Earth Day 2023, tutti i luoghi, gli animali, le piante che i nostri figli rischiano di non vedere più

Sarebbe più corretto chiamarla: giornata mondiale della biodiversità, biodiversità di tutta la Terra, di quel che racchiude, delle specie animali e vegetali e dei luoghi. Questa giornata continueremo a celebrarla con il passare del tempo? Saremo in grado tutti di farlo o forse i nostri figli rischieranno di non vedere più alcuni luoghi, animali o piante?
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Mattia Giangaspero 22 Aprile 2023

Non possiamo pensare solo di celebrare giornate come queste raccontando i passi in avanti che stiamo facendo dal punto di vista della transizione energetica.

Sì perchè i cambiamenti climatici hanno portato a una progressiva diminuzione di numero di specie animali o vegetali. I cambiamenti climatici hanno portato a una trasformazione dei confini geografici. Molti luoghi sono soggetti ogni giorno a elevate quantità di inquinamento e alcuni di questi sanno già di avere una data di scadenza. Alcuni di loro in un secolo, ma anche meno, rischiano di scomparire. Questo giorno, l'Earth Day, la Giornata della Terra deve essere visto anche e soprattutto come il giorno per sensibilizzare sempre di più i tuoi famigliari, i tuoi amici, i tuoi colleghi di studio o lavoro. Perchè? Sta aumentando sempre di più la probabilità che i nostri figli rischiano di non vedere più alcuni luoghi, alcuni animali o alcune piante. Ecco cosa tuo figlio rischia di non vedere più

Gli animali a rischio estinzione

fenicottero-animale-estinzione

Fenicottero

Non è una specie minacciata sebbene risenta del deterioramento dell’habitat a causa dell’inquinamento, del disturbo antropico presso le colonie soprattutto durante il periodo di nidificazione e delle predazione di uova e pulcini da parte di cani randagi e altri animali. In molti Paesi del bacino del Mediterraneo meridionale vengono ancora uccisi o catturati e venduti nei mercati.

Delfino

In alcune acque come quelle del Mediterraneo e soprattutto del Mar Nero, il delfino resta una specie a rischio. Infatti in passato si verificava un’intensa attività di cattura a scopo alimentare in paesi come la Russia, la Bulgaria, la Turchia e la Romania. Si sono catturati oltre 120mila esemplari.

Nel Pacifico tropicale orientale, nell’Atlantico e nell’Oceano Indiano un numero considerevole di delfini viene catturato accidentalmente durante la pesca al tonno. Oltre a ciò, l’inquinamento, il degrado degli habitat marini costieri e il disturbo dal turismo da diporto rappresentano fattori limitanti per i delfini mediterranei, sebbene ad oggi restino ancora poco chiare le cause del drastico declino in questo mare. Tra i predatori naturali delle varie specie di delfini ci sono le orche e i grandi squali e in alcune aree anche da altri cetacei come le false orche e le focene.

Balena

La caccia spietata a cui questi animali sono stati sottoposti, soprattutto dalla fine del XIX secolo, ne ha ridotto sensibilmente il numero. Oggi se ne stimano meno di 100.000 in tutti i mari del mondo, e sebbene sia protetta a livello internazionale dagli anni ’80, alcuni paesi come il Giappone continuano le catture nell’Antartico in modo discontinuo. Una quota è concessa in deroga alle popolazioni “indigene” nel Nord Atlantico. Negli ultimi decenni si è riscontrato un aumento delle collisioni con le navi; anche in Italia dove l’82% degli eventi è stato registrato nel Santuario Pelagos per i cetacei . Tra le minacce occorre segnalare anche la cattura accidentale nelle reti da pesca e l’inquinamento della plastica oltre che da altre sostanze inquinanti.

Aquila

Nonostante tutte le specie di rapaci godano di protezione legale e la loro caccia sia penalmente perseguitata, le aquile sono ancora estremamente minacciate da uccisioni illegali, avvelenamenti e prelievi di esemplari per la pratica della falconeria. Nell’estate 2020 ci sono stati due casi, uno sulle Alpi e uno nelle Marche, di esemplari di aquila reale uccisi direttamente al nido durante il periodo di cova.

