Greenpeace muove un’azione legale contro la Commissione europea per l’etichetta verde a gas e nucleare: cosa potrebbe succedere?

L’organizzazione ambientalista ha inviato alla Commissione europea una richiesta formale per una revisione interna chiedendo, e pretendendo, un dietro-front netto sulla Tassonomia per la finanza sostenibile. Con l’avvocato Luca Saltalamacchia abbiamo provato a capire nello specifico di cosa si tratta e quali scenari potrebbe aprire.
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Kevin Ben Alì Zinati 10 Ottobre 2022
Intervista a Luca Saltalamacchia Avvocato per la tutela dell'Ambiente e dei Diritti Umani

Dietro-front. E di corsa. Questo vuole Greenpeace dalla Commissione europea: che faccia marcia indietro, ritorni sui propri passi e ripensi in toto la Tassonomia per la finanza sostenibile.

La decisione di includere il gas e il nucleare tra le fonti “green” e quindi meritevoli di investimenti secondo l’organizzazione ambientalista non è nient’altro che “un’operazione di greenwashing” decisamente “incompatibile con le norme EU sul clima e sull’ambiente”.

Per questo, insieme ad altri uffici europei (Germania, Francia, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Europa Centrale e Orientale e la Greenpeace European Unit) ha mosso un’azione legale nei confronti della Commissione, inviandole una richiesta formale per una revisione interna.

Già lo scorso gennaio Greenpeace aveva paventato la possibilità di intraprendere la via legale contro la Tassonomia. La possibilità di vedere l’etichetta verde appicciata su gas e atomo aveva cominciato a prendere sempre più forma, nonostante l’opposizione di cittadini, scienziati e organizzazioni ambientaliste.

Gli eurodeputati delle commissioni Affari economici e Ambiente del Parlamento europeo avevano approvato un’obiezione al secondo atto delegato della Tassonomia opponendosi all’inclusione del nucleare e del gas tra le attività economiche ritenute sostenibili e anche Eleonora Evi, eurodeputata e co-portavoce nazionale di Europa Verde a Bruxelles, si era detta cautamente fiduciosa che questa “proposta inaccettabile” sarebbe stata effettivamente bloccata.

Poi, però, la doccia fredda. Il Parlamento europeo aveva prima bocciato la proposta di rigettare la classificazione e poi, nella decisiva seduta plenaria, di Strasburgo, non ha raccolto i voti necessari allo stop confermando e ufficializzando così l’ingresso di gas e nucleare tra le fonti sostenibili.

Così, come promesso, Greenpeace ha alzato la voce innescando un meccanismo che, come ci ha spiegato Luca Saltalamacchia, avvocato in prima linea per la tutela dell’ambiente e dei diritti umani, potrebbe anche portare la Commissione di fronte alla Corte di Giustizia UE.

Avvocato Saltalamacchia, cosa significa che Greenpeace ha attivato una procedura di revisione interna alla Commissione europea riguardo la tassonomia verde?

In sostanza le ha chiesto formalmente di rivedere le proprie posizioni sull’inclusione di gas e nucleare tra le fonti green. Greenpeace però non è l’unica. Un gruppo di 4 ong guidate da Client Earth insieme a WWF e Friends of Earth Germania ha anch’esso attivato questa procedura per spingere la Commissione a rivedere la propria posizione sulla Tassonomia. Anche in Italia noi della Rete Legalità per il Clima abbiamo lanciato una diversa tipologia di contrasto, proponendo una istanza all’Ombusdman europeo. La richiesta di revisione interna si basa su elementi che dimostrano come la decisione sia prima di tutto contraddittoria rispetto ad altre norme europee già esistenti.

Cioè?

La tassonomia non viola in maniera evidente e lampante un altro dettato normativo europeo. C’è piuttosto una violazione della logica e dei criteri che fondano la Legge sul Clima 1119 del 2021. Se come Unione Europea vogliamo dotarci di un sistema di regole che portino al Net Zero entro il 2050 e all’abbattimento del 55% di tutte le emissioni clima alteranti entro il 2030 ma poi riteniamo che il gas e il nucleare siano green vuol dire che, allora, le due cose vanno in contraddizione. La Legge sul Clima sostiene di voler seguire ciò che la comunità scientifica identica come necessario, ovvero tagliare le emissioni di quei gas come il metano che hanno un’altissima capacità perturbante: se però si approva un’altra norma in cui di fatto si favorisce l’uso del gas è chiaro che c’è una contraddizione strutturale. L’inclusione di gas e nucleare in questo elenco chiaramente è un’operazione molto ambigua perché secondo la normativa europea attuale, gli investimenti nel gas o nell’atomo possono essere considerati green quando, in realtà, non lo sono. Specialmente il gas.

Ci spieghi.

Il gas, e il metano soprattutto, ha una capacità di perturbare il sistema climatico molto più forte dell’anidride carbonica. Quando si parla di gas serra, quasi sempre si punta il dito sulla CO2 ma non dobbiamo dimenticarci che il metano, nel breve periodo (10-12 anni) ha un forzante radiativo 80 volte superiore alla CO2. E siccome non abbiamo così tanto tempo per contrastare il riscaldamento globale, i prossimi anni sono fondamentali: se però spingiamo sul gas, allora ci diamo la mazza sui piedi.

Secondo lei perché siamo arrivati alla tassonomia verde con gas e atomo?

Trovo questa tassonomia un regalo alle lobby fossili. Molte compagnie fossili sanno che devono rivedere i loro piano industriali in relazione al taglio delle emissioni di CO2 e per questo puntano forte sull’utilizzo del gas: guarda caso, con la Tassonomia il gas è diventato fonte meritevole di finanziamenti perché considerato green.

La sua posizione sul nucleare?

Viene visto come energia pulita perché non si producono molte emissioni inquinanti. Se ci limitiamo solo alla parte finale del processo produttivo, forse glielo si potrebbe pure concedere ma se consideriamo tutta la filiera le cose cambiano. Senza dimenticare poi il grave problema dello smaltimento delle scorie e la circostanza che per mettere in funzione centrali nucleari di ultima generazione ci vogliono decine di anni. E’ un lasso di tempo che non abbiamo, perché se vogliamo contrastare il riscaldamento globale dobbiamo agire subito.

Vista l’attuale emergenza climatica, pensa che quella della Commissione europea sia stata una mossa grave?

Decisamente. Rilevo che in generale le istituzioni sanno benissimo che l’emergenza climatica va gestita in un certo modo ma dall’altra parte non ce la fanno a mettere in campo ciò che la comunità scientifica ha individuato come necessario. In Italia vale lo stesso discorso: la discussione sugli impatti dei cambiamenti climatici è viva e calda, quando poi dobbiamo spingere per agire ci impantaniamo.

La richiesta di revisione interna è partita: ora che succede?

Tutte queste forme di contrasto teoricamente possono avere come orizzonte finale il ripensamento spontaneo da parte della Commissione europea ma poi, per vie diverse, possono arrivare anche a un contenzioso di fronte alla corte di giustizia dell’Unione europea, nel caso in cui la commissione non dovesse fare quanto richiesto. La prospettiva che qualcosa cambi c’è, soprattutto se venisse attività la procedura giudiziaria.