Fukushima 10 anni dopo: che cosa resta di uno dei più gravi incidenti nucleari della storia

L’11 marzo 2011 la centrale nucleare di Fukushima Daiichi veniva travolta da uno tsunami causato da una potente scossa nell’oceano Pacifico. Per questo triste anniversario Greenpeace ha pubblicato due rapporti, in cui denuncia che l’area è ancora fortemente contaminata e definisce un fallimento il piano di smantellamento dell’impianto.
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Federico Turrisi 11 Marzo 2021

11 marzo 2011. In Giappone sono le ore 14:46, in Italia è alba. A largo della costa della regione di Tōhoku, nell'Oceano Pacifico, un terremoto di magnitudo 9.0 sulla scala Richter (uno dei più potenti mai registrati dai sismografi) scuote la terra. In seguito alla violenta scossa si origina uno tsunami che si abbatte sulla prefettura di Fukushima. Le onde, alte oltre 10 metri, travolgono tutto. Tra i centri costieri più colpiti c'è la cittadina di Ōkuma, dove è presente la centrale nucleare Fukushima-Daiichi gestita dalla Tepco, la più grande compagnia elettrica giapponese.

L'impianto, costruito imprudentemente su una costa alta appena 4 metri sul livello del mare, viene sommerso dall'acqua, che distrugge 4 dei 6 reattori: i sistemi di sicurezza smettono di funzionare, bloccando il raffreddamento dei reattori stessi e causando una serie di esplosioni con fughe di sostanze radioattive. L'aria, il suolo e l'acqua intorno all'impianto nucleare vengono contaminati, migliaia e migliaia di persone costrette ad abbandonare l'area. L'incidente alla centrale di Fukushima verrà alla fine classificato con il massimo grado sulla scala INES (il parametro di valutazione degli incidenti nucleari), ovvero il settimo, lo stesso del disastro di Chernobyl nel 1986.

Quello che si verificò in Giappone nel marzo 2011 fu un disastro nel disastro. Il bilancio finale di quella tragedia: oltre 15 mila morti e migliaia di dispersi, con effetti che si ripercuotono ancora adesso sugli abitanti della regione e sull'ambiente e che sono, purtroppo, destinati a durare ancora molto a lungo. A dieci anni di distanza rimangono ancora aperti diversi interrogativi. Di recente, per esempio, si è discusso dello sversamento dell'acqua radioattiva nell'oceano Pacifico da parte delle autorità giapponesi, con inevitabili conseguenze per gli ecosistemi marini. Una scelta difficile, che sarebbe resa necessaria dal fatto che si prevede che i serbatoi per lo stoccaggio dell'acqua contaminata utilizzata per raffreddare il combustibile fuso si riempiano entro il 2022. Non dimentichiamoci che ogni giorno 4-5 mila operai lavorano per la messa in sicurezza del sito, prendendosi non pochi rischi.

A fare il punto sulla situazione a Fukushima ha provato anche l'organizzazione ambientalista Greenpeace, pubblicando proprio in occasione del decennale del disatro due rapporti: uno chiamato “Fukushima 2011-2020” e un altro sul decomissioning dell'impianto danneggiato, ovvero sul suo smantellamento. Ebbene, emerge che la maggior parte degli 840 chilometri quadrati (circa l'85%) dell'Area Speciale di Decontaminazione rimane contaminata da cesio radioattivo. Inoltre, nelle aree in cui gli ordini di evacuazione sono stati revocati nel 2017, in particolare nelle località di Namie e Iitate, i livelli di radiazione rimangono al di sopra dei limiti di sicurezza, esponendo potenzialmente la popolazione a un maggiore rischio di sviluppare tumori.

L'obiettivo del governo giapponese di riportare il sito di Fukushima Daiichi allo stato originario di cosiddetto “greenfield” entro la metà del secolo appare quindi decisamente più lontano. Anzi, appare irrealizzabile. Ecco perché Greenpeace chiede che il piano di smantellamento venga riscritto. L'organizzazione ambientalista raccomanda, per esempio, una revisione dei tempi di rimozione del combustibile fuso a 50-100 anni o più, con la costruzione di edifici di contenimento sicuri per il lungo termine. Senza troppi giri di parole, il destino di Fukushima Daiichi dovrebbe essere quello di rimanere un sito di stoccaggio di materiale nucleare contaminato a tempo indeterminato, per evitare alternative peggiori come appunto lo sversamento di scorie radioattive nel Pacifico.