La lista rossa italiana delle specie minacciate considera l’aquila reale “Quasi minacciata – NT” e l’aquila del Bonelli “In pericolo critico – CR”.

Panda

Come molte altre specie, il panda è in pericolo perché le sue foreste vengono distrutte e sono sempre più ridotte ed isolate. Questo porta gli animali a spostarsi maggiormente esponendosi al bracconaggio e a molti altri rischi. L’ultimo censimento compiuto dal WWF ha individuato 1.864 panda, di cui almeno 1.000 nelle aree protette.  La deforestazione, la costruzione di nuove strade, di dighe e di insediamenti urbani causa la riduzione e frammentazione dell’habitat del panda che oggi è relegato a una ventina di aree residue, per una estensione complessiva di circa 23.000 km2. Le foreste in Cina, diminuiscono di anno in anno a causa di un crescente disboscamento e diventa quindi sempre più difficile per questo animale trovare germogli di bambù necessari al suo sostentamento.

Gorilla

Entrambe le specie esistenti di gorilla (quello Orientale e quello Occidentale) sono a rischio estinzione per via del bracconaggio. A interessare i cacciatori è soprattutto la carne di questi animali, considerata rara e molto sofisticata. I gorilla di montagna, sottospecie dei Gorilla orientali, sono quelli più in pericolo di estinzione: attualmente ne esistono solo 800 esemplari.

Rinoceronte

In origine esistevano 30 specie di rinoceronti, oggi ne sono rimaste solo 5, tutte a grave rischio di estinzione. A provocare questa drammatica diminuzione è soprattutto il business legato al suo corno, usato come medicina alternativa nei Paesi Orientali e considerato una sostanza afrodisiaca. I bracconieri nel corso degli anni hanno cacciato usando tecniche sempre più sofisticate, come elicotteri e armi automatiche. Un corno può essere pagato fino a 100mila dollari al chilo, ma non si tiene conto in nessun modo che l’estinzione di questo animale causerebbe enormi danni all’intero ecosistema in cui vive.

Elefante

È uno dei casi in cui l’uomo è il primo responsabile del pericolo di estinzione di un’intera specie animale. Parliamo dell’elefante: le sue zanne sono considerate un bene preziosissimo e molto raro. È proprio per la ricerca dell’avorio che ogni anno in Africa vengono uccisi circa 20mila elefanti. La seconda minaccia di estinzione è la deforestazione che riduce annualmente l’habitat a disposizione di questi animali, esponendoli sempre a maggiori rischi e a una vera e propria lotta per la sopravvivenza.

Coccodrillo

Il più grande predatore del Sud America purtroppo non si è dimostrato essere allo stesso livello dei cacciatori che hanno portato questa specie verso l’estinzione. Delle 24 specie conosciute di coccodrilli, il coccodrillo dell’Orinoco è una delle sette elencate tra quelle in pericolo critico nella Lista Rossa dell’IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura), mentre altre quattro specie sono elencate tra quelle vulnerabili.

Questo coccodrillo, che può raggiungere più di cinque metri di lunghezza, si trova nel fiume Orinoco e nei suoi affluenti in Venezuela e Colombia ed è stato cacciato fino quasi all’estinzione per la sua pelle. Nonostante le tutele legali introdotte alla fine degli anni ’60, oggi ne rimangono meno di 250 esemplari in natura, ma si spera che la riproduzione in cattività e i programmi di reintroduzione aiuteranno la popolazione a riprendersi.

Zebra

La minaccia più grande è proprio la perdita dell'habitat in cui sono nate e cresciute a causa della competizione con altri animali ma soprattutto per il pascolo eccessivo e la mancanza di acqua: il 54% degli esemplari è sparito negli ultimi 30 anni e l'attuale numero si attesta intorno ai 2800 individui. Ma è ancora l'uomo a determinare quello che potrebbe essere il collasso definitivo: In Etiopia la caccia è la causa principale del declino delle zebre di Grevy: sono l'obiettivo principale dei bracconieri.

Orso

L’Ursus arctos marsicanus è una sottospecie differenziata dell’orso delle Alpi. Grazie al lavoro del Parco Nazionale dell’Abruzzo il numero di questi animali è in continuo incremento e se ne contano circa 50 nel centro Italia. La specie, se non tutelata e salvaguardata rischia comunque l'estinzione, vista la poca presenza.

