
Sulla vicenda del rilascio nell'Oceano Pacifico, annunciato dal governo giapponese, di oltre un milione di tonnellate di acqua utilizzata per raffreddare i reattori danneggiati della centrale nucleare di Fukushima, si è scatenato un acceso dibattito. Si sono levate le proteste dei pescatori giapponesi, che temono un pesante danno d'immagine, e delle organizzazioni ambientaliste come Greenpeace, che temono ripercussioni negative per gli ecosistemi e la salute umana. Ma anche alcuni Paesi come la Cina e la Corea del Sud hanno espresso formalmente le loro preoccupazioni per la scelta di Tokyo.
In tutto questo, diversi divulgatori scientifici non hanno risparmiato critiche, anche aspre, nei confronti dei media italiani, accusati di aver creato allarmismo riportando la notizia. Non è questa l'occasione per aprire il confronto tra favorevoli e contrari al nucleare. Piuttosto, cerchiamo di rimanere aderenti ai fatti. Anticipiamo subito che, analizzando la questione da un punto di vista scientifico, i motivi per preoccuparsi sono pochi. La pianificazione della dispersione nell'Oceano Pacifico dell'acqua contenente il trizio proveniente dai reattori della centrale di Fukushima ha ottenuto il via libera dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e avverrà in linea con i protocolli internazionali: i lavori inizieranno non prima del 2023 e potrebbero durare perfino decenni. Per fare ulteriore chiarezza abbiamo interpellato Marco Casolino, Primo Ricercatore presso l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare a Roma Tor Vergata.
Come è arrivato il Giappone a questa decisione?
Innanzitutto, bisogna dire che sono anni che viene valutato il rilascio di quell'acqua nell'Oceano Pacifico. Semmai viene da chiedersi: che bisogno aveva il governo giapponese di annunciare, a cento giorni dall'inizio delle Olimpiadi, lo sversamento che avverrà tra due anni? Comunque, da quando è avvenuto l'incidente di Fukushima, cioè dieci anni fa, l’acqua del mare è stata impiegata per rimuovere il calore residuo dei reattori danneggiati ed è stata immagazzinata in circa un migliaio di serbatoi vicino alla centrale. L'acqua viene a contatto con materiale radioattivo e poi deve essere purificata. Attraverso il metodo ALPS (Advanced Liquid Processing System, ndr) vengono eliminati gli elementi più pesanti e pericolosi come il cesio-137 e lo iodio-131. Rimane il trizio, o meglio rimane l'acqua triziata.
Che cosa vuol dire?
Anziché essere H20, si tratta di THO. In altre parole, nell'acqua è presente un elemento più pesante che è il trizio, un isotopo radioattivo dell'idrogeno il cui nucleo è costituito da un protone e due neutroni. Ecco perchè il suo numero di massa è 3. Ora, radioattivo non significa di per sé pericoloso. Certo, non è da bere quell'acqua né si può disperdere a terra in un'area limitata. L'unica strada percorribile è rilasciarla nell'oceano, che è radioattivo già di suo.
In che senso l'oceano è radioattivo?
Tutto il pianeta è radioattivo. Anche il corpo umano, in particolare per via del potassio-40, che è un isotopo del potassio, ossia di un macronutriente indispensabile per il nostro organismo. Uno strumento come il contatore Geiger è in grado di misurare le radiazioni ionizzanti emesse da ogni singolo atomo che decade. Il punto centrale è questo: come ho avuto modo di evidenziare in un post pubblicato su Scientificast, stiamo parlando di quantità non pericolose e di numeri estremamente piccoli, soprattutto in rapporto a tutti gli elementi radioattivi disciolti presenti naturalmente in un'area immensa come quella dell'oceano Pacifico.
Morale della favola: non c'è da preoccuparsi?
Non c'è affatto da preoccuparsi. Se non ho sbagliato i miei calcoli, stiamo parlando di una parte per 7 milioni circa. In altre parole, per 7 milioni di elementi radioattivi presenti nell'oceano Pacifico, tutta Fukushima vale uno. È come avere in una cassaforte 7 milioni di euro e aggiungere una moneta di un euro. Attenzione, però: l'operazione va fatta bene. Per il principio di precauzione, non si deve buttare tutta insieme quell'acqua contaminata nello stesso punto e nello stesso momento.
Come si spiegano allora le proteste?
Dietro a quelle di Cina e Corea del Sud mi sentirei di dire che ci siano per lo più motivi politici. I pescatori invece sono giustamente preoccupati per il danno economico: dopo una notizia del genere, chi comprerebbe il "pesce di Fukushima"?
E che cosa risponderebbe a chi sostiene che il Giappone si sia limitato a scegliere l'opzione più economica?
Partiamo dal presupposto che idealmente nessuno dovrebbe disperdere niente nell'ambiente. Si è parlato anche di fare evaporare l'acqua contaminata di Fukushima. A parte che servirebbe un'enorme quantità di energia per scaldare oltre un milione di tonnellate di acqua contenente trizio, ma è meglio disperderla in mare che nell'aria, che è molto meno densa. Di certo, non è una soluzione continuare ad aspettare. La scelta di rilasciare nell'oceano quell'acqua è il male minore, e le conseguenze per l'ambiente e per la salute non devono preoccupare.