Perché da ambientalista comprendo gli agricoltori che protestano, ma uniamoci contro la crisi climatica

La testimonianza di Adriana Angarano, attivista dei Fridays for Future e agricoltrice, è un esempio di come, con la giusta collaborazione tra società civile e istituzioni, la transizione energetica è una via percorribile.
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Francesco Castagna 1 Febbraio 2024

Nella notte del 1 febbraio le strade di Bruxelles si sono riempite di trattori e i cittadini si sono svegliati a suon di clacson. Sono gli agricoltori europei che hanno organizzato una manifestazione nella capitale belga, recandosi davanti al Parlamento UE. Il motivo? Esprimere il proprio dissenso nei confronti delle misure previste dal Green Deal e dalla nuova PAC (2023-2027).

Sebbene le motivazioni principali siano queste, ogni organizzazione dei singoli Stati ha delle ragioni più specifiche per manifestare. In Italia, per esempio, la protesta è stata organizzata da "Riscatto Agricolo". Si tratta di un un coordinamento di lavoratori che in un documento ha provato a sintetizzare i motivi della protesta in dieci punti.

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La protesta dei trattori in Italia è diversa da quella degli agricoltori in Europa: ecco cosa chiedono

Tra le richieste degli agricoltori, anche quelle di sospendere i dazi e le quote di importazione sulle esportazioni ucraine nell’Ue. La Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha deciso di accettare le richieste e di rimandarle di un anno. Intanto, oltre ai comitati autonomi, alla manifestazione di Bruxelles si è recata anche Coldiretti, secondo cui "l’Italia per difendere l’ambiente deve proteggere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività nelle campagne". L'associazione di settore infatti ha citato in un comunicato gli ultimi dati disponibili del rapporto Efsa, secondo cui cibi e le bevande stranieri sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy.

Dall'altra parte, le associazioni ambientaliste continuano a denunciare le pratiche insostenibili del settore agricolo. È il caso di Legambiente, che sulle proteste ha solidarizzato con gli agricoltori, ma ha anche sottolineato che quelle del Green Deal sono misure necessarie per garantire agli europei l'accesso a cibi sani e sicuri, per affrontare i cambiamenti climatici e salvaguardare la biodiversità.

Due facce della stessa medaglia, la transizione energetica, che dovrebbe essere il più possibile giusta e inclusiva. Per creare un nuovo spazio di dialogo abbiamo contattato Adriana Angarano di Fridays for Future. Agricoltrice e attivista, le sue preoccupazioni si dividono tra le istanze ambientaliste e quelle degli agricoltori. "Sulla questione dell'esportazione credo che sia stata fatta una comunicazione incentrata sul Made in Italy, che però tende esclusivamente alla competitività e non mette in risalto di fatto le colture locali", dice Angarano, spiegando che: "la comprensione dei problemi della crisi climatica da parte del comparto agricolo viene resa difficile dalla mancata conoscenza delle problematiche legate all'agroecologia". Si tratta quindi di un tema complesso secondo cui, per Angarano, non dobbiamo cedere a una narrazione che mira alla polarizzazione, ma dovremmo cercare di comprendere il più possibile le istanze delle persone.

L'altra questione, nella quale Angarano si ritrova a pieno, è che non esiste una alternativa alle modalità di produzione attuale, in assenza di investimenti. "Se il comparto agricolo non ha una alternativa in cui riconoscersi, difficilmente può fare una comunicazione diversa da questa, o può appoggiare le scelte di Bruxelles. Le uniche due narrazioni sono quelle portate avanti dai big che conosciamo: Coldiretti, il Governo etc. L'alternativa si potrebbe creare se ci fosse a monte una comunicazione corretta su quali sono le vertenze che noi attivisti portiamo avanti, il settore agricolo le comprende e quindi poi si può creare un percorso comune", dice Angarano.

Tra le istanze portate avanti dagli agricoltori c'è anche quella di non togliere gli incentivi sull'acquisto del gasolio. Come arrivare a una soluzione condivisa tra agricoltori e ambientalisti? "Non è una scelta giusta togliere gli incentivi al gasolio. Non si può chiedere a un settore, di punto in bianco, di andare avanti senza le basi sulle quali si è sempre fondato. I contributi poi purtroppo sono soggetti a una burocrazia infinita che snatura l'agricoltore e lo vorrebbe più imprenditore che altro. Allo stesso tempo non c'è una conoscenza approfondita di cosa voglia dire lavorare nel settore agricolo in termini agroecologici, perché altrimenti ci sarebbero più prodotti sul mercato". 

È dura l'opposizione anche nei confronti delle nuove farine introdotte nel mercato UE, come quella di grillo. Per Angarano si tratta in questo caso di un problema culturale, per cui in Europa siamo legati molto alla tradizione. Allo stesso tempo ci spiega che anche nel caso delle nuove farine il problema è lo sfruttamento delle risorse, per cui bisogna trovare la misura. "Non è una cosa che potrebbe essere fatta in maniera radicata, per cui per me ha poco senso introdurre queste nuove farine. Trovo molto più di valore continuare a lavorare la terra, senza necessariamente sfruttare il suolo, o ricorrere alle tecniche che sono le più diffuse. "La domanda principale da farsi è: chi ha detto che avremo sempre più bisogno di queste nuove tecniche? È stato scelto che sia così, e perché?". Sulla carne coltivata invece non ci sono dubbi: "è chiaramente una soluzione che limita un contesto di emergenza in cui ci troviamo. Se però si continua a fare terrorismo su questo tema, se si perde questo livello di complessità, difficilmente il settore può comprenderlo e farlo proprio".

Per creare un dialogo costruttivo tra le parti, dunque, bisogna indagare la complessità e comprenderla. Così facendo si scopre che le istanze degli ambientalisti non sono così distanti da quelle degli agricoltori: "Io non mi ritrovo quasi in nulla sulla nuova PAC. Forse l'unica cosa che posso provare a comprendere è l'abbattimento del 65% dei fitofarmaci entro il 2030. Anche sua questo però ho forti dubbi: non lo vedo sostenibile, perché non c'è un'alternativa. Quindi è chiaro che le persone poi non sappiano come fare o come andare avanti".