Chi sono e cosa vogliono i bolsonaristi radicali che hanno invaso il Congresso nazionale e la Corte suprema

L’8 gennaio 2023 in Brasile le istituzioni vengono messe sotto assedio da parte dei manifestanti sostenitori di Bolsonaro. Con un atto rivoluzionario hanno invaso la Corte Suprema e il Congresso nazionale. Ma chi sono e, soprattutto, cosa vogliono?
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Francesco Castagna 9 Gennaio 2023

L'8 gennaio passerà alla storia in Brasile per aver assistito alla violazione e alla devastazione delle istituzioni del Paese. I fan radicali dell'ex presidente Jair Bolsonaro hanno fatto irruzione all'interno del Congresso nazionale e nella Corte suprema. Le condanne al gesto sono arrivate da tutto il mondo, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen al presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Dopo l'aggressione, Alexandre de Moraes, giudice della Corte Suprema brasiliana, ha destituito per 90 giorni il governatore di Brasilia, Ianeis Rocha. Secondo de Moraes, Rocha sarebbe stato a conoscenza dell'assalto alle istituzioni.

In tutto, secondo Rocha, le persone arrestate sono attualmente più di 400 persone. Secondo Lula, la responsabilità di queste azioni è da attribuire a Bolsonaro e ai suoi sostenitori. "Tutto il mondo sa che durante i suoi discorsi l'ex Presidente della Repubblica (Bolsonaro ndr) ha stimolato tutto ciò, l'invasione nel palazzo della Corte Suprema e nel Congresso nazionale", ha detto Lula nel corso di una conferenza stampa, e ha continuato: "Egli ha stimolato un'invasione ai tre poteri appena ha potuto, è sua responsabilità, è responsabilità dei partiti che lo sostengono, e lo proveremo in modo schiacciante e velocemente".

Ad accuse del genere Bolsonaro ha risposto che, durante il suo mandato,  è sempre stato rispettoso dei principi costituzionali, rispettando e difendendo le leggi. Poi ha rigettato le accuse di Lula e condannato l'aggressione. "Durante tutto il mio mandato, sono sempre stato nelle quattro linee della Costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia, la trasparenza e la nostra sacra libertà", ha risposto l'ex presidente del Brasile.

Non è la prima volta che dei gruppi di manifestanti cercano di rompere le cinture di sicurezza delle sedi istituzionali, rispetto a prima però la reazione delle forze dell'ordine appare debole e timida, a tal punto che la polizia è stata accusata di collusione.

Chi sono

Urla, bandane, esplosivi e aggressioni alla polizia. Una nuova Capitol Hill, i fan di Bolsonaro inscenano una manifestazione simile a quella messa in atto dai sostenitori di Trump poco dopo la sua sconfitta alle presidenziali. Ma chi sono i golpisti fan di Bolsonaro e cosa vogliono? Sui social commentano ironicamente l'aggressione dell'8 gennaio e chiedono che Lula si dimetta perché "ha imbrogliato il popolo brasiliano".

Chiedono il ritorno dell'ex presidente Bolsonaro, che sul clima aveva detto di non dover rendere conto al mondo, che gli scienziati brasiliani hanno affermato quanto sia un errore sostenere che la foresta amazzonica è il polmone del mondo.

Pensano che le notizie sul clima siano "bugie mediatiche" e vogliono il ritorno di un presidente che, quando era in carica, si è sfilato dall'organizzazione della Cop25, ha minacciato lo stop agli accordi di Parigi (salvo poi essere fermato da una sentenza della Suprema corte federale, che ha dichiarato che gli Accordi di Parigi rientrano nei diritti umani) e ha detto senza mezze misure che le questioni ambientali vengono dopo l'economia del Brasile.

"La politica ambientale non può ostacolare lo sviluppo del Brasile. Oggi l’economia è in salute quasi solo nell’ambito dell’agribusiness. E proprio quest’ultimo si trova soffocato da questioni ambientali che non contribuiscono in nulla alla crescita né alla preservazione della natura", questo è ciò che ha sempre sostenuto l'ex presidente Bolsonaro e i suoi sostenitori. Uno dei mercati più diffusi nel paese è infatti quello dell'agribusiness, che dà lavoro al 32,7% dei lavoratori in Brasile, quasi un terzo della forza lavoro.

Per permettere al settore dell'agribusiness di continuare a estendere il proprio sviluppo l'esecutivo di Bolsonaro aveva dato il via a una serie di progetti governativi, finalizzati a togliere le terre di origine degli indigeni, aumentare la deforestazione nella foresta amazzonica e favorire l'estrazione mineraria (tanto che il PL490 era stato definito il "pacchetto anti-indigeni"). Con questo progetto di legge infatti Bolsonaro voleva alterare le regole di demarcazione delle terre indigene e impedire a 200 mila indigeni di entrare in possesso di 303 terre nel Paese.

Non solo, gli elettori di Bolsonaro continuano a sostenere le sue politiche anche in materia di politica estera e sul clima. Nel 2019 infatti l'ex presidente aveva rifiutato gli aiuti del G7 per la creazione di un fondo di 20 milioni di euro, finanziamenti che dovevano essere utilizzati per contrastare gli incendi e combattere la deforestazione. La replica del precedente governo all'annuncio della creazione di un fondo fu alquanto dura: "Macron non può nemmeno evitare un incendio prevedibile in una chiesa che fa parte del patrimonio mondiale e vuole dare lezioni al nostro paese?".