
Sappiamo purtroppo che la vita di tutti gli abitanti delle zone costiere (la maggioranza delle persone in molti luoghi) è in pericolo a causa della crisi climatica, e del conseguente innalzamento del livello del mare.
Questo è già salito di oltre 20 centimetri dal 1880, e si prevede possa arrivare a 30 centimetri entro il 2050, con un aumento costante delle inondazioni e, alla fine, con intere città, regioni, paesi addirittura destinati a finire sommersi, se non invertiremo il trend del riscaldamento globale.
La situazione verrà aggravata, anzi è già oggi resa più complicata dalle tempeste violente, mareggiate alimentate a loro volta dalla crisi climatica, che fanno salire temporaneamente il livello del mare. È quanto sostiene lo studio Trends in Europe storm surge extremes match the rate of sea-level rise, pubblicato su Nature e curato da Francisco Calafat, del Centro nazionale di oceanografia di Liverpool.
La ricerca, utilizzando un metodo statistico (basato sull'approccio bayesiano), ha analizzato i picchi nelle mareggiate registrati tra il 1960 e il 2018 da 79 mareometri, gli strumenti con cui si misura il livello del mare, posizionati sulle coste europee dell'Atlantico e del Mare del Nord. Secondo i risultati, i picchi delle mareggiate sono in aumento, in concomitanza con l'innalzamento medio del livello del mare.
Le inondazioni causate dalle tempeste già oggi causano danni da miliardi di dollari all'economia globale e questa evidenza, unite a quelle già note sull'innalzamento del livello del mare, è un'altra testimonianza dell'importanza di modificare la pianificazione costiera, per limitare i danni. Come sempre però, quando si parla di crisi climatica, la mitigazione degli effetti è importante, ma ancor di più lo è intervenire sulle cause principali (tagliare le emissioni, quindi), per cercare di impedire che il mare si alzi ancora.