Cosa significa e quanto durerà il miglioramento dell’aria per il lockdown? Ne parliamo con Cinzia Perrino del Cnr

L’emergenza Covid-19 ha determinato una situazione eccezionale ed effettivamente l’inquinamento atmosferico è calato, soprattutto per la diminuzione del traffico veicolare; ma il timore è che, una volta ripartito il motore dell’economia, si ritorni a inquinare come prima. A meno che i governi non adottino in maniera sistematica misure per favorire la transizione ecologica.
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Federico Turrisi 16 Aprile 2020

Basta dare un'occhiata alle immagini satellitari e ai dati delle centraline di monitoraggio della qualità dell'aria; se vivi in città come Torino o Milano, hai avuto modo di verificarlo in prima persona: in queste ultime settimane si respira un'aria più pulita. Tra le conseguenze del blocco imposto dalle autorità per contrastare la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 c'è infatti il sensibile calo dell'inquinamento atmosferico. Calo dovuto in particolar modo alla diminuzione di veicoli circolanti, come testimoniano le strade deserte dei principali centri urbani.

"Questa è un'occasione unica, anche se avremmo preferito non averla, per renderci conto, attraverso una sorta di esperimento su vasta scala, di che cosa succede quando l'inquinamento da traffico veicolare viene ridotto", afferma Cinzia Perrino, dirigente di ricerca presso l'Istituto sull'Inquinamento Atmosferico del Cnr.

Il lockdown ha avuto ripercussioni sulla concentrazione di alcuni inquinanti primari, cioè quelli che vengono immessi direttamente nell'atmosfera da una qualche sorgente, solitamente a seguito di un processo di combustione. Per sostanze come il benzene e il monossido di azoto la sorgente principale è appunto il traffico. "Se calano le emissioni, diminuiscono anche le concentrazioni. A seconda dei luoghi si sono registrate in Italia diminuzioni del 50,70,80 per cento", aggiunge l'esperta.

Il discorso riguardante il particolato, ossia il Pm 2,5 e il Pm10, è invece un po' più complicato. "Anche in questo caso ci sono state riduzioni, ma meno importanti. In media, siamo intorno al 50%. Questo perché bisogna considerare che il tasso emissivo non è sufficiente come parametro per determinare la concentrazione, che è quello che noi misuriamo. Ci sono in gioco altre variabili. Per esempio, se ci sono venti forti, la qualità dell'aria migliora, perché gli inquinanti vengono rimossi. Se invece ci sono condizioni stabili e l'atmosfera rimane più o meno la stessa in un certo luogo, è chiaro che la concentrazione non può che salire".

Quante volte avrai sentito dire che il bacino padano è il posto peggiore da questo punto di vista? Il motivo è proprio questo: la particolare conformazione del territorio, con delle catene montuose intorno, fa sì che per lunghi periodi (soprattutto nella stagione invernale) l'atmosfera non si rimescoli e quindi le concentrazioni di polveri sottili salgano in maniera considerevole. Ben al di sopra della soglia, che è fissata dalla legge italiana a 50 microgrammi al metro cubo.

"Per esempio, nel mese di marzo abbiamo avuto comunque due periodi in cui i livelli delle polveri sono rimasti piuttosto alti. Il primo episodio, intorno al 20 marzo, è legato alla stabilità atmosferica: in sostanza, aria ferma. A Milano siamo saliti sopra gli 80 microgrammi al metro cubo, ma in condizioni di traffico normale, diciamo così, saremmo potuti salire anche a 120, 130", spiega Perrino. "Il secondo episodio, che risale al 28-29 marzo, è invece legato a un trasporto di masse d'aria, cariche di polveri, provenienti dalla regione del mar Caspio. Un fenomeno abbastanza inusuale".

"Le polveri più nocive sono quelle che derivano dai processi di combustione: traffico veicolare, riscaldamento, industrie"

Non dobbiamo dimenticare che una parte delle polveri presenti in atmosfera sono di origine naturale (le sabbie dei deserti, le ceneri vulcaniche, il sale del mare eccetera) e sfugge dunque al nostro controllo. Tra l'altro, parliamo sempre di concentrazioni e non di quanto siano nocive per l'uomo. L'aria di mare, che è ricca di cloruro di sodio e di cloruro di magnesio, non è detto che faccia male, anzi. Una cosa però noi la sappiamo per certo: si può agire sulle emissioni di origine antropica, e quelle sì che sono dannose per la salute e per l'ambiente. "Le polveri più nocive sono quelle che derivano dai processi di combustione. Quindi tutto ciò che proviene dal traffico, visto che i motori dei veicoli bruciano, tutto ciò che proviene dal riscaldamento, soprattutto se brucio legna, e infine alcuni processi industriali".

La domanda a questo punto è una sola: ritornare alla normalità significherà ritornare a inquinare come prima? La risposta sembra, purtroppo, scontata. Tutto dipenderà dalla linea che vorranno seguire i governanti e dai comportamenti dei singoli cittadini. "Le strategie per contenere il problema dell'inquinamento atmosferico le conoscevamo anche prima che arrivasse il coronavirus: diminuire il numero di veicoli circolanti, potenziare il servizio pubblico, favorire la mobilità elettrica e la micromobilità, rendere il riscaldamento più efficiente e via dicendo. Tutte cose già note. E poi bisogna limitare l'utilizzo dei combustibili fossili a favore delle fonti rinnovabili". Non possiamo certo rinunciare quanto meno a fare un tentativo per cambiare rotta, una volta che l'emergenza sanitaria sarà finita. Che non si dica che per affrontare un problema come lo smog ci vuole per forza una pandemia.