
Piccoli incendi controllati e innescati in specifici mesi dell'anno. La pratica del Cool Burning è antichissima e diffusa in diverse comunità indigene, dagli aborigeni australiani ai nativi americani. Si tratta proprio di fiamme che, anziché distruggere, aiutano a proteggere e mantenere in vita le foreste. Agli occhi dei coloni occidentali, questa tradizione apparve fin da subito come un qualcosa di pericoloso, tanto che in Australia cercarono di sopprimerla, mentre negli Stati Uniti venne pubblicata una legge, il Weeks Act del 1911, per bandirla del tutto. Solo negli ultimi anni ci siamo accorti dell'importanza di questi fuochi e del loro ruolo di contrasto alla devastazione degli incendi incontrollati. E così, in questi Paesi si recuperano le antiche usanze e si prova ad applicarle con metodo scientifico.
In California, ad esempio, agenzie statali e tribù locali collaboreranno per riportare in uso la pratica del Cool Burning. Dopo un'estate contrassegnata dal Dixie Fire , l'incendio più grande mai scoppiato nello Stato che ha distrutto vegetazione e centri abitati imperversando per almeno un mese, l'inverno non è stato più clemente: a gennaio le fiamme divampate nella regione del Big Sur hanno investito un'area di 600 ettari. Il governatore Gavin Newsom ha quindi deciso di varare un Piano strategico per la mitigazione degli incendi incontrollati attraverso l'utilizzo di quello che viene chiamato "fuoco benefico".
Benefico perché contribuisce a ripulire il sottobosco dai detriti e a rendere il terreno più fertile. Non solo, ma si vengono a creare habitat irregolari e variegati, perfetti per i piccoli animali e la tutela della biodiversità. E ancora, aiuta a preservare le chiome degli alberi, importanti per mantenere il giusto livello di ombra e umidità nella foresta, oltreché per aumentare le capacità di assorbimento dell'anidride carbonica nell'aria.
I fuochi vengono accesi con fiammiferi o, in modo più tradizionale, con bastoncini di legno, da rangers qualificati che si spostano a piedi durante la notte o le prime ore dell'alba. Questo periodo della giornata è infatti perfetto per avere la garanzia che le temperature più basse e l'umidità aiutino a raffreddare le fiamme. Da qui, il termine "Cool Burning". Una volta appiccati, gli incendi vengono monitorati attentamente per essere certi che brucino solo il sottobosco e le aree designate.
Ma la California è solo l'ultimo in ordine di tempo tra gli Stati americani che hanno rispolverato quello che viene chiamato anche Cultural Burning. In Arizona, New Messico e Florida le popolazioni native collaborano già da anni con il servizio forestale per accendere piccoli fuochi controllati.
L'Australia ha invece dato nuovo valore a questa pratica soprattutto a partire da gennaio 2020, mentre era in corso la battaglia contro gli incendi che hanno distrutto milioni di ettari di vegetazione e messo a serio rischio 113 specie diverse di animali. Il primo problema da affrontare riguardava proprio la riforestazione: lasciando piante e arbusti liberi di crescere in modo incontrollato, alcune specie avrebbero potuto prevalere su altre rendendo l'area più vulnerabile e soggetta a futuri incendi. Le popolazioni aborigene hanno quindi chiesto un ritorno al Cool Burning, già diffuso soprattutto nel nord del Paese, su larga scala. Qui i fuochi vengono appiccati da Marzo a Luglio, durante la stagione più secca dell'anno. Secondo i dati raccolti dalla Charles Darwin University e dal Darwin centre for bushfire research, nelle aree in cui porta avanti questa usanza, la distruzione provocata dagli incendi veri e propri si è di fatto dimezzata nell'arco di 20 anni.
A promuovere il Cultural Burning sono organizzazioni e fondazioni no profit come Cool Australia e Watarrka Foundation, che mantengono vive le tradizioni dei primi abitanti dell'isola e ne preservano la cultura. Riconoscere il valore del Cool Burning, infatti, significa anche restituire agli aborigeni il ruolo di custodi della foresta.