Ti svelo 5 metodi alternativi per sostituire il sale e combattere la “dipendenza”

Il sale è un elemento importantissimo per il nostro organismo ma è facile caderne dipendenti e il suo consumo eccessivo è rischioso per la salute. Per limitarne l’uso e restare sotto i livelli raccomandati dall’Oms abbiamo indagato insieme al nutrizionista Gabrielli diversi metodi alternativi: dalle spezie alle erbe aromatiche fino al sale arricchito di potassio.
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Kevin Ben Alì Zinati 20 Giugno 2024
* ultima modifica il 21/06/2024
In collaborazione con il Dott. Simone Gabrielli Biologo nutrizionista

C’è qualcosa sulle nostre tavole a cui molti di noi non vogliono rinunciare, a volte nemmeno possono. Stoppo l’elenco che si sta srotolando nella tua mente e ti dico subito che sto parlando del sale.

Anche se per la scienza è ancora difficile sdoganare una simile definizione, la «dipendenza da sale» esiste – pensa alle patatine da sacchetto o agli snack dell’aperitivo: davvero ne mangi solo uno? – e rappresenta un serio problema per la nostra salute.

Il cloruro di sodio è tutti gli effetti uno dei quei fattori che spinge sull’acceleratore delle cosiddette malattie non trasmissibili, in particolar modo quelle cardiovascolari che rappresentano la prima causa di morte e disabilità a livello globale.

Eppure, non possiamo proprio farne a meno. Il sale è uno di quegli elementi così imprescindibili per numerose attività e funzioni del nostro organismo (la distribuzione di acqua nel sangue, la contrazione dei muscoli e la trasmissione degli impulsi nervosi) che dobbiamo assolutamente sforzarci per trovare e mettere in pratica metodi alternativi per assumerlo senza correre rischi.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità non dobbiamo affatto privarcene del tutto. Dovremmo invece limitarne il consumo a un massimo di 5 grammi di sale al giorno, l’equivalente di un cucchiaino.

Tra quello che aggiungiamo a mano per condire, conservare o cucinare e quello invece già presente all’interno negli alimenti, tuttavia, il numero di persone a livello globale che oltrepassa queste soglie è altissimo.

Uno studio pubblicato sulla rivista Public Health Nutrition nel 2022 mostrava per esempio che la maggior parte dei paesi della regione europea dell’OMS consumava livelli di sale superiori a quelli raccomandati.

In quasi tutte queste aree gli uomini rappresentavano i maggiori utilizzatori, con un intervallo compreso tra 5,39 e 18,51 grammi rispetto ai 4,27-16,14 grammi della popolazione femminile.

Per questa sua natura di elemento indispensabile ma da limitare, il sale è da anni al centro di svariati programmi di gestione e controllo sia a livello nazionale che internazionale proprio perché le complicazioni di un uso eccessivo sono estremamente rischiose.

Come ci ha spiegato il dottor Simone Gabrielli, biologo nutrizionista, “mangiare troppo sale può far aumentare la pressione sanguigna e favorire l’insorgenza di problemi cardiovascolari”. 

Una dieta eccessivamente ricca di sale, e dunque di sodio, comporta un aumentato passaggio di acqua nel sangue e nel liquido extracellulare, che favorisce il rischio di edema e oltre ad aumentare la possibilità di incorrere in malattie del cuore, dei vasi sanguigni e dei reni. Considera che quasi 1,89 milioni di decessi legati all’alimentazione, ogni anno, sono associati proprio a un’eccessiva assunzione di sodio.

Mangiare troppo sale può far aumentare la pressione sanguigna e favorire problemi cardiovascolari

Dott. Simone Gabrielli, biologo nutrizionista

La riduzione del sale non è una sfida semplice perché, come dicevo all’inizio, siamo di fronte a uno di quegli elementi capaci di «stregare» il tuo corpo. Questo avviene perché “mangiare un cibo che contiene alte concentrazioni di sale sprigiona nel nostro cervello dopamina, un neurotrasmettitore rilasciato in determinate aree del cervello e in grado di innescare un senso di piacere ha continuato il dottor Gabrielli.

Più mangiamo cibi salati, più piacere proviamo e più il nostro cervello vorrà ricercarli per continuare a provare la stesse sensazioni. Esattamente come avviene nel caso di una dipendenza vera anche se, come ci ha spiegato il nutrizionista, si sta cercando di capire se il sale possa effettivamente dare una forma di dipendenza anche fisica.

“L’unico modo per gestirla – ha continuato il dottor Gabrielli – è cercare di ridurre piano piano il consumo di sale usando delle alternative come le spezie per insaporire i piatti”. Dunque erbe aromatiche, aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, salvia, menta, origano, rosmarino, sedano o porro ma anche pepe, peperoncino, curry, noce moscata o zafferano.

Altri utilizzano invece il succo di limone o l’aceto, qualcuno invece sceglie il gomasio, un mix di sesamo tostato e sale marino in bassissime percentuali.

Una nuova ricerca del George Institute for Global Health ha recentemente suggerito un’altra alternativa. Ovvero il sale arricchito di potassio e a basso contenuto di sodio.

Si può ridurne il consumo di sale usando delle alternative come le spezie

Dott. Simone Gabrielli, biologo nutrizionista

Il consumo di sale infatti nella stragrande maggioranza dei casi corrisponde a un alto consumo di sodio e a bassi livelli di assunzione di potassio, un minerale decisamente importante per la contrazione muscolare, inclusa quella del cuore, la regolazione dell’equilibrio dei fluidi e dei minerali dentro e fuori dalle cellule e il controllo della pressione.

Le più recenti stime calcolano che l’assunzione media globale di potassio è di circa 2,3 grammi al giorno, quindi ben sotto l’assunzione raccomandata dall'OMS di 3,5 grammi giornalieri.

Tanto l’eccesso di sodio quanto il ridotto apporto di potassio rappresentano un mix rischioso per la salute, in quanto legati a patologie come l’ipertensione, un rischio maggiore di ictus, malattie cardiache e morte prematura.

Secondo i risultati pubblicati sulla rivista Hypertension, invece, sostituire il classico sale ricco di sodio con quello arricchito di potassio può essere una mossa vincente.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.