Chi sono Rosanna Benzi e Giovanna Romanato, le due donne italiane che hanno vissuto decenni in un polmone d’acciaio

La storia di Paul Alexander, l’uomo che ha vissuto oltre 70 anni in un polmone d’acciaio a causa dei gravi danni legati alla poliomielite, ha riacceso l’attenzione anche sulla storia di due donne italiane colpite dallo stesso destino. Si tratta di Rosanna Benzi e Giovanna Romanato. Come Paul, anche loro oggi sono imperituri simboli di coraggio, forza, dignità e resilienza.
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Kevin Ben Alì Zinati 29 Marzo 2024
* ultima modifica il 29/03/2024

Ci si può sentire soli, abbandonati, esclusi dal mondo a passare la vita costretti dentro a un polmone d’acciaio. Forse ci si sente anche sbagliati, maledetti. E nessuno potrebbe mai cercare di convincere dell’opposto.

La storia di Paul Alexander però non fa questo. Gli oltre 70 anni trascorsi dentro una macchina che di fatto ha sempre respirato per lui raccontano invece che in quel buco nero di dolore, paura e sofferenza ci può essere spazio anche per altre cose. Il coraggio e la determinazione, per esempio.

Quelle virtù che servono per diplomarsi, laurearsi, diventare avvocato ed esercitare la professione o scrivere un libro proprio come ha fatto Paul, scomparso a marzo 2024 e ad oggi la persona che in assoluto ha trascorso più tempo dentro a un polmone d’acciaio.

Le stesse virtù servono anche per fondare riviste e associazioni, guidare battaglie per i diritti delle persone con disabilità, innamorarsi e sposarsi, gioire per la propria squadra di calcio, ridere di pancia e sognare in grande nonostante si resti chiusi in quel macchinario freddo simile a un mini sommergibile.

Questi però sono i contorni delle storie di altre due persone. Due donne, italiane, Rosanna Benzi e Giovanna Romanato, che come Paul hanno passato la maggior parte della loro vita distese con la testa all’insù e il resto del corpo chiuso dentro a un polmone d’acciaio e che qui, da qui, sono diventate anch’esse imperituri simboli di coraggio, forza, dignità e resilienza.

Rosanna Benzi è stata costretta ad entrare nel polmone d’acciaio 10 anni dopo Paul, nel 1962, quando non ancora quattordicenne fu colpita anche lei dalla poliomielite.

La malattia le arrivò addosso in maniera violentissima qualche mese prima che il primo vaccino fosse disponibile e subito le provocò una tetraplegia e una pericolosissima insufficienza respiratoria.

Nel giro di poco tempo, Rosanna perse la sensibilità negli arti e nel resto del corpo finché non riuscì più nemmeno a respirare.

Rosanna Benzi– Photo credit: Wikipedia.

Per sopravvivere, fu costretta a entrare in uno di quei macchinari diventati tristemente noti e familiari anche in Italia a causa del boom della polio e per 29 anni restò dentro a quello che aveva ribattezzato come il suo “scaldabagno”.

I medici lo avevano collocato dentro l’Ospedale San Martino di Genova e sull’estremità più alta ci avevano sistemato uno specchio grazie al quale Rosanna poteva guardare sé e un pezzetto del mondo che le stava attorno.

Da qui, Rosanna visse la propria vita a modo suo. Seguendo le orme della famiglia e specialmente quelle del padre, socialmente, culturalmente e politicamente attivo, mise la propria vita al servizio degli altri.

Nel 1976 fondò e diresse "Gli Altri", una rivista impegnata nella sensibilizzazione verso i temi della disabilità e dell’emarginazione sociale a cui vanno spesso incontro le persone che convivono con queste condizioni.

Da dentro il suo polmone d’acciaio, Rosanna si fece alfiere di molte delle battaglie che sfortunatamente continuano a combattere ancora oggi.

Lottò, per esempio, per eliminare le barriere architettoniche e rendere strade, edifici e luoghi pubblici più inclusivi e a misura di tutti, si schierò a favore dell’abbattimento delle tasse sulle sedie a rotelle e i dispositivi ortopedici.

Nei suoi 43 anni di vita (è scomparsa il 4 febbraio 1991), Rosanna non fece solo l’attivista. Si innamorò e accarezzò l’idea di provare ad avere un figlio insieme al suo fidanzato, anche se poi cambiò idea consapevole che non avrebbe potuto garantire al proprio bambino la presenza fisica che avrebbe voluto.