Pangolino

Il pangolino, prima una specie poco conosciuta, negli ultimi anni è diventato tristemente noto in quanto specie simbolo del traffico illegale di fauna selvatica. Secondo Traffic, la rete di monitoraggio del commercio di fauna selvatica, negli ultimi dieci anni sono stati commercializzati fino a un milione di pangolini. “Tutte le otto specie di pangolino sono ora classificate come in pericolo dall’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura), e pur essendo protetti da leggi nazionali e internazionali, questi animali rimangono molto richiesti in Cina e Vietnam per la loro carne e le loro scaglie, usate nella medicina tradizionale asiatica”, afferma Michela Pacifici, ricercatrice presso il programma Global Mammal Assessment (GMA), che fornisce informazioni per la Lista rossa delle specie minacciate dell’IUCN.

Luoghi che rischiano di scomparire per sempre

Madagascar

Situata appena al largo della costa sud-est dell’Africa, l’isola del Madagascar è densa di fauna selvatica diversificata. Il Paese deve affrontare diversi problemi legati al cambiamento climatico.

Le lunghe stagioni secche hanno ridotto le scorte di germogli di bambù freschi, prezioso alimento dei lemuri mentre le inondazioni sempre più frequenti e l’innalzamento del livello del mare stanno distruggendo habitat delicati come le foreste di mangrovie.

Vi è poi la drammatica questione dello sbiancamento dei coralli nelle barriere costiere che minaccia la sopravvivenza di molte specie marine.

Alaska

Anche l’Alaska è in serio pericolo a causa dei cambiamenti climatici. La natura selvaggia di questo Stato offre ai viaggiatori numerose opportunità di praticare attività sportiva, tra cui andare in kayak sul fiume Kenai o fare un’escursione nel Parco Nazionale di Denali, in un contesto incontaminato e di grandi suggestioni.

Purtroppo, però, l’Alaska sta subendo mutamenti che stanno colpendo duramente il territorio: erosione costiera, ritiro del ghiaccio marino e scioglimento del permafrost.

Le calotte glaciali si stanno ritirando a ritmi straordinari e ciò provoca anche frane così importanti che possono essere registrate sulla scala Richter, quella usata per misurare i terremoti. Per di più le temperature che crescono favoriscono la propagazione degli incendi.

Grande Barriera Corallina, Australia

Con una superficie di oltre 2.000 km, la Grande Barriera Corallina si estende al largo della costa nord-orientale dell’Australia e rappresenta  il più grande sistema di barriera corallina del mondo.

L’aumento delle temperature oceaniche sta causando lo sbiancamento dei coralli, fenomeno che comporta la distruzione di un habitat vitale per la vita marina.

Mumbai, India

Con quasi 20 milioni di persone Mumbai è una delle città più popolose del mondo. La sfida che la megalopoli dovrà affrontare in futuro riguarda sempre l’innalzamento del livello dei mari che potrebbero sommergere parte del centro abitato.

Un aumento dell’acqua di appena 5 cm entro il 2050 farebbe sì che Mumbai sia soggetta a frequenti inondazioni.

Ad essere colpita in modo particolare sarebbe la fascia di popolazione più povera che vive nelle baraccopoli sulla costa della città. Uno scenario terrificante.

Maldive

Situate nell’Oceano Indiano, a sud-ovest dell’India, le Maldive sono costituite da una serie di atolli poggiate su basamenti di roccia calcarea e corallina.

L’innalzamento del livello dei mari è particolarmente allarmante per l’arcipelago. In media le circa mille isole si trovano a solo 90 centimetri sul livello del mare. Si prevede che i 26 atolli nell’Oceano Indiano settentrionale diventeranno inabitabili entro il 2050.

Il governo locale ha annunciato che le Maldive diventeranno una città galleggiante. Progetto ambizioso per evitare di perdere per sempre uno dei luoghi più affascinanti del mondo.

