Cosa lega gli allevamenti intensivi e l’aumento delle emissioni di metano nell’atmosfera

La relazione tra allevamenti intensivi e emissioni di gas serra nell’atmosfera è sempre più nota. Secondo alcuni studi, l’intera popolazione mondiale di mucche emetterebbe più metano di Paesi come la Germania. Ma perché i ruminanti rilasciano gas serra, e quali possono essere le soluzioni per ridurre queste emissioni? Ovviamente bisogna partire dalla diminuzione del consumo di carne, ma ci sono altre opzioni da sfruttare. Te ne parlo in questo articolo.
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Michele Mastandrea 21 Giugno 2022

Avrai sentito parlare, anche in forma di battuta, delle flatulenze delle mucche e del loro impatto sul riscaldamento globale. In Nuova Zelanda, addirittura, è stato proposto di tassarle: un segnale che forse la questione è molto più seria di quello che sembra. E così è, dato che ormai non ci sono più dubbi sul fatto che le emissioni di gas serra dei ruminanti contribuiscono alla crescita delle temperature mondiali nel lungo periodo.

A sottolineare l'importanza delle emissioni di metano da parte del settore zootecnico è stato anche l'Environment Programme delle Nazioni Unite, che in un report dello scorso anno, realizzato con la Climate and Clean Air Coalition, dimostra come sia necessario ridurre le dimensioni dell'allevamento industriale. Ma in che modo gli allevamenti, in particolare quelli intensivi, sono responsabili dell'aumento delle emissioni di gas serra? Provo a spiegartelo in questo articolo.

Il peso del metano sul global warming

Intanto, devi sapere che il metano, per quanto meno presente dell'anidride carbonica nell'atmosfera, ha una capacità molto maggiore (fino a 80 volte superiore in un tempo di 20 anni) di assorbire le radiazioni di calore e quindi di contribuire all'effetto serra, ovvero alla crescita del riscaldamento globale. Infatti, il suo contributo all'aumento totale della temperatura è di circa il 25%, come riportato da uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters.

Per l'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), che con i suoi report periodici informa la comunità internazionale sull'andamento del global warming, il metano è stato responsabile di circa 0,5 gradi di aumento della temperatura globale dall'inizio dell'epoca industriale a oggi. Dato di cui si è parlato anche alla Cop26 di Glasgow, dove cento Paesi hanno dichiarato la volontà di ridurre le emissioni di metano del 30% da qui alla fine del decennio.

Di queste emissioni, una buona parte è dovuta a allevamenti intensivi e agricoltura industriale. Solo per quanto riguarda l'Italia, spiega uno studio Ispra, siamo intorno al 10% del totale. In Europa, poco più del 50% delle emissioni di metano sarebbero dovute all'agricoltura e all'allevamento.

Di questa quota, l'1% è dovuta alla coltivazione del riso, il 18% alla gestione del letame e il restante 80% proprio dalla digestione dei ruminanti. Animali come le mucche producono infatti gas metano, a causa dei microbi attivi all'interno del rumine, la prima parte del loro apparato digerente. Gas che gli animali espellono poi nell'atmosfera, contribuendo a livello collettivo al suo riscaldamento. Secondo un articolo del New York Times, la popolazione complessiva delle mucche a livello mondiale produce più metano di un Paese come la Germania.

Possibili soluzioni

Per arginare variazioni troppo pesanti della temperatura globale sul lungo periodo, servirebbe allora ridurre il numero complessivo di capi di bestiame, portandolo a non più di due capi per ettaro di terreno. Una media che di fatto vorrebbe dire abbandonare gli allevamenti intensivi. Questo almeno è quanto afferma uno studio dell'organizzazione tedesca Deutsche Umwelthilfe, per cui potrebbe essere utile – anche se non sufficiente – promuovere anche l'allevamento di razze di bestiame con produzione inferiore di metano.

Secondo altri studi, l'inserimento nella dieta del bestiame di particolari alghe aiuterebbe a ridurre il rilascio di metano nell'atmosfera. Ma ovviamente, solo un generale minor consumo di carne permetterebbe sul lungo periodo una forte riduzione delle emissioni, come sottolineato da studi come quello di Michael Eisen e Patrick Brown pubblicato su PLoS Climate.

A beneficiarne sarebbe anche l'agricoltura, dato che al momento il 60% dei terreni europei è destinato alla produzione di foraggio. Terreni che potrebbero essere destinati alla produzione di altri beni. Insomma, a prescindere dalle soluzioni è ormai innegabile il ruolo degli allevamenti intensivi nell'aumento delle emissioni. Sarà solo attraverso i processi scientifici e tecnologici da un lato, e la modifica collettiva dei nostri comportamenti dall'altro, che potremo risolvere il problema.

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