All’epoca non c’erano smartphone o computer e le comunicazioni da una parte all’altra del mondo non erano così facili, nemmeno da una parte all’altra della stessa Regione. È probabile quindi che all’inizio della sua convivenza nel polmone d’acciaio, Rosanna non sapesse della storia di Giovanna Romanato. Non sapeva dunque che qualche anno prima di lei un’altra bambina genovese, come lei, si era scontrata con una grave forma di poliomielite.

La malattia aveva messo i bastoni tra le ruote ai sogni di Giovanna a 10 anni, quando ancora bambina sognava di diventare una hostess e poi una mamma.

Il primo ricovero costrinse Giovanna al Gaslini di Genova per 17 mesi. Per i primi tempi il polmone era sempre rimasto acceso e Giovanna poteva respirare solo grazie a quel macchinario gigante e un po’ sinistro.

Gradualmente però i medici cominciarono a spegnerlo per un minuto ogni ora, durate i quali Giovanna poteva riassaporare un po’ di quella normalità rubata.

Quei momenti così “angosciosi” li ha raccontati lei stessa in un diario pubblico e accessibile online sul suo sito. “Il respiro mi cessava all'improvviso, perdevo la voce, diventavo tutta rossa e gli occhi lacrimavano – ha scritto Giovanna qualche anno fa – e poi un gran mal di testa! Insomma, non sono mai stata nei panni di un pesce fuor d'acqua ma credo proprio che la sensazione fosse la stessa…purtroppo!”.

Questo però era ciò che avrebbe dovuto attraverso per seguire la lunga e lenta riabilitazione dai gravi danni che le aveva provocato la polio.

Questa fase della sua vita durò vari mesi e piano piano portò a dei risultati. Settimana dopo settimana, infatti, i minuti fuori dal polmone d’acciaio aumentarono diventando ogni ora 2, poi 5, poi 10, Alla fine, Giovanna riuscì a conquistarsi delle ore: frammenti preziosissimi di vita all’aria aperta.

Nelle sue pagine digitali, Giovanna ha anche raccontato del corsetto rigido che le attorcigliava la schiena permettendole di stare dritta e camminare. Ha ricordato di come si doveva appoggiare a un girello per muovere dei passi e di quel giorno in cui, dopo quasi un anno e mezzo di ricovero continuativo in ospedale, riuscì finalmente a tornare a casa e a recuperare una certa normalità.

Giovanna Romanato. Photo credit: blog personale di Giovanna Romanato.

Sì, perché sia di giorno che di notte poteva respirare da sola e senza dover entrare dentro al polmone d’acciaio. Giovanna stava così bene che era addirittura tornata a studiare, a giocare con gli amici che erano rimasti lì ad aspettarla e a passeggiare insieme alla mamma, al papà al fratello Lino.

La sua normalità però durò troppo poco: due anni e mezzo. A 14 anni, infatti, Giovanna ebbe un improvviso peggioramento del respiro dovuto a non si sa bene cosa.

Fu costretta a un nuovo ricovero al Gaslini dove restò per quattro anni e mezzo. Quando potè uscire aveva già spento 18 candeline e il polmone d’acciaio era diventato un compagno inseparabile.

Un polmone d’acciaio è una struttura capace di sostituirsi ai polmoni di una persona colpita da una forma grave di poliomielite e, di fatto, respirare per lui. Photo credit: Wikipedia.

Da quel momento in poi, infatti, non lo abbandonò mai più. Ne uscì per brevi momenti durante il giorno ma di fatto quella struttura di acciaio divenne la sua casa.

Da lì Giovanna ha incontrato tantissime persone che in lei hanno trovato una vera e propria guida spirituale e una fonte di ispirazione. Muovendo lentamente una sola mano, ha creato i propri profili social per scambiare storie e racconti con tantissime persone online e tenersi aggiornata sul mondo che accadeva fuori. Grazie a Internet non ha hai perso nemmeno una partita della sua Sampdoria.

Giovanna Romanato è morta nel 2019 a Genova, in seguito alle complicazioni di una bronchite. Aveva 72 anni e per 60 era rimasta nel polmone d’acciaio, diventando l’unica persona in Italia a viverci da un periodo di tempo così lungo.

Paul, Rosanna, Giovanna. Sono solo alcuni esempi che ci ricordano quanto possiamo essere forti. E quanto sia importante non dimenticarci che tutti siamo fatti di coraggiodignità e di resilienza.

Fonte | Ministero della Salute 

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