
A ottobre, la prevenzione del tumore al seno è un argomento di gran moda. La tanta attenzione è del tutto giustificata: purtroppo, la maggior parte delle donne che ricevono una diagnosi di cancro (più di 1 su 3!) si ritrova ad avere a che fare proprio con questa malattia. Gli screening per la diagnosi precoce ci permettono di individuarla quando è in fasi più facilmente trattabili e curabili, ma non di evitarla. Piuttosto, è il nostro stile di vita a permetterci di ridurre il nostro rischio di ritrovarci alle prese con un cancro del seno e, all'interno del nostro stile di vita, anche quello che mangiamo può avere un ruolo di tutto rispetto.
Sai, per esempio, che si pensa che la ridotta incidenza del tumore al seno fra le donne asiatiche sia almeno in parte dovuta al fatto che mangino spesso soia? E che altri alimenti, invece, sono stati associati a un maggior rischio di svilupparlo?
Oggi voglio mettere sotto la lente di ingrandimento proprio uno dei cibi più spesso accusati di promuovere la comparsa del cancro: la carne. Cosa sappiamo a proposito del suo legame con il rischio di tumore al seno?
Partiamo col chiarire che ad avere l'ultima parola sulla classificazione di una sostanza o di un alimento (in generale, un “agente”) come cancerogeno è lo IARC (International Agency for Research on Cancer), un ente intergovernativo che fa parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ad oggi, lo IARC ha classificato 129 agenti come “cancerogeni per l'essere umano”, 96 come “probabilmente cancerogeni per l'essere umano” e altri 321 come “possibilmente cancerogeni per l'essere umano”, dove:
È proprio lo IARC a dirci che, per il momento, non possiamo fare di tutte le carni un fascio. Infatti, mentre il consumo di carne processata (insaccati, salumi e carni in scatola) è classificato come cancerogeno, quello di carne rossa è attualmente considerato probabilmente cancerogeno. Ciò significa che nel caso della carne rossa non ci sono sufficienti prove di cancerogenicità nell'essere umano.
La classificazione dello IARC, però, ci parla di cancro in senso ampio ed è basata prevalentemente su prove derivanti da studi su tumori del colon-retto, del pancreas e della prostata. Cosa dire, invece, a proposito del cancro al seno?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo scavare nella letteratura scientifica. Gli studi che hanno valutato il legame specifico tra consumo di carne e tumore al seno non mancano, ma i loro risultati non sono univoci o, meglio, la cancerogenicità delle carni processate sembra certa anche prendendo in considerazione il solo cancro al seno, mentre sembra ancora presto per colpevolizzare senza ombra di dubbio la carne rossa in sé e per sé. Un'interessante revisione degli studi reperibili in due grandi banche dati (MEDLINE e EMBASE), pubblicata sull'International Journal of Cancer nel 2018, ha cercato di fare chiarezza sul punto scendendo più in profondità nella questione. I suoi autori, infatti, non si sono limitati a valutare le prove di un'associazione tra cancro al seno e consumo di carne rossa o processata, ma si sono concentrati anche sulle possibili differenze tra le donne in pre- e in post-menopausa e tra tumori dipendenti o indipendenti dagli ormoni.
Dal punto di vista biologico, lo stato menopausale può rendere una donna molto diversa da un'altra. Non solo, il tumore al seno è una malattia eterogenea e alcune forme (note come “positive al recettore per gli estrogeni”) sono più fortemente associate agli ormoni rispetto ad altre (quelle “negative al recettore per gli estrogeni”).
Per quanto riguarda le carni processate, gli autori di questa revisione sistematica sono giunti alle stesse conclusioni cui erano giunte analisi precedenti, confermandole con nuovi dati a favore del legame tra il loro consumo e l'aumento del cancro del seno. Il legame sembra indipendente dallo stato menopausale, ma prima della menopausa non sembra essere significativo. Gli autori ipotizzano che questa mancanza di significatività possa essere dovuta a difetti negli studi (come il minor numero di donne in premenopausa coinvolte); resta quindi aperta la possibilità che tumore del seno e consumo di carni processate possano essere associati anche in età fertile.
Per quanto riguarda la carne rossa, invece, il suo consumo non sembra essere associato a un maggior rischio di tumore al seno, nemmeno tenendo conto della dipendenza del cancro dagli ormoni.
Difficile dire con esattezza da cosa dipenda il maggior rischio di tumore al seno associato al consumo di carni processate. In generale, l'abbondanza di nitrati e nitriti presenti al loro interno è considerata tumorigenica; di solito se ne parla in relazione a forme tumorali che colpiscono l'apparato digerente (in particolare il tumore del colon e quello dello stomaco), ma potrebbero avere un ruolo anche nella genesi del cancro del seno. Inoltre, anche la grande quantità di grassi saturi, di colesterolo e di ferro “eme” (quello presente negli alimenti di origine animale) potrebbe promuovere lo sviluppo di questa neoplasia; per esempio il colesterolo (che è precursore degli ormoni femminili) può contribuire all'infiammazione – un fattore cruciale nella progressione del tumore al seno. Infine, la cottura delle carni può portare alla formazione di molecole cancerogene, come le ammine eterocicliche.
La conclusione che puoi trarre da quanto detto finora è che il consumo non controllato di carne potrebbe aumentare la tua probabilità di ritrovarti alle prese con un tumore al seno. Per mangiarla senza correre troppi rischi puoi semplicemente aderire alle raccomandazioni per una sana alimentazione:
Un suggerimento: non sostituire carni rosse e processate solo con pollame. Altri alimenti normalmente utilizzati come “secondo” potrebbero addirittura aiutarti a ridurre il rischio di tumore al seno. Sto parlando dei legumi (in particolare la già citata soia), del pesce (in particolare quello grasso, come lo sgombro e le sarde) e dei latticini, specialmente se magri.