Non siamo abituati a domandarci da dove arriva la spigola che acquistiamo al mercato o che ordiniamo al ristorante. Eppure, di pesce ne mangiamo davvero tanto. Circa 20,4 kg pro-capite ogni anno. Secondo l’ultimo rapporto FAO, “The state of world fisheries and aquaculture”, entro il 2030 la produzione da pesca di cattura e acquacoltura raggiungerà le 201 milioni di tonnellate, il 17% in più rispetto al livello attuale. Ma cosa comportano queste cifre in concreto? Quali sono le conseguenze di questi numeri sui nostri mari? C’è davvero così tanto pesce nel mondo?
La risposta non è così scontata. Guardando in casa nostra, è ormai cosa nota che il 93% degli stock ittici nel Mediterraneo è in costante condizione di sovrasfruttamento. In pratica, noi peschiamo e mangiamo dai nostri mari molto più di quanto questi siano in grado di sopportare. Il 9 luglio 2019 è infatti scattato il “Fish dependence day”, ovvero l’ufficiale esaurimento delle scorte di risorse ittiche europee. La sua conseguenza? Dipendere dal pesce di importazione per il resto dell’anno. Il che non rappresenta certo una novità. Circa l’85% del pesce che finisce sulle nostre tavole, infatti, proviene dall’estero e l’Unione europea si attesta come principale importatore al mondo di prodotti ittici.
Qual è quindi la soluzione a questa situazione? In che modo possiamo aiutare i mari (nostri e del mondo intero) a ripopolarsi, all’interno di una realtà in cui il consumo di pesce nelle nostre cucine non fa che crescere a dismisura? La risposta è una sola e ha un nome: pesca sostenibile. Un concetto semplice da teorizzare, difficile da realizzare e monitorare.
Quella sostenibile è un tipo di pesca praticata nel totale rispetto del mare, dei suoi abitanti e anche delle popolazioni per le quali questa attività rappresenta la principale fonte di sostentamento. Ciò implica un rigido (difficilissimo) rispetto delle regole sulla pesca e l’utilizzo di strumenti che non distruggono gli habitat acquatici. L’obiettivo della pesca sostenibile, infatti, è lasciare in mare un numero di pesci sufficiente da favorire la costante riproduzione degli stock ittici, mantenendo intatto l’equilibrio degli habitat. Il sovrasfruttamento dei mari causato dalla pesca indiscriminata, poco selettiva e spesso illegale, provoca infatti sprechi alimentari dovuti alla raccolta troppo intensa, cattura e morte di esemplari non destinati al mercato alimentare come tartarughe e delfini a causa di metodologie di pesca poco mirate e spopolamento di intere zone acquatiche che può causare enormi problemi anche alle comunità di pescatori che le abitano. Le conseguenze, purtroppo, sono sia ambientali che socio-economiche, dal momento che interessano milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto persone che vivono in Paesi in via di sviluppo che fanno del pesce la principale fonte di nutrimento e sostentamento per se stessi e le proprie famiglie.