Venezia

Si calcola che nel mondo sono circa 150 milioni le persone che vivono in territori che finiranno sott’acqua entro il 2050, e l'Italia non è certo esclusa. Venezia, ad esempio, è collocata su un tipo di terreno molto giovane da un punto di vista geologico, fatto perlopiù di sabbia e ghiaia. La laguna di Venezia si è formata infatti “solo” 6 mila anni fa, quando l’Adriatico si è innalzato ricoprendo di acqua i sedimenti provenienti dalle Alpi. Questo vuol dire che ancora oggi il suolo si sta compattando in profondità, mentre la parte in superficie si abbassa piano piano. Questo, sommato al continuo innalzamento del livello del mare, porta a inondazioni della città sempre più gravi. Pensa che all'inizio dello scorso secolo di alta marea eccezionale, che supera cioè i 110 cm di altezza, ne avveniva mediamente una all’anno. Oggi, di questi eventi estremi, ne avvengono 5-6 all'anno, con danni inestimabili alla città e alle sue opere d’arte.

Rio de Janeiro

Il 2100 è la data di scadenza anche per Rio de Janeiro. Entro i prossimi 80 anni si prevede infatti un innalzamento del livello del mare da 30 centimetri a oltre 2 metri, che inonderà gran parte della città. Questo problema si somma allo sviluppo urbano incontrollato di Rio. Pensa che negli ultimi 50 anni la popolazione dell'area metropolitana di Rio de Janeiro è passata da 6 ​​milioni a oltre 13 milioni di persone e, non essendoci abbastanza case per tutti, sono stati costruiti dei quartieri improvvisati, le favelas, che si estendono lungo i corsi d'acqua e sono quindi le prime zone a rischio inondazioni.

Giacarta

Addirittura una capitale come Giacarta dovrà presto cedere il suo posto a Nusantara. Questa città, che ancora non esiste, sarà collocata nell’isola del Borneo (dove al momento si trovano foreste pluviali e comunità indigene) e sostituirà Giacarta come capitale dell’Indonesia. Questo perché Giacarta sta affondando di circa 25 centimetri all'anno a causa della subsidenza. Spiegato in parole semplici: il terreno si abbassa verticalmente a causa della progressiva compattazione degli strati argillosi e sabbiosi del terreno, un fenomeno che può essere dovuto a cause naturali ma anche, come nel caso di Giacarta, dall’estrazione incontrollata di acqua dal sottosuolo. Mantenendo questo ritmo, Giacarta rischia di trovarsi quasi totalmente sommersa dall'acqua entro il 2100.

Groenlandia

Cambiamento climatico non vuol dire solo innalzamento del mare. In Groenlandia il ghiaccio si sta fondendo a un ritmo più veloce del deposito di nuova neve. Più il ghiaccio si fonde, meno il calore viene riflesso, più la velocità di fusione aumenta. Questo è un enorme problema per le comunità indigene che vivono lì, dal momento che sono solite sfruttare le distese ghiacciate per il trasporto, la caccia e la pesca.

Siberia

Nenetspastori di renne che vivono nella Penisola di Yamal, in Siberia, sono in grande difficoltà a cause dell’aumento generale delle temperature. Gli ultimi inverni insolitamente caldi hanno portato alla morte di centinaia di migliaia di renne, impossibilitate a cibarsi a causa della troppa pioggia che, successivamente, è ghiacciata creando uno spesso strato sul terreno.

Burkina Faso

In Burkina Faso la vegetazione non cresce più. Il riscaldamento globale ha aumentato la temperatura in tutto il territorio centrale dell'Africa, denominata Sahel, e diminuito le precipitazioni stagionali, diventate ormai rare e, quando arrivano, troppo intense. Questo ha portato alla scomparsa di ampie distese coltivabili. Solo in Burkina Faso si è degradato un terzo del territorio nazionale, che corrisponde a oltre 9 milioni di ettari di terra.

Sudan

Fino a ora abbiamo parlato di habitat naturali, ma la crisi climatica sta mettendo a rischio anche la memoria stessa dei popoli. Rovine antiche, sopravvissute fino a oggi, devono affrontare l'assalto di un nuovo invasore: la sabbia. Per farti un esempio, oggi la sabbia rappresenta la più grande minaccia per la storia culturale del Sudan. Sono 200 le piramidi costruite, circa 4.500 anni fa, sul fiume Nilo che potrebbero presto scomparire sommerse dalla sabbia.

