Centrali a carbone in Italia: quali sono, dove si trovano e quanto possono produrre

Il governo sembra aver deciso: aumenterà – temporaneamente – la produzione di energia dalle centrali a carbone. Uno dei combustibili fossili più inquinanti torna dunque alla ribalta nel nostro Paese, che ne aveva annunciato solo qualche mese fa il definitivo abbandono entro il 2025. Quattro centrali lavoreranno a pieno regime, per fare a meno di circa 3 miliardi di metri cubi di gas russo.
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Michele Mastandrea 29 Aprile 2022

All'inizio della prossima settimana il governo presenterà nuove misure per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. Uno dei provvedimenti, forse ne hai sentito parlare, dovrebbe essere il maggiore utilizzo delle centrali a carbone. Ti dico subito che la misura dovrebbe essere temporanea, per una durata di massimo due anni.

Non è comunque una decisione che arriva all'improvviso. Già a febbraio, appena dopo l'inizio dell'invasione russa, il premier Mario Draghi aveva infatti dichiarato: "Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”. Nel nuovo decreto, quindi, questa ipotesi dovrebbe diventare realtà.

Dove sono le centrali italiane

Se non lo sai, in Italia le centrali a carbone sono attualmente sette. Cinque sono di proprietà di Enel, ovvero quelle di Fusina (Veneto), La Spezia (Liguria), Torrevaldaliga (Lazio), Brindisi (Puglia) e Portoscuso (Sardegna). Una, quella di Monfalcone (Friuli), è di proprietà di A2A, azienda multiservizi del Comune di Milano. L'ultima, a Fiume Santo (Sardegna), è di proprietà del gruppo Eph, della Repubblica Ceca.

Il carbone a inizio 2021 forniva circa il 4,9% del fabbisogno energetico totale del nostro Paese. La produzione massima, come puoi immaginare, varia da centrale a centrale. Quella di La Spezia può produrre fino a 682 Mw, quello di Fusina 976 Mw. Nel caso di Brindisi, tra le centrali più grandi in Europa, ben 2640 Mw. Per quanto riguarda quella di Torrevaldaliga, si parla di 1960 Mw, per quella di Portoscuso 480 Mw, per quella di Fiume Santo 600 Mw e infine per quella di Monfalcone 336 Mw.

Il progetto del governo

Il nuovo piano del governo dovrebbe riportare a pieno regime la produzione in quattro centrali, quelle di Torrevaldaliga, Brindisi, Monfalcone e Fusina. L'obiettivo è un risparmio totale annuo di circa 3 miliardi di metri cubi di gas, attualmente in arrivo da Mosca.

Una decisione figlia della situazione attuale, dato che in teoria, stando a quanto riportato nel Pniec (il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima), tutte le centrali dovrebbero essere spente o riconvertite nel giro di pochi anni. E comunque non oltre il 2025. Lo scoppio della guerra in Russia ha però convinto il governo a riattivare le centrali.

Un passo indietro

La decisione è quindi, come avrai capito, un passo indietro da parte del nostro Paese, segnalato ai tempi del primo annuncio di Draghi anche da tutte le principali associazioni ambientaliste. In particolare, è una retromarcia rispetto agli impegni presi all'ultima Cop26 di Glasgow. Quando lo stesso esecutivo aveva sancito la rinuncia totale al carbone, una delle fonti più inquinanti in assoluto.

Proprio un impegno formale globale alla decarbonizzazione era stato al centro delle polemiche sull'andamento del meeting scozzese. La mancata decisione di uno stop totale al carbone era stato uno dei motivi per cui si era parlato di fallimento del meeting.

Utilizzare l'energia prodotta dal carbone potrebbe aiutare – secondo il governo – non solo a sostenere i consumi correnti, ma anche a permettere di usare il gas per riempire i centri di stoccaggio, come previsto nell'ambito del piano RePowerEu. Ovviamente, il tutto avverrebbe a danno dell'ambiente e dei territori dove sorgono le centrali, la cui dannosità è ampiamente nota.

L'auspicio è che il governo, se dovesse davvero varare questa misura, adotti contemporaneamente un piano di sviluppo delle rinnovabili adeguato alla situazione attuale. Per fare in modo che questo ritorno al carbone sia davvero l'ultimo.

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