Davvero riaprire le centrali a carbone è la mossa giusta per reagire alla crisi energetica?

Draghi ha parlato della possibilità di riaprire le centrali a carbone per reagire alla crisi energetica e a causa del conflitto da Russia e Ucraina. Un enorme passo indietro nel percorso verso la transizione energetica. Greenpeace, Legambiente e WWF parlano di “scelta inammissibile”, mentre il docente del Politecnico di Milano Giovanni Lozza crede sia un’ipotesi “da prendere in considerazione”. Sullo sfondo, il rapporto dell’Ipcc sul futuro del pianeta.
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Michele Mastandrea 1 Marzo 2022
In collaborazione con Prof. Giovanni Lozza Direttore del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano

Potrebbe essere necessario riaprire le centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”. Avrai forse sentito queste parole pronunciate da Mario Draghi solo qualche giorno fa. A poche ore dallo scoppio del conflitto in Ucraina, il premier parlava delle conseguenze della guerra, in particolare per quanto riguarda la politica energetica del nostro paese.

Nel giro di qualche ora è arrivata una dura reazione da parte delle associazioni ambientaliste. Greenpeace, Legambiente e WWF hanno scritto insieme un comunicato in cui giudicano “inammissibile” l’ipotesi. Forse sai anche che il Pniec, Piano nazionale integrato energia e clima, prevede di dismettere o riconvertire gli impianti a carbone entro il 2025. Le associazioni chiedono che non sia messa in discussione questa linea, e che si reagisca alla crisi ucraina attraverso azioni strutturali.

Il problema è la mancanza di un approccio strategico che, sulla linea di quanto fatto da Paesi come la Germania, punti sulla de-carbonizzazione e sull’indipendenza strategica”, ci ha spiegato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia per il WWF. “Noi critichiamo le parole generiche di Draghi perché anche se si parla di soluzione temporanea, non è stato detto in quali precisi momenti, a quali condizioni, queste centrali a carbone dovrebbero essere utilizzate”, aggiunge Midulla. Per cui serve inoltre ricordare che "il carbone che bruciamo e bruciavamo nelle nostre centrali a carbone viene principalmente dalla Russia, come il gas”. Insomma, cambierebbe ben poco.

Il nodo dei tempi

Ma non tutti concordano. “Credo che in questa fase di incertezza e di rischio, l'ipotesi vada presa in considerazione”, afferma Giovanni Lozza, Direttore del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano. Per Lozza, “l’Italia ha una dotazione di centrali capaci di operare in maniera economica, efficiente e neanche particolarmente disastrosa dal punto di vista ambientale”. Dire che la riapertura temporanea delle centrali a carbone metterebbe a rischio il passaggio all’economia basata sulle fonti rinnovabili è dunque per il docente del Politecnico “privo di fondamento. Un conto sono le contingenze e un conto la transizione energetica che dura da qui a trent’anni”.

La stessa Germania ha in realtà riattivato le centrali a carbone per fare fronte all’emergenza. Ma l'importante per WWF, Greenpeace e Legambiente è non modificare gli obiettivi di riduzione delle emissioni nel lungo termine. “Serve limitare all’osso gli interventi, non riaprire centrali a carbone già chiuse che sono anche dannose a livello ambientale”, sottolinea Midulla. “Magari si può permettere che intervengano in caso di carenza momentanea, in momenti precisi, come del resto già avviene, ma non oltre. E quelle che sono ancora aperte devono comunque essere chiuse come previsto”, aggiunge.

L’importante infatti è “non toccare la scadenza del 2025, che è quella che permette di andare oltre la de-carbonizzazione, mandando un segnale sulla continuità di questo processo. Invertire la rotta sarebbe una cosa gravissima”, spiega Midulla. Secondo la quale il governo dovrebbe piuttosto prendere atto "della disponibilità degli operatori energetici a realizzare 60GW di energia da fonti rinnovabili in tre anni. Un’enormità, che fa però capire che le possibilità ci sono". Secondo le associazioni, bisognerebbe piuttosto occuparsi di rimuovere gli ostacoli burocratici per la realizzazione di questo tipo di impianti.

Il rischio di rallentare la transizione

Il dibattito in corso, secondo Lozza, ci fa però rendere conto “di come bisogna lavorare sulle cose. Esistono anche degli aspetti tecnici di cui è buono accorgersi”. Per il docente del Politecnico, infatti, “serve certamente andare avanti sulla strada della transizione energetica. Rendendoci conto però che per decenni saremo ancora dipendenti dalle fonti fossili”. Per Lozza, “ci sono anche tecnologie come quelle legate alla cattura della CO2 che dobbiamo considerare. L’importante è in ogni caso non pensare che tra pochi mesi saremo in grado di vivere solo con le rinnovabili”.

Il rapporto pubblicato questa mattina dall’Ipcc sulle conseguenze dei cambiamenti climatici sulle nostre vite è però più di un campanello d’allarme: nonostante la loro attuale necessità, le fonti fossili continuano a essere il principale nemico dell'ambiente. “Il carbone è tra le altre cose la fonte principale da tagliare per raggiungere gli obiettivi europei del -55% di emissioni di CO2 entro il 2030. L’Italia non sta mettendo in campo politiche adeguate di adattamento: almeno non dobbiamo rischiare di rallentare la transizione”, conclude Midulla. Insomma, se è vero che non riusciremmo ora a essere totalmente coperti dalle fonti di energia rinnovabile, resta comunque importante non fare arretramenti su questa strada. Anche perché, stando agli esperti delle Nazioni Unite, serve agire immediatamente se vogliamo assicurare un futuro al nostro pianeta.