Perché non riusciamo a smettere di mangiare alcuni alimenti? È tutta colpa della “triade del gusto”

Trovi che alcuni alimenti siano letteralmente irresistibili? Dietro alla tua “dipendenza” possono nascondersi ricette appositamente studiate per farti perdere la testa di fronte a un cibo. Il loro segreto è un mix di zuccheri, sale e grassi in grado di attivare circuiti cerebrali che ti portano a cercare inevitabilmente cibi in grado di fornirteli.
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Dott.ssa Silvia Soligon Biologa nutrizionista
10 Aprile 2023 * ultima modifica il 10/04/2023

I gusti sono gusti, c’è poco da fare. È inutile che ti decanti la squisitezza di quel piatto che a me piace tanto mentre tu lo rifiuti con ostinazione: se il tuo palato non lo gradisce, continuerai a mandarlo giù senza piacere né soddisfazione. Gli alimenti che porti a tavola possono però essere modificati per renderli più appetibili; l’industria alimentare lo sa benissimo: un pizzico di questo, un pizzico di quest’altro et voilà, anche ricette preparate con ingredienti di scarsa qualità possono sembrarti talmente buone da impedirti di smettere di mangiare.

Il punto è che quello che metti in bocca attiva diversi circuiti cerebrali. Alcuni, per esempio, regolano la tua sazietà. Altri, invece, sono veri e propri circuiti del piacere e della ricompensa che rendono alcuni cibi (o, meglio, alcuni loro ingredienti) letteralmente irresistibili.

Alla ricerca del bliss point

Le occasioni in cui l'attenzione pubblica ha visto i riflettori puntati sull'argomento non mancano. Una di quelle accompagnate da più clamore è stata la pubblicazione di “Salt, Sugar, Fat: How the Food Giants Hooked Us” (letteralmente: “Sale, zucchero, grassi: come i giganti dell'alimentazione ci hanno drogati”), bestseller a firma di Michel Moss, giornalista investigativo del New York Times, nonché Premio Pulitzer. Citando ad esempio i casi di diverse industrie alimentari, Moss ha permesso al grande pubblico di familiarizzare con il cosiddetto bliss point, ossia quella combinazione di sale, zuccheri e grassi in grado di rendere il cibo particolarmente appetibile per il consumatore e di spingerlo, in sostanza, a non riuscire a farne a meno.

Il bliss point non è un'invenzione di Moss. Il termine è stato infatti coniato da Howard Moskowitz, psicofisico e ricercatore nell'ambito del marketing, che lo ha definito come il livello di sapidità e dolcezza del cibo che il consumatore percepisce come ottimale. L'industria alimentare ha fatto poi qualcosa di più, aggiungendo un tocco di “croccantevolezza” alle sue ricette, creando, in sostanza, una nuova generazione di alimenti che – chi più chi meno – non riusciamo proprio a smette di mangiare. E Moss ha parlato chiaro: giocando sul contenuto di sale, zucchero e grassi nel cibo è possibile mandare all'aria l'autocontrollo e attivare i centri del piacere localizzati nel cervello esattamente come fanno droghe come la cocaina.

Tutti nasciamo con una naturale preferenza nei confronti del gusto dolce; l'aggiunta e l'aumento del livello di zuccheri nel cibo soddisfa al massimo questa propensione naturale e predispone a quella che in molti definiscono vera e propria dipendenza da questi nutrienti. Il sale, invece, non ci è naturalmente gradito sin da neonati; tuttavia, la diffusione del cibo industriale (che ne è ricco) ha generato la necessità di assumerlo e un fenomeno analogo alla dipendenza ottenuta aumentando il livello degli zuccheri. Nel caso dei grassi, invece, entrano in gioco meccanismi diversi; in particolare, sembra essere la sensazione che questi nutrienti lasciano in bocca a rendere particolarmente irresistibile il cibo che ne contiene quantità elevate.

