensione dell'attività di 8 allevamenti fino a febbraio 2021. Una decisione che, più che risolvere il problema, si limita a rimandarlo, motivo che ha spinto la Lav, in queste settimane, a chiedere ripetutamente il divieto definitivo di sfruttamento dei visoni per ricavarne le pellicce.