Quali sono i Paesi che potrebbero trasformare la Cop26 di Glasgow in un flop?

Gli occhi sono puntati soprattutto sulla Cina, che attualmente è il primo emettitore globale di gas serra. Ma ci sono altri Paesi del G20 che sono ancora molto dipendenti dai combustibili fossili (anche da quello più inquinante di tutti, ossia il carbone) e non sembrano avere alcuna intenzione di accelerare sulla transizione energetica.
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Federico Turrisi 22 Ottobre 2021

Circa un mese fa, durante la Major Economies Forum on Energy and Climate, il summit virtuale sul clima organizzato dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres si è espresso così in merito alla Cop26 di Glasgow, la Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite che si aprirà il prossimo 31 ottobre: "C'è un alto rischio di fallimento".

Ovviamente la nostra speranza è che la Cop26 possa rappresentare invece un passo in avanti decisivo nel contrasto alla crisi climatica, così come lo fu l'Accordo di Parigi nel 2015. Ma le premesse, bisogna essere onesti, non sono delle migliori. E conciliare gli interessi di quasi 200 Paesi del mondo è un'operazione maledettamente complessa.

È vero, ci sono Paesi – come gli Stati Uniti, l'Unione Europea, il Giappone – che hanno presentato dei piani di decarbonizzazione ambiziosi, pianificando il raggiungimento della carbon neutrality (ovvero le zero emissioni nette) entro il 2050.

Cina

La seconda potenza economica mondiale, ossia la Cina, ha spostato questo obiettivo di 10 anni più avanti, al 2060. Gli analisti sostengono che la buona riuscita della Cop26 di Glasgow dipenderà anche dalle scelte del gigante asiatico, che è il primo Paese al mondo per emissioni di gas serra.

In fatto di clima ed energia, l'atteggiamento della Cina finora è stato piuttosto ambivalente. Da una parte sta spingendo molto sullo sviluppo delle energie rinnovabili, ma dall'altra continua a costruire all'interno dei confini nazionali nuove centrali a carbone (il più inquinante tra i combustibili fossili) per far fronte al proprio fabbisogno energetico. E questo non fa presagire nulla di buono.

India

C'è poi un'altra serie di Stati che rischia di far saltare le trattative sul clima alla Cop26. Prendiamo il caso dell'India, terzo emettitore mondiale di CO2, un Paese che sta vivendo una forte crescita demografica ed economica. Qui circa il 70% della produzione elettrica dipende ancora dal carbone. Nonostante abbia firmato l'Accordo di Parigi, l'India sta venendo meno al suo impegno di ridurre le emissioni, e anzi sta valutando di aumentare l'estrazione mineraria. In molti pensano che difficilmente riuscirà a svincolarsi in tempi brevi dal carbone.

Australia

Un altro Paese che ha un serio "problema" con questa fonte fossile è l'Australia. Il primo ministro Scott Morrison è stato faticosamente convinto a venire a Glasgow per la Cop26 – questo già la dice lunga – e ha sempre difeso a spada tratta l'industria nazionale del carbone, disinteressandosi delle questioni ambientali e climatiche. Eppure l'Australia è tra i Paesi che sta sperimentando in maniera più severa gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici: gli incendi del 2019-2020 sono stati tra i peggiori disastri ambientali degli ultimi anni.

Arabia Saudita e Russia

Ci sono poi Paesi in cui il legame tra potere politico e settore dei combustibili fossili è talmente forte che non stupisce il fatto che presentino dei piani di riduzione delle emissioni tutt'altro che ambiziosi. È il caso, per esempio di Arabia Saudita e Russia, che continuano a rimanere legati a doppio filo rispettivamente al petrolio e al gas naturale, di cui sono i principali esportatori al mondo.

Brasile

Infine, non possiamo non citare il Brasile. Il suo presidente, Jair Bolsonaro, è un noto negazionista climatico. I suoi impegni per la tutela dell'ambiente sono sempre stati considerati vaghi e poco credibili dalla comunità internazionale. Più di ogni cosa, parlano i dati (a dir poco spaventosi) sulla deforestazione in Amazzonia: tra il 2002 e il 2019 sono stati distrutti 24,5 milioni di ettari di superficie forestale. Adesso è chiaro perchè le preoccupazioni di Guterres riguardo alla Cop26 di Glasgow sono più che giustificate?