Un fenomeno dannoso e innaturale

Non che sia da biasimare voler portare a tavola degli alimenti che riescano a soddisfare il palato, anzi. Sappiamo benissimo che nella nostra società, in cui fortunatamente molte persone hanno un'ampia varietà di cibi fra cui scegliere, mangiare non equivale semplicemente a nutrirsi. Il cibo è per noi anche convivialità, piacere, sapore e ricordi. A volte sono anche questi ricordi a renderci irresistibili alcuni cibi. Pensa, per esempio, all'episodio della madeleine nel romanzo di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”. Il personaggio ne mangia un boccone inzuppato nel tè di tiglio e viene invaso da un senso di piacere e gioia; inizialmente non riesce a capire da cosa derivi quella sensazione, ma riflettendo gli torna alla mente il ricordo dei momenti trascorsi con la zia a mangiare lo stesso dolcetto inzuppato nello stesso tè. Ma questo è ben diverso da una dipendenza e dall'irresistibilità di alcune ricette industriali, studiata appositamente per renderle fisiologicamente irresistibili.

Purtroppo, a farne le spese è la nostra salute. Sì, perché a forza di riempire lo stomaco di zuccheri, sale e grassi possiamo andare incontro a diversi disturbi cardiometabolici, dal diabete all'aterosclerosi, alla steatosi epatica non alcolica. La “triade del gusto” promuove l'obesità e l'obesità porta con sé il rischio di numerosi problemi di salute a carico di strutture e organi anche diversi rispetto a cuore e fegato, come articolazioni e polmoni.

Il meccanismo naturale di regolazione dell'assunzione di cibo con cui ci siamo evoluti ci permette invece di non eccedere con alcuni nutrienti e di garantirci la maggiore varietà nutrizionale possibile. Si tratta della sazietà sensoriale specifica, che porta a una riduzione dell'appetito nei confronti del cibo che si sta mangiando e di quello che ha caratteristiche simili. Grazie alla sazietà sensoriale specifica le nostre papille gustative ci guidano alla ricerca di alimenti con caratteristiche sensoriali diverse rispetto a quelli che abbiamo mangiato e di cui ci siamo “stancati”. E dato che dietro a queste differenti caratteristiche sensoriali si nasconde spesso una differente composizione nutrizionale, questo meccanismo ci aiuta a garantirci un'alimentazione nutrizionalmente più varia e quindi più completa – l'esatto opposto di quanto fatto dai cibi che ci inducono a mangiare sempre allo stesso modo per far fronte a un desiderio simile a un'astinenza.

Come disintossicarsi dal cibo irresistibile

Di cibo irresistibile ne esiste per tutti i gusti: torte, biscotti, gelati, cioccolato e dolciumi vari, ma anche salse, zuppe e – udite udite! – barrette di cereali. Non è detto che per disintossicarsi debbano essere messi al bando. Piuttosto, ti consiglio di aumentare la tua consapevolezza sia nel momento della scelta sia in quello del consumo del cibo.

Usa le etichette nutrizionali come primo strumento per aumentare questa consapevolezza, controllando quanto zucchero, quanto sale e quanti grassi (in particolare del tipo saturo) sono presenti nel cibo che stai per acquistare. Fai in particolare attenzione ai prodotti “light”, “a ridotto contenuto di grassi”, “senza zuccheri” e simili: la riduzione di uno dei componenti della “triade del gusto” potrebbe nascondere l'aumento di un altro per continuare a rendere irresistibile (e purtroppo dannoso) la versione “dietetica” di un cibo.

Restando in tema, anche mangiare consapevolmente può aiutarti, perché attiva i tuoi sensi nel modo migliore possibile, consentendoti di goderti davvero l'esperienza. Provaci proprio quando decidi di concederti quegli alimenti che per te sono irresistibili: non mangiarli in modo distratto, guardando la tv o scorrendo lo schermo dello smartphone; assaporane boccone per boccone per percepirne davvero tutti i tratti del gusto anziché divorarlo in poco tempo; concentrati sul fatto che stai mangiando anziché arrivare alla fine della confezione di biscotti senza nemmeno accorgertene.

Infine, cerca di mangiare sempre piatti che apportino tutte e tre le classi di macronutrienti: carboidrati, proteine e grassi. In questo modo soddisferai il desiderio di zuccheri, sale e grassi senza lasciarti quel senso di astinenza che potrebbe portarti facilmente, al termine di un pasto di per sé sufficientemente abbondante, a mangiare altro cibo (probabilmente meno salutare) per raggiungere quel bliss point che ti rende dipendente da alcuni alimenti.

Laureata in Scienze Biologiche con un dottorato in Scienze Genetiche e Biomolecolari, ha lavorato nel campo della ricerca fino al 2009 altro…
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