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Il Direttore di Greenpeace Giannì: “Salvare solo il 30% degli Oceani è troppo poco”

Ci sono voluti oltre dieci anni di negoziati e incontri per raggiungere questo accordo storico. Adesso tutti i Paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite si impegneranno per salvaguardare una parte della biodiversità di tutti gli Oceani, precisamente il 30%. L’accordo firmato sabato 4 marzo punta a tutelare il risanamento delle specie marine a rischio estinzione. Fissa limiti alla pesca, alle zone in cui possono transitare le navi e alle attività di esplorazione e ricerca che attualmente si possono svolgere. Ma non servirebbero aree completamente protette?
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Mattia Giangaspero 9 Marzo 2023
Intervista a Alessandro Giannì Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia
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In questi giorni ti abbiamo raccontato del negoziato storico, di sabato 4 marzo svolto da tutti i Paesi membri dell'Onu,  che ha portato all'accordo sul salvaguardare il 30% degli Oceani entro il 2030. Si punta a tutelare e favorire il risanamento delle specie marine a rischio estinzione. Nello specifico si mira a fissare determinati limiti alla pesca, alle zone in cui possono transitare le navi e alle attività di esplorazione e ricerca che attualmente si possono svolgere. Un esempio può essere l’estrazione di minerali dai fondali oceanici. Infine è prevista anche la formazione di una Conferenza Istituzionali che verrà fatta periodicamente per analizzare i vari progressi in materia.

Successivamente, con la dottoressa Maria Sole Bianco, abbiamo cercato di capire meglio l'importanza che hanno gli Oceani per combattere il riscaldamento globale e ridurre le emissioni di CO2, ma emerso anche un ulteriore tema, che adesso proveremo a chiarire. L'accordo per tutelare, in parte, l'ecosistema marino degli Oceani e la sua biodiversità lascia ancora un dubbio. Le aree soggette a futura protezione devono essere completamente difese o difese in parte?

In queste acque non governative oggi vige il diritto alla pesca, il diritto all'estrazione di fonti minerarie, ma con questo trattato cosa accadrà? Saranno diritti che verranno limitati o cancellati?

Ohga ha voluto contattare il Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia, Alessandro Giannì per chiarire, quantomeno, quale deve essere il nostro obiettivo e, in questo caso auspicio.

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Direttore, secondo lei quale soluzione in campo è la migliore, sempre tenendo conto degli equilibri geopolitici e degli interessi dei singoli Paesi? 

Come prima cosa tengo a precisare che c'è già una mappa che indica cosa proteggere e dove. Sono state identificate già queste aree, selezionate dalla Convenzione sulla diversità biologica e qui chiunque può visualizzarle. Ora il punto è come proteggere queste aree. La tutela deve essere effettiva e quindi bisogna capire con che mezzi fare i determinati controlli e monitoraggi.

Adesso voglio farle un esempio. Il Consiglio generale della Pesca del Mediterraneo aveva deciso che in alcune aree nello stretto della Sicilia non si poteva più pescare. Noi di Greenpeace analizzando i dati satellitari che individuano i pescherecci, abbiamo visto che l'anno dopo l'entrata in vigore di questo divieto c'erano più barche che ci pescavano. Quindi tornando sul trattato per gli Oceani, io stesso mi chiedo: "ha senso avere dei divieti parziali in alcuni punti di mare?"

A mio avviso le imbarcazioni in quelle aree non devono proprio transitare, a meno di emergenze. Anche perchè stiamo parlando di zone di Alto Mare, non di uno stretto dove tu barca devi per forza passare. Il punto adesso è che il 30% guadagnato sabato 4 marzo è già un risultato a ribasso. I dati scientifici parlano di un 40-50% delle aree Oceaniche da dover proteggere. Quindi questo 30% ottenuto deve essere completamente protetto e per essere protetto bisogna monitorare con dei controlli satellitari che nessuno che voglia pescare o estrarre minerari ci entri.

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E perchè secondo lei gli stessi Paesi hanno il dubbio di accettare questa soluzione? 

Il problema qui riguarda la pesca. Si puntano quelle zone perchè lungo la costa non è rimasto più nulla, nelle zone dove si pesca di solito è rimasto poco. Il problema è anche che in Alto Mare ci sono altri costi. Servono barche molto più grandi, più personale e il costo poi della materia prima sale.

Un altro rischio grande sa quale può essere? Quando si ratifica un trattato lo si fa in una conferenza delle parti, dove si siedono al tavolo i Paesi che stanno aderendo al trattato. Chi non aderisce tecnicamente non è obbligato a rispettare questa norma, anche se adesso con il diritto internazionale la questione è molto più complessa e quindi comunque si tende a rispettare anche un trattato che non si è accettato e firmato.

Noi dobbiamo arrivare a universalizzare questi tipi di trattati, in quanto, come in questo caso, si parla di un bene comune, di tutti gli abitanti della Terra. E il termine bene comune per gli Oceani è stato coniato da un ambasciatore maltese Arvid Pardo (1914-1999) che in una riunione delle Nazioni Unite definì la terra di nessuno, che è l'Alto Mare, come appunto bene comune. Quindi adesso dobbiamo continuare questo processo iniziato da Pardo."