Rifiuti spaziali e come rimuoverli da sopra le nostre teste: la storia di D-Orbit e del progetto italiano per ripulire lo spazio

Secondo i dati del CNR dallo spazio cadano detriti pesanti fino a 5mila tonnellate, circa 2 volte all’anno e dal 1957 l’uomo ha lanciato in orbita circa 4mila satelliti, missili o navicelle che poi finita la loro missione vanno in decomposizione. Oggi proviamo a raccontarti che esiste un modo per ripulire lo spazio attorno alla nostra terra da questi oggetti, chiamati rifiuti spaziali.
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Mattia Giangaspero 27 Febbraio 2024

Dal cielo possono cadere oggetti: è successo e succederà. Non è un evento poi così raro. Secondo il CNR di Pisa, capita più o meno 1 o 2 volte all’anno che oggetti con una massa di oltre 5 tonnellate caschino a terra.

Questo perché lassù, nello spazio, è pieno di detriti. Frammenti di varie dimensioni che orbitano intorno alla Terra e galleggiano liberamente sopra le nostre teste. Oggetti artificiali, umani, nostri che puoi tranquillamente chiamare rifiuti.

Tutti questi oggetti non sono diffusi ugualmente nello spazio ma si concentrano in alcune regioni orbitali particolari.  Un’orbita non è altro che il percorso curvo che un oggetto nello spazio compie attorno a un altro guidato dalla gravità. Lo fanno pianeti e satelliti (la Luna orbita attorno alla Terra, la Terra orbita attorno al Sole) ma anche le stelle, gli asteroidi o le astronavi.

Ecco, nelle orbite, come detto precedentemente, c’è una nuvola fatta di oggetti di varie dimensioni, rimasti nello spazio in seguito agli oltre 4mila lanci eseguiti dall’uomo dal 1957 ad oggi. Si tratta dei cosiddetti rifiuti spaziali: frammenti di satelliti, stadi di lanciatori e missili che galleggiano sopra le nostre teste. Noi ti abbiamo già raccontato la loro storia e quali possono essere i rischi per il Pianeta Terra. Oggi, invece, vogliamo raccontarti la storia di un'azienda italiana, tra le prime nel mondo, che vuole ripulire lo spazio. Come? Ce lo racconta direttamente l'Ingegnere Trotti – Chief Quality Officer dell'azienda italiana D-orbit.

Cosa credete servi per ridurre l’accumulo di relitti in orbita?

Il problema dei detriti spaziali richiede un approccio integrato e coordinato a livello globale, che tocca dimensioni tecnologiche, sociopolitiche e legali.
Sul fronte tecnologico, c’è bisogno di strutture avanzate come sistemi capaci di catturare detriti grazie, per esempio, alla presenza di bracci robotici, arpioni e reti; o grazie a meccanismi di deorbiting attivi. Il D3 che abbiamo progettato ha questa caratteristica. 

Un altro tipo di sistema, detto passivo, è invece quello che prevede le cosiddette "drag sails", ovvero vere e proprie vele spaziali che aumentano il coefficiente di attrito e causano un rientro più rapido.

Molte di queste soluzioni sono ancora in fase sperimentale e richiedono investimenti significativi in ricerca e sviluppo, oltre a test e implementazioni su larga scala per diventare praticabili.
Dal punto di vista socio-politico, è fondamentale instaurare una collaborazione internazionale tra gli Stati e le organizzazioni globali, come le Nazioni Unite, per condividere responsabilità e risorse nel monitoraggio e nella mitigazione dei detriti spaziali.

Questa cooperazione deve estendersi anche al crescente numero di attori privati nel settore spaziale, i quali devono aderire a regolamenti internazionali e contribuire con soluzioni innovative.

Inoltre, l'adozione di normative internazionali più stringenti è cruciale per promuovere la progettazione di satelliti e veicoli spaziali che minimizzino la generazione di detriti e per assicurare la rimozione dei satelliti dismessi in modo tempestivo.

Lei mi spiegava che l'impegno per ridurre i detriti doveva essere svolto anche dal punto di vista legale. In che senso? 

Dal punto di vista legale, la definizione di un quadro internazionale che regoli la proprietà e la responsabilità dei detriti spaziali è un passo necessario per facilitare le operazioni di pulizia. La creazione o l'aggiornamento di convenzioni internazionali può offrire una base legale chiara per le attività spaziali e la gestione dei detriti, contribuendo a prevenire la generazione di nuovi detriti e a gestire quelli esistenti in modo efficace.

Lei ha indicato anche che è fondamentale l'azione di aziende private. Ecco, come queste potrebbero aiutare le Nazioni Unite o i singoli Paesi? 

D-Orbit è da sempre parte attiva nella conversazione con attori internazionali coinvolti su queste tematiche. Le nostre posizioni includono la necessità di ridurre il tempo di decommissioning richiesto dai regolamenti. Al momento, gli operatori devono garantire un rientro entro 25 anni, senza penalità in caso di violazione. Noi crediamo che questo tempo dovrebbe essere ridotto a 5 e che, nella maggior parte dei casi, dovrebbe addirittura avvenire immediatamente al termine della missione.

A tal proposito, a novembre abbiamo annunciato il nostro contributo al Zero Debris Charter for Space Sustainability, un'iniziativa collaborativa che coinvolge oltre 40 organizzazioni spaziali. Questa iniziativa, approvata dagli Stati Membri dell'ESA durante la Conferenza Ministeriale del 2022, mira a un approccio ‘Zero Detriti' nelle missioni spaziali, puntando a una significativa riduzione dei detriti spaziali entro il 2030.

Sempre alla fine dell’anno scorso, insieme ad altre aziende di 37 Paesi, inclusi tutti gli stati membri dell'Unione Europea, abbiamo firmato lo "Space Industry Statement".

In cosa consiste? 

Si tratta di un impegno contro i test di missili anti-satellite ad ascesa diretta distruttivi (DA-ASAT). Con questo accordo riusciremmo a prevenire la creazione intenzionale di detriti spaziali, contribuendo così alla sostenibilità e alla sicurezza delle operazioni spaziali.

 Come si possono smaltire i detriti esistenti? Esiste una maniera di recuperarli in qualche modo?

Al momento stiamo preparando la prima piattaforma satellitare robotica capace di spostarsi lungo un piano orbitale, avvicinarsi a un satellite in avaria, agganciarlo, ripararlo, rifornirlo, e rimetterlo in funzione.

Questa funzionalità ci permetterà di offrire servizi di estensione di vita che includeranno riparazione e upgrade di piattaforme satellitari direttamente nello spazio.

L’estensione di vita dei satelliti è una importante strategia di mitigazione del problema dei detriti spaziali, perché permette di ridurre l’accumulo di satelliti non funzionanti che viaggiano alla deriva mettendo in pericolo le operazioni di satelliti presenti nelle orbite circostanti.
Un’altra funzionalità della nostra piattaforma di IOS sarà la rimozione di satelliti a fine vita (decommissioning), liberando l’orbita da relitti che potrebbero compromettere le operazioni di satelliti funzionanti.

In futuro, vorremmo costruire una infrastruttura orbitale che permetterà di rendere più efficiente, affidabile, e conveniente queste operazioni. Oltre alle capacità già descritte, questa infrastruttura permetterà il recupero di satelliti non funzionanti, che verranno poi utilizzati come materia prime per la costruzione di nuove piattaforme satellitari direttamente in orbita. I dettagli tecnici e le tempistiche di sviluppo di questa infrastruttura sono ancora confidenziali, ma contiamo di poter rivelare presto la nostra roadmap.