“Mi sono immersa nel mare e non ho più ritrovato i fondali della mia infanzia”. Intervista all’artista Anne de Carbuccia

Oggi è la Giornata Nazionale del Mare. Per questa occasione abbiamo intervistato Anne de Carbuccia, artista ambientalista e film-maker che nei suoi viaggi intorno al mondo ha documentato le condizioni di mari e oceani, sempre più soffocati dall’incuranza dell’uomo.
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Gaia Cortese 11 Aprile 2021

In Italia sono 27 le aree marine protette a vario titolo. Aree in cui le attività dell’uomo, come la pesca e il turismo, dovrebbero essere, se non proibite, almeno limitate, per consentire la sopravvivenza e la riproduzione dei pesci e per garantire la conservazione della biodiversità marina. Purtroppo, sono nell’1,67% dei casi si tratta di aree che implementano in modo efficace i propri programmi di gestione, mentre nella maggior parte dei casi si tratta di paperback, ossia aree marine che non sono gestite adeguatamente. A ricordarlo, è la Commissione Oceanografica Intergovernativa dell'UNESCO (IOC-UNESCO) che coordina le attività del Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile (2021-2030).

Per la Giornata Nazionale del Mare abbiamo voluto sentire una voce "diversa", quella di una donna impegnata nella difesa del mare che attraverso le sue opere artistiche documenta le condizioni ambientali del nostro pianeta. Le opere di Anne de Carbuccia vogliono dare una voce al pianeta blu con l’intento di aumentare la consapevolezza sull’emergenza climatica e sulle minacce al pianeta dovute al comportamento umano.

Fondatrice dell’associazione One Planet One Future e della Time Shrine Foundation negli USA, Anne de Carbuccia ha avuto anche la soddisfazione di poter presentare alla 75a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia il suo cortometraggio One Ocean, disponibile in italiano e in inglese in free streaming su One Ocean, mentre attualmente sta girando un documentario sulle sfide dell’Antropocene che uscirà nel 2021.

In quest’ultima epoca abbiamo letteralmente “soffocato” i nostri mari e oceani, secondo te è ancora possibile salvarli?

Assolutamente. Abbiamo ancora tempo per cambiare direzione. Questo è il messaggio più importante che possiamo dare oggi, dando l’esempio tutti noi, dall’artista allo scienziato, dallo chef al professore. In questo momento storico ciascuno di noi fa la differenza, facciamo tutti parte di questa storia e della storia.

Come si può avere un ruolo attivo nella difesa del pianeta?

Possiamo cominciare prendendo coscienza che il problema esiste, è grave e va risolto entro il prossimo decennio. Poi ciascuno può adottare comportamenti responsabili per il nostro pianeta nella vita quotidiana, in funzione della propria età e della propria attività. Le soluzioni iniziano da casa nostra, dal nostro quartiere, dalla nostra scuola, dalla nostra città. Il pianeta si può salvare da casa propria.

"Il problema esiste, è grave e va risolto entro il prossimo decennio".

Le nostre azioni quotidiane hanno un conseguenza sull’altra parte del pianeta perché tutto è interconnesso. Dopo l’azione individuale viene l’azione da cittadino, siamo noi che decidiamo chi ci rappresenta. Uno dei modi più rapidi per aiutare il nostro pianeta è di votare per chi lo vuole proteggere veramente.

Quanto peso possono avere le nuove generazioni?

Ne hanno già tanto! Basta vedere l’importante presa di coscienza che con la loro passione hanno generato negli ultimi anni. Attraverso il mio progetto educativo vedo che tanti giovani si preoccupano per il loro fu turo in modo diverso dalla nostra generazione, hanno già sulle spalle delle preoccupazioni da adulti. A 15 anni non ho mai pensato che avrei potuto perdere la mia spiaggia preferita, che da grande avrei vissuto in una versione degradata del pianeta. Questo può creare tristezza e genera pressione, ma crea anche azione, voglia di cambiamento, iniziative. Per trovare soluzioni resilienti per la nostra sopravvivenza dovremo rivoluzionare la nostra prospettiva e i giovani ne sono molto più capaci di noi.

Hai definito resilienti anche alcune barriere coralline incontrate in uno dei tuoi viaggi. Perché?

Ho avuto la fortuna di vivere quell’esperienza a Raja Ampat, nel triangolo dei coralli in Indonesia. È stato un dono o un rito di passaggio che mi ha offerto l'Oceano forse per rendermi più forte, forse per ricordarmi come vuole essere, come deve essere. Mi ha aiutato a sentire quello che sapevo già: è tutto connesso e interconnesso. Laggiù il cuore del pianeta batte più forte, la vita inizia lì. Oltre a viverne la bellezza inimmaginabile provi l’esperienza vera e sentita, che l’Oceano ci fa bene, ci cura, ci dona. È il nostro più grande alleato. Non ci sarebbe vita sul nostro pianeta senza di lui.

Hai trovato anche veri e propri fossili di plastica, la cosiddetta “archeologia di spazzatura”. È così grave gravi la condizione di mari e oceani?

I fossili di plastica, quelli geologici, sono nei fondali più profondi, negli abissi, dove l’uomo non arriva. Quello che ho visto sono le barriere coralline, i fondali più accessibili, le spiagge nel mondo dove la plastica è diventata più comune di una stella marina o di una conchiglia; dove la plastica e la medusa si confondono.

La plastica è diventata più comune di una stella marina o di una conchiglia

Il nostro Oceano è diventato l’Oceano dell’Antropocene, come gli studiosi chiamano la nostra era geologica, nella quale l’uomo è una forza geologica. Oggi la plastica è una parte integrale di tutti i nostri mari, un materiale formidabile creato da noi per durare per sempre. Usato da noi senza nessuna visione a lungo termine. Oggi, sia che viviamo vicino o lontano del mare, ingeriamo l’equivalente di una carta di credito di plastica alla settimana. Anche noi stiamo diventando l’uomo dell’Antropocene. E particelle di plastica sono già state trovate nella placenta delle future mamme. Oggi si può dire che siamo diventati una forza geologica negativa.

Cosa intendi esattamente con il concetto di “arte di resilienza”?

Sono due parole positive che messe insieme si rafforzano a vicenda. Sono anche dei concetti per farti crescere, evolvere. L’arte ha quel potere. Oggi ha anche la responsabilità di creare consapevolezza, aiutarci a cambiare e soprattutto a migliorare. Come siamo diventati una forza geologica negativa possiamo diventare una forza positiva. Dipende solo da noi e dalle nostre scelte.

Quando hai deciso di documentare lo stato del pianeta blu attraverso l’arte?

Nel 2013, tornando nella mia isola, la Corsica. Non avevo fatto immersioni lì da anni e non ritrovare i fondali della mia infanzia mi ha molto colpito. Sembrava un mare dimezzato, triste, senza quel flusso energetico che mi rendeva così libera e allegra da bambina. È il mare che mi ha fatto capire la gravità della situazione per tutti noi che viviamo su questo meraviglioso pianeta. Dopo quell’esperienza non mi sono più fermata. Documentare in modo artistico quello che abbiamo, quello che stiamo per perdere e quello che abbiamo già perso è diventata la mia missione.