Tokamak o Stellarator: quale strada ci porterà all’energia delle stelle?

Il Tokamak basato sul confinamento magnetico rappresenta oggi la strada più promettente per arrivare alla fusione nucleare. Eppure, la strada per arrivarci è ancora lunga e ricca di insidie. Per questo la comunino scientifica sta studiando strategie alternative: una di queste è lo Stellarator. Si tratta di una macchina capace di offrire prestazioni migliori in termini di stabilità del plasma.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Rubrica a cura di Kevin Ben Alì Zinati
25 Ottobre 2023

Chi crede in un futuro a fusione nucleare, oggi, riversa molte speranze su Iter. Non si tratta certo di una puntata al buio. Ben 35 Paesi stanno lavorando per concretizzare uno dei più imponenti progetti scientifici mai concepiti, al punto da aver speso qualcosa come 20 miliardi di euro negli ultimi 15 anni.

Il gigantesco reattore nucleare che sta prendendo forma a Cadarache, nel sud della Francia, rappresenta un obiettivo ambizioso che richiede uno sforzo immenso e collettivo. Nonostante l’all-in mondiale, però, la meta oggi resta comunque ancora lontana.

Colpa del continuo aumento dei costi, dei ritardi nella consegna dei materiali, nella costruzione dei componenti o nella padronanza di una reazione che continua a richiedere più energia di quanta non ne riesca a generare.

Il Tokamak è una struttura a forma di ciambella in grado di contenere una reazione di fusione

La previsione di vedere energia elettrica consegnata da un reattore a fusione prima della seconda metà di questo secolo a volte sembra dunque scricchiolare. D’altra parte, quando si gareggia per i misteri dell’Universo, complessità e sfide oltre l’immaginabile sono da mettere in conto.

Per questo la comunità scientifica fin da subito ha valutato altre strade tecnologiche per arrivare alla fusione.

Forse richiederanno più tempo e porranno ulteriori sfide, ma le strategie alternative sono strumenti necessari quando la posta in gioco è così alta. Non offrono solamente un paracadute qualora la strada principale fosse costellata di buche e ostacoli: ampliare il ventaglio di possibilità vuol dire anche attenuare i rischi e accrescere la conoscenza per un ulteriore progresso.

Facciamo un esempio. Hai capito ormai che il problema principale con la fusione non è tanto innescare la reazione stessa: questo lo sappiamo fare. Estremamente complesso, semmai, è riuscire a controllarla. Serve governare temperature estreme, alle quali va portato il plasma perché gli atomi possano fondersi e generare energia.

Per farlo bisogna realizzare una struttura in grado di sopportarle e tenere il plasma il più stabile possibile. La macchina più promettente oggi è il Tokamak, che come ormai sai sfrutta il confinamento del plasma attraverso campi magnetici.

Le prestazioni dei dispositivi da fusione basati sul confinamento magnetico, tuttavia, scalano con una forte dipendenza dal campo magnetico. Significa che più il campo magnetico del Tokamak è potente, più le prestazioni in termini di energia estratta dal plasma migliorano. Capisci, dunque, l’inghippo?

Il progetto Iter è in fase di costruzione a Saint–Paul–lès–Durance, nella regione della Provenza–Alpi–Costa Azzurra. Fonte: Iter.org

“Iter è una macchina molto grande che per produrre energia da fusione ed essere efficiente anche a livello di sostenibilità economica, dovrà fondamentalmente restare (quasi) sempre accesa – ha spiegato il dottor Matteo Iafrati, ricercatore dell’Enea ed esperto di fusione nucleare – Per questo sfrutterà un campo magnetico enorme, nell’ordine di 5-6 Tesla, ottenuto grazie a magneti superconduttori che, se tenuti a temperature molto basse (sotto i 4,2 gradi Kelvin) acquistano delle proprietà di super conduttività: non offrono cioè resistenza al passaggio di corrente e permettono quindi un’attività continuativa”.

