
La raccolta differenziata ormai fa parte della nostra vita di tutti i giorni. Tutti, per legge, abbiamo in casa almeno quattro bidoni diversi, uno per la plastica, uno per l’indifferenziato, uno per la carta e uno per l’umido. E gettare ciascun rifiuto nell’apposito contenitore è ormai un’abitudine più che assodata, a cui non dobbiamo neanche sforzarci di pensare. Non a caso, l’Italia si trova in pole position in Europa per quanto riguarda il recupero dei rifiuti, che si attesta al 79%. Eppure, questo tuo impegno potrebbe non essere sufficiente. Forse, per riciclare correttamente, dovresti compiere uno sforzo in più.
Perché? Perché nonostante tu senta di avere la coscienza pulita, convinto che il rifiuto plastico che hai sapientemente differenziato otterrà presto una seconda vita diventando magari un maglione, uno zaino o una sedia, devi sapere che le cose non funzionano proprio così. Infatti, secondo i dati forniti da Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta degli imballaggi in plastica, sembra che di tutta la plastica raccolta circa il 40% non venga avviata a riciclo.
Solo nel 2017, di tutti i materiali plastici differenziati, il 41% è stato avviato a riciclo, mentre il 39% è stato portato nei termovalorizzatori e il 20% è finito in discarica. Di questo 41% avviato a riciclo, quasi la metà non ha concluso il suo percorso circolare ed è finita comunque in discarica o in termovalorizzatori. Un po’ deludente, no? Sembra infatti che nei cassonetti si trovino troppi polimeri misti praticamente impossibili da recuperare, e questo fa in modo che a venire utilizzata per dare vita a nuovi oggetti sia soltanto il 60% della plastica.
Che fare, quindi? Differenziare maggiormente anche in base al tipo di plastica che si ha tra le mani? Per fare questo, occorrerebbe senz’altro un’implementazione dell’educazione al rifiuto e l’adozione di norme un po’ più stringenti che impongano uno sforzo in più. Ma saremmo in grado di farcela?