
Uno degli autori dei sadici filmati si faceva chiamare “The Torture King”. Lui e una ventina di altre persone (ma il numero è destinato a crescere) sono al momento indagate per avere realizzato e condiviso sui social media atroci video che ritraggono scimmie indifese mentre vengono sottoposte a maltrattamenti, torture estreme perfino uccisioni. Ciò che lascia senza parole è che migliaia di utenti nel mondo fossero disposti a finanziare questi gesti di insensata crudeltà.
È stata un’inchiesta della BBC, portata avanti per un anno, a consentire alle autorità di scoprire l’esistenza della rete di torturatori che si estende dagli Stati Uniti all’Indonesia, passando per il Regno Unito.
Come riferisce la BBC, i committenti, spesso americani e inglesi, pagavano uomini che, filmandosi in diretta, torturavano – fino a ucciderli – cuccioli di macaco dalla coda lunga e altri piccoli primati. Le torture venivano pubblicate su Youtube, e poi ribalzate all’interno di gruppi privati su Telegram.
Alcuni giornalisti sotto copertura sono riusciti a far luce sulle dinamiche: in uno dei principali gruppi di tortura attivi su Telegram, centinaia di persone si confrontavano per elaborare trattamenti sadici e atroci da commissionare ad aguzzini residenti in Asia, dove procurarsi le scimmie risulta più semplice.
I video testimoniano tutte le sofferenze e gli orrori subiti dalle vittime indifese: botte, bastonate e amputazioni eseguite perfino con frullatori e trapani elettrici. Maggiori erano le atrocità, più gli utenti sarebbero stati soddisfatti: una forma d’intrattenimento basata esclusivamente sull’uso brutale della violenza.
Nonostante le indagini in corso, i video delle torture circolano ancora e sono facilmente reperibili all’interno di gruppi attivi su Telegram, e anche su Facebook, anche se un portavoce di Meta avrebbe assicurato alla BBC che i contenuti che mostrano abusi sugli animali sono vietati e vengono immediatamente rimossi.
"Abbiamo assistito a un'escalation di questi contenuti estremi e cruenti, che prima erano nascosti ma ora circolano apertamente su piattaforme come Facebook", ha dichiarato all'emittente inglese Sarah Kite, cofondatrice dell'associazione animalista Action for Primates.
I social vengono trasformati ancora troppo spesso in amplificatori di crudeltà e crimini nei confronti degli animali e della natura. Come dimostra ad esempio un report realizzato dal Center for Biological Diversity dell’Arizona, oggi il traffico illegale di fauna selvatica si muove soprattutto attraverso le piattaforme social.