È chiaro però che bisogna fare i conti con la realtà e i vincoli tecnologici che oggi delimitano la ricerca in ambito fusionistico. Aumentare il campo magnetico per aumentare la potenziale produttività significa alzare la complessità dei magneti, i loro costi e gli sforzi meccanici che la macchina deve sopportare. Significa insomma azzardare una puntata senza troppe certezze di successo.

Per questo si studiano alternative. “L’approccio dell’MIT di Boston, per esempio, si concentra su Tokamak ad alto campo e per provare ad aumentare le performance dei reattori a fusione proverà a costruire un reattore più piccolo e compatto”.

Un’altra promettente strada che corre parallela al Tokamak è quella dello «Stellarator», ovvero un dispositivo che vuole confinare il plasma da fusione con lo stesso principio del Tokamak, sfruttando però una topologia leggermente diversa della macchina stessa.

Iafrati ci ha spiegato che il Tokamak per sua natura è una macchina impulsata: emette cioè un impulso di plasma che può anche durare ore ma che, a un certo punto, deve necessariamente fermarsi per ricaricarsi e ripartire. Un inconveniente che ad oggi non giocherebbe a favore di un utilizzo a fini commerciali.

Nel capitolo precedente di questa rubrica ti ho parlato più dettagliatamente di come funziona un Tokamak. Se ti ricordi, il segreto sta nell’equilibrio magneto-statico raggiunto grazie all’azione combinata di campi magnetici, alcuni dei quali sono generati da un flusso di corrente che attraversa il plasma.

Il problema, ha spiegato Iafrati, è che “la corrente che può essere utilizzata in un Tokamak viene immessa utilizzando un trasformatore che, per sua natura, funziona laddove c’è una variazione di corrente. Quindi è qualcosa di impulsato, che non lavora cioè in continuo”.

Un trasformatore che guida corrente nel plasma solo per brevi impulsi non permette una diretta spedizione di energia nella rete. “Per questo il passaggio da Iter a Demo sarà decisivo perché questa seconda macchina dovrà garantire di poter consegnare energia elettrica anche in quel periodo di mezzo, quando cioè il Tokamak è fermo”. 

Nello Stellarator invece il plasma non viene attraversato da una corrente elettrica e i campi magnetici necessari al confinamento non sono generati all’interno bensì dall’esterno, mediante delle particolari bobine magnetiche. Ciò permette al plasma di non subire interruzioni e di rimanere molto più stabile.

Un dettaglio non secondario visto che garantisce allo Stellarator di lavorare «in uno «stato stazionario», quindi in continuità e senza doversi mai fermare massimizzando energia prodotta e costi.

Oggi il più grande Stellartaor attivo è il cosiddetto Wendelstein 7-X, un reattore sperimentale a fusione nucleare sviluppato e installato al Max Planck Institute for Plasma Physics di Greifswald, in Germania.

Recentemente ha fatto notizia l’ultimo esperimento condotto con questa a macchina a forma di ciambella attorcigliata perché è riuscita a generare una scarica di plasma per la durata di ben 8 minuti, generando 1,3 gigajoule di energia: un record assoluto.

L’obiettivo a medio termine prevede di aumentare la potenza di Wendelstein 7-X fino a raggiungere 18 gigajoule, mantenendo poi il plasma stabile per ben 30 minuti.

“Nonostante l’attuale prevalenza del Tokamak (ad oggi siamo 60 a 10, ndr), è ancora possibile che gli Stellarator possano, un giorno, diventare l’opzione preferita per un potenziale impianto di energia da fusione – ha concluso Iafrati – Oggi non sappiamo se Demo sarà un Tokamak o uno Stellarator. Al momento si sta puntando a Iter, che sarà un Tokamak. Successivamente si capirà cosa fare e come realizzare il primo prototipo di centrale”.

Questo articolo fa parte della rubrica
Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…