Fermare immediatamente ogni nuova estrazione di carbone, petrolio e gas. È necessario, se non vogliamo perdere ogni speranza di centrare gli obiettivi degli Accordi di Parigi. Questo forte appello, devi sapere, arriva da un team di ricercatori e attivisti britannici, che ha recentemente pubblicato un nuovo studio sulla rivista Environment Research Letters.
Il team ha costruito un database sulle emissioni potenziali di circa 25.000 giacimenti di combustibili fossili in via di sviluppo a livello globale. Producendo poi un modello per cui oltre allo stop a nuove estrazioni, servirà chiudere prima possibile almeno la metà dei siti fossili attualmente attivi, se vogliamo centrare l'obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1,5 gradi.
Si tratta di una richiesta ancora più forte rispetto a quella presentata nel 2021 dall'Agenzia Internazionale dell'Energia, che aveva proposto lo stop a qualunque nuova estrazione di fossili e un deciso sviluppo delle fonti rinnovabili. Il presupposto dei ricercatori è anche la poca fiducia verso le tecnologie che promettono la cattura della CO2 emessa, giudicate "una scommessa rischiosa".
Secondo il Guardian, sarebbero invece quasi 200 i nuovi progetti di estrazione di combustibili fossili in via di sviluppo a livello globale. Questi sarebbero in grado di produrre fino a un miliardo di tonnellate di co2 a testa una volta entrati pienamente a regime, rendendo vano ogni sforzo di mantenere il global warming almeno invariato. Servirebbe che almeno la metà di questi giacimenti non venisse proprio sfruttata.
Da sottolineare come questi progetti siano dislocati in modo uniforme a livello globale. Non solo in Paesi del Medio Oriente e Russia, ma anche in Stati Uniti, Canada e Australia, che hanno notevoli piani di espansione del settore fossile e moltissimi progetti di sviluppo in corso. Usa, Canada e Australia sono anche gli Stati che forniscono i maggiori sussidi al mondo alle aziende attive nel settore dei combustibili fossili.
Uno degli autori della ricerca è Greg Muttitt, membro dell'Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile. Per Muttitt, "l'interruzione di nuovi progetti di estrazione è un passo necessario, ma non ancora sufficiente". Alcune licenze di produzione esistenti di combustibili fossili "dovranno essere revocate e gradualmente eliminate", prosegue il ricercatore. Per cui "i governi devono iniziare a capire come farlo in modo equo, superando l'opposizione delle lobby del settore".
E nemmeno lo shock dovuto alla guerra tra Russia e Ucraina può essere una motivazione per invertire la rotta rispetto all'uscita dalle fonti non rinnovabili. Per Kelly Trout di Oil Change International, anche lui autore del lavoro, "il nostro studio rafforza il fatto che la costruzione di nuove infrastrutture per i combustibili fossili non è una risposta praticabile alla guerra della Russia contro l'Ucraina. Il mondo ha già sfruttato troppo petrolio e gas".