E se ti dicessi che tutte le banane che trovi al supermercato sono cloni della stessa banana?
Esatto, la maggior parte delle banane che puoi trovare in Italia e in Europa condivide lo stesso DNA. Questo vuol dire che se domani si diffondesse una malattia tra di loro sarebbero tutte spacciate! Questa catastrofe è già successa una volta negli anni ‘50: mangiavamo la Big Mike, una tipologia che da noi non troviamo più, proprio a causa di un’epidemia tra le banane. Ma per capire come siamo arrivati a coltivare tutti la stessa banana dobbiamo ripercorrere la loro storia.
Sembra che le prime banane utilizzate per la dieta umana provengano dalle foreste della remota Papua Nuova Guinea, in un’epoca stimata tra i 6 e i 10 mila anni fa. Solo tra il XV e XVI secolo furono importate nel Nuovo Mondo e coltivate in ampie distese per il commercio con l’Occidente.
Ma cosa intendiamo quando parliamo di banana?
Oltre a essere il frutto della pianta di banano, in botanica in realtà esistono diverse tipologie di frutti: ci sono le drupe come le albicocche, gli esperidi come le arance, e poi tra le altre ci sono le bacche. Le bacche hanno la buccia sottile, tanta polpa e tanti semi: pensiamo ad esempio al cocomero o all’acino d’uva, loro sono bacche. La banana è a tutti gli effetti una bacca carnosa tropicale. Infatti le banane selvatiche sono proprio ricche di semi grossi e duri, a differenza di quelle che mangiamo. Oggi, la banana più diffusa in commercio è la Cavendish, non ha semi e se ce li ha sono davvero minuscoli.
Nel corso dei millenni l’essere umano ha sempre cercato di creare delle banane ricche in polpa e povere in semi. Quello di oggi è il risultato di un processo lunghissimo, fatto di incroci su incroci, che ha portato ad avere delle banane con dei semi talmente piccoli da essere privi di ogni vitalità e della possibilità di germogliare. Di fatto le banane di oggi sono sterili.
Le abbiamo clonate. Ogni banana che tu hai mai mangiato o che mangerai nella tua vita non è altro che il frutto che viene da un clone di una pianta che è nata, e probabilmente già morta, secoli fa da qualche parte nel Mondo. Clonare una pianta di banano è molto più semplice di quello che pensi. Si sfrutta una caratteristica comune nel mondo vegetale: lo stolone.
Lo stolone è una tecnica di propagazione, ossia di diffusione veloce, di molte piante. Funziona così: dalle radici di una pianta madre cresce una nuova pianta; questa sarà, a livello genetico, identica alla madre, ossia un clone appunto. Questa strategia ha efficacia nel breve termine, ovvero quando un organismo deve colonizzare un territorio il più velocemente possibile per accaparrarsi le risorse senza poter aspettare un partner o la maturità sessuale. Ha un problema però: non ha scambio genetico. Una bassa diversità a livello del DNA rende gli organismi immobili dal punto di vista evolutivo e più esposti ai cambiamenti e alle patologie. Detto in parole povere: gli individui cloni di quella pianta madre sono vulnerabili alle stesse malattie.
Oggi la varietà Cavendish è la tipologia di banana più diffusa in commercio, ma non è sempre stato così. Prima di lei c’era un’altra tipologia di banana che dominava il mercato: la Gros Michel, soprannominata Big Mike. Fino agli anni ’50 del secolo scorso nessuno la batteva: aveva una buccia più spessa che la proteggeva dagli urti e cresceva numerosa in grossi grappoli, perfetta per la raccolta e il trasporto massivo. La Big Mike dominò il commercio occidentale finché non accadde qualcosa: in pochissimo tempo, la Gros Michel scomparve dagli scaffali dei nostri mercati.
La malattia di Panama, una patologia funginea (data cioè da un fungo, del genere Fusarium in questo caso) che resisteva ai fungicidi. La Gros Michel si rivelò estremamente sensibile: colpita una, il fungo riuscì facilmente a colpire tutte le altre piante dato che tutte erano dei cloni della precedente. Se la madre non aveva difese, anche tutte le altre piante non ce l’avevano. Fu un vero disastro, anche a livello economico, che costrinse i coltivatori a trovare in fretta e furia una nuova varietà resistente alla patologia. A questo punto entrò in gioco a gamba tesa la nostra Cavendish, una pianta che fino a poco tempo fa era immune alla malattia. Oggi la Cavendish ha sostituito la Big Mike, e al momento copre circa il 40% della produzione totale di banane nel mondo.
Ogni Cavendish è anche lei il clone ripetuto di un’unica pianta madre. Il fungo della malattia di Panama, al contrario, si è riprodotto sessualmente in questi 80 anni, garantendo modifiche genetiche e quindi evoluzione.
Nel 2008, in Malesia, il fungo è riuscito a infettare per la prima volta nella storia anche degli esemplari di banano Cavendish. Nel 2018 c’è stato un altro caso in America Latina.
Non è dato saperlo con certezza. Quello che so è che, quando cala la biodiversità, problemi che sembravano risolvibili o arginabili diventano improvvisamente un fiume in piena che straripa e crea danni incalcolabili.
La biodiversità è fondamentale. Biodiversità non è solo la quantità numerica di specie differenti, ma anche una buona differenziazione genetica all’interno della stessa specie. Capire questo è fondamentale: per garantire che quella creatura possa evolvere e adattarsi a un ambiente in cambiamento c’è bisogno di un flusso di DNA. Se rimane invariato e stagnante troppo a lungo, ecco che al primo problema, la specie si estingue.
Sono abbastanza convinto che dopo questo video mangerai ogni banana come se fosse l’ultima. E forse, avrai pure ragione!