Bangladesh

I disastri ambientali derivanti dal surriscaldamento globale minacciano il futuro dello stato asiatico. a rischio scomparsa come tutte le zone costiere del mondo. Le inondazioni frequenti distruggono ogni tipo di costruzione rendendo i luoghi invivibili e privi del minimo necessario per la sopravvivenza delle popolazioni locali e, soprattutto, dei bambini. Le zone costiere sono quelle maggiormente esposte ai rischi dell'innalzamento delle acque degli oceani già stimato in oltre un metro, mentre l'entroterra patisce per le conseguenze della siccità. L'appello lanciato dall'Unicef è rivolto a tutti i Paesi affinché pongano in essere iniziative utili a proteggere la vita dei più piccoli dalle conseguenze disastrose del climate change. Ancora una volta, quindi, un appello per fermare il surriscaldamento globale grazie all'impegno reale di tutti gli stati del mondo.

Alberi in via d'estinzione

Albicocco selvatico

Anche l’albero di albicocche rischia di scomparire. Le foreste dell’Asia centrale, generose con i molteplici alberi da frutto preziosi per l’umanità, sono state in buona parte tagliate e con loro anche gli albicocchi selvatici. La Global Trees Campaign sta lavorando per creare riserve naturali nell’Asia centrale e salvare anche questo albero in via di estinzione.

Il Ribes

Lo spirito di resistenza di questa pianta è innegabile: vive in Sardegna da quando l’isola si è staccata dal continente, milioni di anni fa. Adesso cresce in un’area ristretta in provincia di Nuoro, dove sopravvive un centinaio di individui adulti. L’attività umana forse ha contribuito alla rarità del ribes di Sardegna, che tuttavia pare avere capacità limitate di propagarsi. Secondo alcuni studiosi i semi del ribes di Sardegna hanno una bassa vitalità; secondo altri, la produzione di polline è scarsa e limiterebbe la produzione di semi.

Castagno americano

Castanea dentata prosperava nel Nord America fino all’inizio del ‘900, quando negli Stati Uniti fu accidentalmente introdotto un fungo parassita, arrivato con castagni asiatici importati. Il fungo si diffuse senza controllo e ha portato il castagno americano sull’orlo dell’estinzione. Una catastrofe per la specie, ma anche per tutti gli animali e le persone che si nutrivano dei frutti di queste piante. I programmi di conservazione in corso danno speranza per il futuro.

Peccio di Koyama

La specie prende il nome dal botanico giapponese Mitsua Koyama, che per primo la scoprì nel 1911. Cresce sulle montagne giapponesi dell’Honshu, tra i 1500 e i 2000 metri di altitudine in gruppi di dieci, venti individui. In totale, sono rimasti in natura un migliaio di pecci di Koyama. Cresce molto lentamente e nelle aree soggette a tifoni, frane o incendi viene rimpiazzato da alberi a crescita rapida di valore commerciale. Le popolazioni sono molto frammentate e c’è poco scambio genetico tra loro.

Melo di Sievers

Il frutto proibito, il pomo della discordia: l’albero delle mele, con questo simbolismo così radicato alla nostra cultura, ebbe origine milioni di anni fa sulle montagne dell’Asia centrale, ma è solo da un centinaio d’anni che il Malus sieversii è stato riconosciuto come principale antenato del melo domestico. Convive con altre specie di melo selvatico, ma è lui ad aver dato il contributo genetico maggiore.

Malus sieversii è classificato come specie vulnerabile per la forte riduzione dell’habitat e la crescente pressione antropica. Sono in corso programmi di conservazione per preservare questa importante risorsa genetica.

Abete dei Nèbrodi

L’abete dei Nèbrodi è endemico della Sicilia. Al termine dell’ultima era glaciale doveva essere comune sull’isola. Il riscaldamento climatico e l’attività umana lo hanno spinto a quote sempre più elevate ed aree più ristrette. All’inizio del secolo scorso lo si credeva estinto, ma nel 1957 fu riscoperto sulle Madonie, dove tuttora sopravvive una popolazione relitta di una trentina di esemplari.