Cosa sono i razionamenti di energia e come funzionano nella pratica

Gli effetti della guerra in Ucraina, come una possibile carenza futura di gas e petrolio, potrebbero portare – come evento estremo – al razionamento di energia. Ma cos’è, e soprattutto come funziona un razionamento nella pratica? Il nostro Paese potrebbe arrivare a prendere questa decisione? Te lo spieghiamo in questo articolo.
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Michele Mastandrea 28 Aprile 2022

Parlando della guerra tra Russia e Ucraina, pensando a possibili stop alle forniture di energia da parte di Mosca, c'è una parolina che a volte compare nel discorso: razionamento. Tra i primi a parlarne nel nostro Paese, lo scorso 17 marzo, è stato il premier Mario Draghi. "Se le cose continuassero a peggiorare dovremmo cominciare a entrare in una logica di razionamenti", disse l'ex leader della Bce in conferenza stampa, rispondendo a chi sottolineava i rischi dell'eccessiva dipendenza italiana dai combustibili fossili russi.

Ma cosa significa nella pratica un razionamento? In termini semplici, e rimanendo sul terreno dell'energia, è l'interruzione del servizio di luce e gas, di tempo e quantità indefiniti. Si può trattare di alcune ore al giorno di stop totale all'erogazione, oppure di un limite fissato all'utilizzo dei combustibili. Obbligando per esempio a mantenere la temperatura in casa non oltre dei livelli stabiliti, come del resto già deciso dal governo per quanto riguarda gli uffici della Pubblica Amministrazione.

Cause e conseguenze

Un simile provvedimento può essere preso per diverse ragioni. Una crescita troppo alta del prezzo del gas, dovuta alle tensioni internazionali, potrebbe ‘obbligare' a tagliare gli acquisti, e quindi ad avere meno gas a disposizione. Stesso effetto  – rimanendo alla stretta attualità – potrebbe avere una decisione unilaterale di Vladimir Putin di smettere di esportare gas e petrolio ai Paesi schierati in favore dell'Ucraina, come successo con Polonia e Bulgaria. Oppure, viceversa, l'embargo totale europeo agli acquisti dalla Russia.

Ovviamente, è più probabile e più sostenibile un razionamento del gas (alla fine di raffreddamento e riscaldamento si può riuscire a fare a meno in qualche modo) che dell'elettricità (pensiamo solo ai problemi dell'interruzione di corrente per frigoriferi e freezer, o in generale all'ipotesi di rimanere al buio in casa). Ma senza dubbio le conseguenze di un razionamento sono particolarmente sgradevoli per l'impatto che hanno sulla normalità delle nostre vite.

Senza pensare all'effetto sull'economia: un aumento dei prezzi o uno stop alle forniture potrebbe portare a rallentamenti nella produzione, all'aumento dei prezzi dei beni prodotti, così come alla chiusura temporanea degli impianti o al taglio del personale.

Nessun allarmismo

Ovviamente, l'importante è sgombrare il campo dagli allarmismi. Al razionamento, devi sapere, non si arriverà –  se mai ci arriveremo – di colpo. Esiste infatti l'obbligo da parte delle autorità del nostro Paese di emettere una serie di allarmi preventivi che segnalino l'emergenza in corso, come previsto dal Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale.

Il primo livello, noto come "early warning", è già stato dichiarato dal nostro Paese dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Dopo di questo, esistono il livello "alert" e quello "emergency". Solo quest'ultimo porterebbe ad azioni rilevanti come utilizzare le scorte di energia che abbiamo a disposizione nei centri di stoccaggio, "prendendo tempo" per ricorrere a fonti alternative. Il razionamento è l'ultimissima arma in mano dei governi, e molto difficilmente verrà usata.

Un solo precedente

Anche perché altre misure potrebbero essere prese per ridurre i consumi. Ad esempio, un ritorno allo smart working di massa, già sperimentato ai tempi del Covid, potrebbe permettere agli uffici pubblici e ai luoghi di lavoro di risparmiare molta energia. Altri tagli potrebbero riguardare l'illuminazione pubblica delle strade, dei monumenti e degli edifici. Insomma, prima di arrivare al razionamento nelle case ci sono moltissimi passi intermedi che si possono fare.

Storicamente, limitandoci al secondo dopoguerra, l'Italia ha un solo precedente di questo tipo. Avvenne ai tempi dello shock petrolifero del 1973, quando il governo varò la misura per fare fronte agli effetti del rincaro dei prezzi del petrolio deciso dall'Opec, l'associazione internazionale che riunisce i principali Paesi produttori di greggio. Ai tempi il razionamento fu dovuto al taglio dell'export di petrolio da parte dei Paesi arabi, in protesta contro le nazioni maggiormente legate a Israele nell'ambito della guerra del Kippur. Ora 50 anni dopo, la parolina che pochi vorrebbero sentire è tornata. Speriamo di ascoltarla il meno possibile.