Dove si trovano i termovalorizzatori in Italia e quali hanno chiuso

Come funziona un termovalorizzatore, ovvero un impianto che produce energia dalla combustione dei rifiuti? Soluzione preferibile alla discarica, per molti è un passo indietro nella marcia verso la transizione ecologica, fondata anche sull’economia circolare, sul riciclo e sul riuso.
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Mattia Giangaspero 27 Febbraio 2024

Ci siamo, Roma avrà un suo termovalorizzatore, tanto atteso dalla giunta di Roberto Gualtieri. Avrà una capienza di 600mila tonnellate annue e sarà costruito basandosi sul modello di termovalorizzatore presente a Copenaghen. Purtroppo l'emergenza rifiuti nell'ultimo anno, nella Capitale, non ha dato segni di miglioramento, nonostante i diversi tentativi da parte dell'assessorato all'ambiente di migliorare le dinamiche di smaltimento dell'immondizia. Sicuramente sarà un'opera che avrà un grande impatto storico in Italia, perché mai fino a ora era stato costruito un termovalorizzatore così grandi nel Centro-Sud. E poi altra questione su cui, ormai da qualche anno, si sta facendo è quella ambientale. Che impatto avrà il termovalorizzatore di Roma? Quanto inquinamento potrebbe produrre? Era meglio procedere con la gestione dei rifiuti in discarica?

In quest'articolo proviamo a rispondere a tutte le domande e i dubbi che puoi avere sul termovalorizzatore, ma prima di cominciare sappi che non si tratta mica del primo in tutt'Italia. Il nostro Paese ne ha già ben 37 attivi e negli ultimi anni sono stati dismessi già 3 (due in Veneto, grazie all'aumento della raccolta differenziata). Ora possiamo iniziare:

Che cos'è un termovalorizzatore

Un termovalorizzatore è un impianto industriale per bruciare i rifiuti indifferenziabili, ovvero quelli che non possono essere riciclati e riutilizzati tramite raccolta differenziata. Il suo significato si capisce meglio in paragone a quello di un'altro tipo di impianto ‘simile', ovvero un inceneritore.

Un termovalorizzatore si distingue dall'inceneritore perchè a differenza di quest'ultimo produce energia dai rifiuti, appunto "valorizzandoli". Similmente all'inceneritore, produce però anche sostanze tossiche dalla bruciatura degli scarti. Secondo alcuni studi, queste emissioni nocive sarebbero però otto volte inferiori a quelle prodotte dalle attività delle discariche.

Come funziona un termovalorizzatore

All'interno di un termovalorizzatore i rifiuti vengono bruciati in un forno, composto da una o più caldaie che operano a una temperatura superiore agli 850 gradi. Questo così da permettere la totale ossidazione del rifiuto ed evitare la produzione di diossine. Il vapore prodotto dalla combustione aziona a questo punto il cosiddetto turbogeneratore. Si tratta di un motore a turbina che produce energia, la quale poi viene immessa nella rete elettrica. Alcuni modelli innovativi di termovalorizzatore producono anche acqua calda che viene poi distribuita nelle case tramite le tubature della rete idrica.

fumi nocivi emessi dalla bruciatura dei rifiuti sono invece filtrati (meglio o peggio a seconda dell'avanzamento della tecnologia) e poi espulsi tramite canna fumaria, a una temperatura di circa 140 gradi. Il prodotto finale del ciclo è un mix tra ceneri, che ammontano a circa il 30% del peso del rifiuto originario, e polveri sottili, recuperate in parte (non del tutto) da uno specifico sistema di filtraggio. Ceneri e polveri sono infine portate in discariche per rifiuti speciali.

Dove si trovano i termovalorizzatori in Italia?

In Italia, come detto all'inizio, ci sono 37 termovalorizzatori e la maggior parte di questi si ritrova al Nord. Parliamo, con esattezza, di 26 impianti, di cui 13 in Lombardia e 7 in Emilia Romagna. Nel 2020, hanno trattato complessivamente circa 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani che rappresentano il 74,5% di quelli inceneriti nel Nord. Questo vuol dire che un buon 25,5% sono rifiuti che provengono dal Centro e dal Sud Italia. E questo perché proprio al Centro e al Sud sono operativi solamente 5 e 6 impianti che hanno trattato oltre 532 mila tonnellate e più di un milione di tonnellate di rifiuti urbani.

L'impianto più grande in Italia, per il momento,m si trova a Brescia, in Lombardia, segue quello di Acerra, in Campania. In Italia, sempre nel 2020 i termovalorizzatori hanno prodotto 6 milioni di Mw/h di energia elettrica e 2,2 milioni di Mw/h di energia termica, derivanti dal trattamento di 5,5 milioni di tonnellate di scarti tra rifiuti urbani e rifiuti speciali da urbani.

