1,4 milioni di kg di plastica estratti da uno dei fiumi più inquinati del mondo: come funzionano le diverse tecnologie per pulire le acque

L’Ocean CleanUp continua a ripulire le acque dall’inquinamento da plastica. L’obiettivo attuale è quello di impedire che il Mare dei Caraibi diventi un’isola di plastica galleggiante.
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Mattia Giangaspero 24 Aprile 2024

Un muro di gomma, immerso nelle acque del Guatemala, pronto a raccogliere milioni e milioni di rifiuti, impedendo che gli stessi finiscano nel mar dei Caraibi. È questo il progetto che continua a portare avanti con successo l'organizzazione no-profit Ocean Cleanup. La lotta all'inquinamento da plastica parte da prevenzione, blocchi di produzione e sensibilizzazione, ma nella pratica parte anche da questi progetti che riescono a ripulire le acque del Pianeta ormai, in molte aree, diventate delle vere isole di plastica.

Secondo le stime dell'Onu, ogni anno finiscono negli oceani circa 8 milioni di tonnellate di plastica, che si accumulano formando enormi isole galleggianti.

Riuscire a rimuovere tutta questa plastica è impresa ardua, ma la Ocean Cleanup, come da tempo raccontiamo, ci sta riuscendo. L'ultima sua impresa compiuta nel mese di aprile 2024 riguarda il Guatemala e sulla loro pagina Instagram hanno pubblicato un video in cui mostrano cosa è stato fatto.

"Abbiamo appena fatto la nostra più grande cattura di plastica di sempre. L'Intercettore 006 a Rio Las Vacas, Guatemala, ha fermato 272 camion carichi di rifiuti – pari a 1,4 milioni di kg (3,1 milioni di libbre) – dallo scorrere nel Mar dei Caraibi. Il tutto in una sola serata". Commenta l'organizzazione.

Come funziona la barriera di gomma di Ocean Cleanup?

Il nuovo interceptor Barricade introdotto in questa missione si distingue rispetto a tutti gli altri strumenti utilizzati poiché presenta bracci galleggianti estremamente resistenti (uno a monte con una lunghezza di 51 metri e un secondo più a valle a 107 metri di lunghezza) alle correnti. Inoltre l'idea è stata quella di posizionare la struttura 500 metri più a monte per evitare una forte pressione.

Queste enormi barriere a forma di U vengono trainate da delle navi e sono realizzate in materiale galleggiante. Il sistema è progettato per essere passivo, ovvero non richiede la presenza di personale o di energia per funzionare. Le correnti marine e i venti sono sufficienti a convogliare i rifiuti verso le barriere.

Oltre però a questa tecnologia proposta da Ocean Cleanup esistono anche altri strumenti che sono stati e vengono messi in campo da altre organizzazioni no-profit per ripulire le acque dalla plastica.

Seabin, il cestino raccogli plastica

The Seabin Project è progetto tanto rivoluzionario quanto semplice dedicato alla pulizia dei mari.
Realizzato dall’omonima start up fondata da due surfisti australiani, Andrew Turton e Pete Ceglinski, il Seabin consiste in una sorta di bidone dell’immondizia del mare, che viene immerso in acqua e raccoglie spontaneamente i rifiuti che è il mare stesso a trascinarvi dentro. Ma non solo: l’acqua che entra nel bidone viene filtrata ed espulsa tramite una pompa elettrica che la depura anche da olii, carburanti e altri liquidi nocivi.

Clearbot la barca mangia oggetti

è il progetto di una startup di Hong Kong, la Open Ocean Engineering. I suoi fondatori, Sidhant Gupta e Utkarsh Goel, hanno avuto questa idea durante un viaggio a Bali. I due giovani ingegneri osservavano le persone del luogo raccogliere i rifiuti a mano ed è così che hanno avuto l’intuizione di rendere automatico il processo di pulizia delle acque.

Clearbot ha un motore elettrico alimentato da una batteria solare rinnovabile, perciò, a differenza dei metodi di raccolta manuali, non inquina con combustibili fossili costando soltanto 10 centesimi al chilometro, senza emissioni né bisogno di intervento umano. In un giorno solo è capace di raccogliere tonnellate di spazzatura galleggiante, ma è la sua ingegnosità il vero punto di forza che potrebbe cambiare le sorti della lotta all’inquinamento.

Non solo Clearbot si muove da solo su rotte prestabilite, come se pattugliasse le acque ma la sua straordinaria intelligenza artificiale gli permette di riconoscere e registrare ogni rifiuto raccolto in modo da dividerlo per tipologia prima di tirarlo su attraverso un nastro trasportatore. Per riuscirci si serve di un sistema di sensori e fotocamere con cui analizza i dintorni, il che gli permette anche di evitare gli ostacoli e soprattutto di non disturbare la fauna marina.

River Cleaning Plastic & Oil

Lo ha pensato Mold S.r.l, azienda operativa nel settore dei materiali termoplastici. Perchè Mold ha pensato di progettare questo sistema?  L‘azienda Mold, di Cassola è partita analizzando un dato allarmante: l’80% dei rifiuti di plastica nell’oceano proviene dai fiumi. Per questo motivo il progetto di River Cleaning vuole provare ad agire direttamente sui corsi d’acqua, prima che i rifiuti sfocino in mare.

River Cleaning Plastic & Oil è in grado di funzionare sempre, 24 ore su 24, sette giorni alla settimana e riesce ad intercettare l’85% dei rifiuti galleggianti (dichiara la società).

Moduli fluttuanti simili a delle boe, posti a formare una barriera in diagonale lungo il fiume, bloccano i rifiuti e li indirizzano verso un punto di raccolta posizionato sulla riva. A seconda del tipo di rifiuto da raccogliere, che siano plastiche, oli o scarichi industriali molto pericolosi per l’ecosistema, i moduli boa presentano delle caratteristiche specifiche.

Non va dimenticato anche che recuperare i rifiuti nei fiumi è il modo migliore per creare nuovi prodotti riciclati: il mare restituisce materiale molto più corroso e quindi con meno possibilità di essere riciclato al 100%.

Fonte | Ocean Cleanup , Seabin , River Cleaning , Clearbot

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