
Che spiagge e oceani siano pieni zeppi di plastica non è certo una novità. E, purtroppo, non lo è nemmeno il fatto che gran parte dei pesci che arrivano sulla nostra tavola ne contengono una discreta quantità, da essi stessi ingerita quando ancora nuotavano felici e spensierati in mare. Vabbè, dirai, può capitare, tanto il pesce non lo mangio neanche così spesso. C’è una cosa che però forse non sai, ed è la quantità di plastica che effettivamente ogni anno introduci nel tuo organismo senza rendertene minimamente conto. E non necessariamente mangiando pesce. Può capitarti anche bevendo una birra o respirando aria. Sto parlando di 32.000 microplastiche. Ti sembra tanto? Eppure sappi che si tratta della quantità che, annualmente, ciascuno di noi assume e assimila inconsapevolmente. 32.000 microscopici pezzetti della stessa plastica che hai buttato via chissà quanto tempo fa, e che ti torna tutta indietro con gli interessi (che pagherai in salute). È tutto scritto in una ricerca pubblicata il 4 ottobre 2018 su Environmental – Science and technology.
Le microplastiche sono, lo dice anche il nome, minuscole particelle di plastica. La loro grandezza varia dai 330 micrometri e i 5 millimetri (frammenti di dimensioni più piccole sono detti nanoplastiche ma attualmente sono impossibili da quantificare). Una quantità infinita di questi frammenti attualmente inquina e soffoca i nostri mari.
Si dividono in:
Secondo l’ultimo rapporto del Programma per le Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), ogni chilometro quadrato di oceano contiene in media oltre 63.000 particelle di microplastica.
Naturalmente, le microplastiche non sono diffuse ovunque allo stesso modo, rappresentano il frutto del deterioramento dei polimeri e oggetti che finiscono in acqua e si deteriorano frammentandosi in pezzi sempre più piccoli.
Queste particelle si trovano quindi a galleggiare nelle acque di mari e oceani e rappresentano una grave minaccia per la fauna marina: non solo come segnala il WWF, sono capaci di assorbire contaminanti ambientali come metalli pesanti o pesticidi per poi rilasciarli negli organismi che le ingeriscono, ma avendo dimensioni simili al plancton vengono ingerite anche da pesci e molluschi di dimensioni modeste.
Non è l’unico modo attraverso cui la plastica entra in grandi quantità nel nostro organismo.
Recenti studi dimostrano che queste particelle si trovano nell’aria che respiriamo, e possono addirittura entrare direttamente nella nostra catena alimentare attraverso insetti nati in acque contaminate che le trasportano e, una volta mangiati da altri animali, le trasmettono a noi.
Quindi, come fa tutta questa plastica ad arrivare fino a noi? Sotto quale forma la introduciamo inconsapevolmente nel nostro organismo? I mezzi di trasporto di queste particelle sono tantissimi. A cominciare dall’acqua potabile, passando poi al pesce, fino al sale da cucina e, addirittura, la birra. Ecco i principali vettori di trasmissione.
Milioni di impercettibili fibre di plastica arrivano al nostro corpo attraverso l’acqua del rubinetto. Lo aveva già rivelato nel 2017 l’inchiesta Invisible: the plastic inside us realizzata da Orb Media, che aveva analizzato l’acqua potabile di 14 diversi Paesi del mondo, in cui era stata riscontrata una presenza di microplastiche vicina al 90% in moltissimi casi. Sempre Orb Media, in un’altra inchiesta chiamata Plus Plastic, ha analizzato l’acqua di 295 bottiglie di tutte le marche in 9 Paesi diversi, riscontrando la presenza di almeno 10 particelle di plastica per ogni litro, tutte di dimensione uguale o maggiore di un capello umano. Ma da dove arriva? Una delle ipotesi è che le particelle cadano nell’acqua nell’atto di svitare il tappo di plastica, ma alcune aziende hanno commentato che potrebbe trattarsi di una contaminazione dovuta ai processi di imballaggio o imbottigliamento.
Pesci e molluschi sono pieni di plastica, e noi ce la mangiamo con loro, anzi, attraverso di loro. Solo del pescato del mar Tirreno, il 25/30% contiene particelle di plastica. Greenpeace, assieme ad alcuni ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche e l’Istituto di Scienze marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Genova, ha analizzato circa 200 specie tra pesci e invertebrati appartenenti a diversi gradini della catena alimentare e con abitudini alimentari diverse tra loro. I risultati sono preoccupanti. La maggior parte del materiale è quello riservato al packaging industriale, chiamato polietilene. Anche gli scienziati della Ghent University, in Belgio, in una ricerca pubblicata a febbraio 2017 hanno calcolato che gli amanti dei molluschi arrivano a ingerire fino a 11.000 frammenti di plastica attraverso la loro alimentazione.
Sempre da una ricerca pubblicata su Environmental – Science and Technology, condotta da Greenpeace e dall’Università di Incheon in Corea del Sud, emerge che su 39 campioni di sale da cucina analizzati, provenienti da vari Paesi del mondo compresa l’Italia, 36 contenevano frammenti di microplastiche, in particolare di polietilene, polipropilene e polietilene tereftalato (le tipologie usate principalmente per produrre imballaggi). In base ai risultati della ricerca, una persona adulta potrebbe arrivare a ingerire fino a 2000 microplastiche all’anno soltanto attraverso il sale da cucina.
Secondo uno studio pubblicato l’11 aprile 2018, nemmeno la birra si salverebbe dall’inquinamento da microplastica. Infatti, pare che ogni litro di birra realizzata con l’acqua di almeno uno dei cinque Great Lakes (Superior, Michigan, Huron, Erie, Ontario) contenga in media 4.05 particelle di fibre di plastica. Se questo calcolo fosse applicabile a tutte le birre in circolazione, una persona che si concede in media una birra al giorno ingerirebbe circa 520 particelle di microplastica ogni anno.
Ma in che modo si stanno muovendo le nostre istituzioni per ridurre la produzione di microplastiche?
Sicuramente il primo provvedimento che dobbiamo menzionare a livello europeo è la direttiva SUP, volta ad abolire la produzione di plastica monouso nel mercato comunitario europeo per tutti i prodotti cui esistono delle alternative in commercio. Inoltre, l'Unione Europea sta cercando sempre di più di mettere in atto azioni per ridurre le quantità dei rifiuti di plastica, aumentando i tassi di riciclaggio.
Per quanto riguarda il nostro Paese ci sono due lati della medaglia. Se infatti da una parte l'Italia è stato il primo Paese a mettere in atto azioni per introdurre disposizioni volte a ridurre l'impatto ambientale dei sacchetti per la spesa, abolendo quelli in plastica e introducendo quelli biodegradabili, dall'altra parte non ha ancora emanato i decreti per la legge Salvamare, che stabilisce regole chiare sul ruolo dei pescatori e il recupero della plastica, ma anche delle paratie sui delta dei fiumi per far sì che questi oggetti non finiscano in mare.
E noi? Qual è il nostro ruolo in questa importante lotta contro l'inquinamento e la diffusione di oggetti inquinanti come la plastica?
(Pubblicato da Sara Del Dot il 25 Ottobre 2018
Modificato da Francesco Castagna il 3 aprile 2023)