Piogge di microplastiche bagnano le aree protette degli Stati Uniti: ogni anno più di 1000 tonnellate

Uno studio pubblicato su Science dimostra che le microplastiche vengono trasportate in modo diverso in base alle condizioni meteorologiche: pioggia e neve diffondono particelle più pesanti in zone non distanti dalla fonte mentre il vento può trasportare quelle più leggere fino a grandi distanze. L’analisi ha dimostrato che ogni anno piove l’equivalente di 120 milioni di bottiglie di plastica su 11 aree protette americane.
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Kevin Ben Alì Zinati 16 Giugno 2020

Piovono microplastiche sugli Stati Uniti. Ogni anno l'equivalente di 120 milioni di bottiglie galleggiano nell’aria o vengono inglobate nella pioggia e ricadono sui parchi e le aree protette americane. Lo rivela uno studio dell’Università dello Utah e pubblicato sulla rivista Science. Gli scienziati hanno osservato che il deposito di micropalstiche dipende dalle condizioni meteorologiche a cui sono soggette: le concentrazioni e la diffusione dei piccoli frammenti di plastica in caso di pioggia o neve sono diversi rispetto a un periodo asciutto e secco. Si legge nello studio che ogni anno circa 1000 tonnellate di particelle di microplastica invadono ben 11 aree protette degli States e che le particelle più grandi e più pesanti tendono a cadere con la pioggia non lontane dalla fonte mentre quelle più leggere vengono intrappolate dalle correnti d’aria e trasportate anche a grandi distanze.

Le microplastiche

Come sai, la plastica non è biodegradabile, resiste all’azione del tempo e quindi non scompare. Tuttavia, si decompone in particelle minuscole, che possono essere grandi come un chicco di riso o più piccole di una particella di polvere, che si disperdono nell’atmosfera. Lo studio ha dimostrato che queste vivono in un ciclo di “ricircolo globale” muovendosi tra terra, mare e aria e sono dipendenti da diverse variabili tra cui, appunto, il tempo metereologico: non vi sono aree, dunque, che possono sentirsi al sicuro insomma.

Umido e asciutto

Per raccogliere i campioni di microplastiche da 11 parchi nazionali e aree protette negli Stati Uniti occidentali, i ricercatori hanno utilizzato dei contenitori dotati di sensori che si azionavano in caso di pioggia o neve così da distinguere i due “raccolti” in materiale “bagnato” e asciutto, portato quindi dal vento. Al contempo, hanno anche studiato la provenienza di ogni tempesta da cui hanno raccolto la pioggia rilevando le dimensioni delle città che hanno attraversato.

Risultati

Analizzando i campioni raccolti con la spettroscopia infrarossa con trasformata di Fourier, con cui hanno misurato il modo in cui le particelle hanno assorbito ed emesso luce infrarossa distinguendo così la plastica da altri materiali. È emerso così il 4% del totale era plastica. E che le particelle più grandi e pesanti cadevano con la pioggia in zone non lontane dalle loro aree di origine. All’opposto, invece, quelle catturate in periodi secchi, essendo più leggere, venivano trasportate dal vento percorrendo anche lunghe distanze. Oltre al meccanismo di diffusione, lo studio ha messo in luce anche l’urgenza del problema in termini quantitativi: ogni anno sono più di 1000, infatti, le tonnellate di microplastiche cadute sulle zone protette, per un peso che equivale più o meno a quasi 120 milioni di bottiglie di plastica.

I rischi

Come sottolineano gli scienziati dell’università dello Utah, i rischi connessi alla diffusione delle microplastiche non sono ancora così chiari. Né per quanto riguarda l’ambiente né per l’uomo. Gli scienziati scrivono che la plastica nell'ambiente trasporta pesticidi, metalli pesanti e altre sostanze chimiche che, oltre a danneggiare il territorio, inciderebbero pesantemente anche sulla salute dell’uomo.