Conta, però che in altre nazioni europee i termovalorizzatori sono molti di più. La maggioranza di questi impianti si trova in Francia (126) e in Germania (96).

Vantaggi e svantaggi del termovalorizzatore

Il termovalorizzatore è relativamente meglio di un semplice inceneritore, ormai lo avrai capito, perché produce energia: secondo i dati Utilitalia, nel nostro Paese 2,8 milioni di famiglie sfruttano il lavoro di questo tipo di impianti. Inoltre, la sua importanza può anche essere relativa al contesto in cui viene costruito.

In situazioni dove i tassi di raccolta differenziata sono bassi, un termovalorizzatore può infatti aiutare a risolvere il problema dei trasferimenti esterni dei rifiuti  – che spesso avviene a caro costo – e a eliminare impianti ancora più inquinanti e nocivi come le discariche a cielo aperto. Attualmente le discariche rappresentano il luogo dove finisce circa il 20% dei rifiuti non riciclabili, una quota che dovrà almeno dimezzarsi entro il 2030, stando agli obiettivi europei.

I contro però stanno esattamente all'interno del quadro appena descritto: quella del termovalorizzatore non è la migliore soluzione tra quelle possibili, al massimo può essere meno peggio di altre. La sua stessa presenza rischia di togliere importanza alla raccolta differenziata, in termini di obiettivi da raggiungere. L'obiettivo dovrebbe essere quello di farne a meno: sia attraverso una migliore differenziata, sia attraverso la produzione e l'utilizzo di materiali totalmente riciclabili, sia attraverso politiche di incentivi alla minor creazione di rifiuti.

Il termovalorizzatore produce inoltre CO2 e altre sostanze inquinanti: non ne esistono oggi a impatto zero. L'Unione Europea ha infatti escluso questo tipo di impianti dalla sua tassonomia verde degli investimenti sostenibili. Non rispetta infatti il principio del "Do no significant harm", traducibile con "Non arrecare danno", su cui si fonda a livello teorico la strategia europea in vista della transizione ecologica e dell'impatto zero continentale entro il 2050. Piuttosto, l'Unione Europea punta a progredire sulla strada dell'economia circolare. Nel 2028 scadranno infine i cosiddetti "sussidi Ets", per cui impianti che emettono gas climalteranti come inceneritori e termovalorizzatori dovranno pagare diritti di emissione da cui attualmente sono esclusi.

Esiste poi il cosiddetto "effetto lock-in", ovvero il rischio di legarsi a tecnologie costose che risultano però obsolete, dato il rapido sviluppo tecnologico. Lo stesso impianto di Copenaghen in questo momento è in seria crisi, come dichiarato dallo stesso governo danese: l'aumento della raccolta differenziata – meno male! – ha ridotto i rifiuti da bruciare nel termovalorizzatore. Al punto tale che la Danimarca li importa dall'estero per finanziare le spese di gestione dell'impianto. Uno scenario che dovrebbe farci pensare all'utilità di questo tipo di impianti, andando oltre uno sguardo di breve periodo che rischia di farci perdere di vista il quadro complessivo.

Quali sono i termovalorizzatori chiusi?

Già nel 2014 il Veneto ha iniziato a chiudere i primi impianti, precisamente due: a Ca’ del Bue, in provincia di Verona, e a Fusina, in provincia di Venezia.

L’impianto di Ca’ del Bue, in trent’anni di vita, ha funzionato a lungo poco e male, come ha sempre racconta la stampa locale veneta, e nel 2016 si è deciso di riconvertirlo in un impianto di produzione di biometano e di energia elettrica da fotovoltaico.

L’impianto di Fusina è stato invece chiuso definitivamente a inizio 2014, dopo circa quindici anni in funzione, dall’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. La chiusura, secondo quanto affermato all’epoca dal Comune, era stata resa possibile dal forte sviluppo della raccolta differenziata e dal successivo trattamento negli impianti di riciclaggio, e dalla conseguente riduzione delle quantità di rifiuti da bruciare. Questo fa capire che il termovalorizzatore è una soluzione nel caso in cui non ci sia una gestione dei rifiuti, ma non è la soluzione definitiva. La soluzione unica e finale è quella della raccolta differenziata: più questa aumenta, meno rifiuti bisogna bruciare.

Inquina più un termovalorizzatore o una discarica?

In Italia attualmente abbiamo 37 termovalorizzatori, mentre sono 130 le discariche certificate (poi ci sono quelle abusive… ma non le sappiamo).

"Le discariche — spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, energia e ambiente) — hanno impatti ambientali molto più alti, occupano spazio per secoli, producono percolati che vanno avviati a depurazione ed emettono gas metano che deriva dalla fermentazione della componente organica del rifiuto che è un gas molto più climalterante della CO2 prodotta dalla combustione (25 volte più impattante). Secondo studi scientifici sotto il profilo del climate change la discarica ha un impatto otto volte superiore a quello di un termovalorizzatore".