Uno studio dimostra l’importanza ambientale dei termovalorizzatori

Inquinano otto volte in meno delle discariche e compensano le loro emissioni evitando quelle generate dalla produzione di energia. In Italia ce ne sono ancora troppo pochi.
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Gianluca Cedolin 9 Marzo 2021

Spesso vengono demonizzati, ma in Italia non ci sarebbero abbastanza termovalorizzatori per lo smaltimento dei rifiuti. I termovalorizzatori (come vengono chiamati gli inceneritori di seconda generazione, quelli che bruciando i rifiuti producono energia elettrica) attualmente attivi in Italia sono poco meno di quaranta, quasi tutti concentrati nelle regioni settentrionali. Secondo uno studio, realizzato per Utilitalia dai politecnici di Milano e Torino e dagli atenei di Trento e di Roma 3 Tor Vergata, per rispettare le direttive comunitarie (e non pagare quindi multe all'Unione europea), dovremmo averne molti altri attivi. Soprattutto, la ricerca ha dimostrato lo scarso impatto ambientale, in termini di emissioni nocive, di questi impianti, addirittura otto volte meno elevato rispetto a quello delle discariche.

Lo smaltimento dei rifiuti in Italia

Secondo la ricerca, nel 2019 negli inceneritori sono stati trattati 5,5 milioni di rifiuti urbani e speciali, generando 4,6 milioni di megawatt di energia elettrica e 2,2 milioni di megawatt/ora di energia termica (per il 51 per cento, energia rinnovabile). Come scrive La Repubblica, citando lo studio, nel 2035 dovremo riciclare il 65 per cento dei rifiuti e potremo portare solo il 10 per cento nelle discariche (oggi siamo al 20 per cento). Che fare, quindi, del restante 25 per cento? I termovalorizzatori sono un'opzione, secondo i ricercatori. Per dire, in Francia ne sono attivi 126, in Germania 96. Chiaramente, la soluzione migliore sarebbe riciclare quanto possibile, o ancor meglio adottare strategie zerowaste per produrre meno rifiuti: questa dev'essere la base.

Quanto inquinano i termovalorizzatori?

Per quanto riguarda le emissioni prodotte dalla trasformazione dei rifiuti in energia, il report parla di «una situazione del tutto compatibile con i limiti imposti, con margini di rispetto del tutto tranquillizzanti per alcuni degli inquinanti di maggior interesse, in primisndiossine e metalli tossici». Questo anche per il fatto che le limitazioni imposte agli impianti sono molto, molto stringenti, rispetto ad altri settori. Secondo l'Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), tra il 2000 e il 2018 l'incenerimento incide meno dell'1 per cento sulla produzione di emissioni di inquinanti, una percentuale che tra l'altro tende alla riduzione, nonostante l'incremento dei rifiuti avviati al recupero energetico.

Le emissioni “salvate” dalla termovalorizzazione

Oltre all'impatto poco considerevole, bisogna considerare che l'energia elettrica immessa in rete da questi impianti sostituisce una quota della produzione elettrica centralizzata: se quest'ultima sarebbe derivata da fonti fossili, allora la trasformazione dei rifiuti in energia ha consentito di risparmiare delle altre emissioni. Allo stesso modo, l'erogazione di calore con il teleriscaldamento consente di sostituire il funzionamento delle centrali termiche, riducendo i consumi e l'inquinamento. In sostanza, secondo l'Ispra, l'impatto evitato riesce a compensare il carico ambientale introdotto dall'inceneritore. Non sono la soluzione definitiva, ma sicuramente dei termovalorizzatori di ultima generazione sono meglio delle discariche, ancora troppo diffuse nel nostro paese, soprattutto al Sud.