Cop26, oltre 100 Paesi si accordano per ridurre le emissioni di metano entro il 2030 (ma non ci sono Russia, Cina e India)

L’accordo raggiunto a Glasgow, e di cui Stati Uniti e Unione Europea si sono fatti principali promotori, prevede un taglio delle emissioni di metano del 30% a livello globale entro la fine di questo decennio. Il metano è un potente gas a effetto sera ed è ritenuto responsabile del 30% del riscaldamento globale.
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Federico Turrisi 3 Novembre 2021

Insieme all'impegno per fermare la deforestazione entro il 2030 sottoscritto da più di 100 Paesi, nella giornata di ieri dalla Cop26 di Glasgow è arrivato un altro importante annuncio: 105 Paesi del mondo hanno promesso di ridurre le emissioni di metano nel mondo del 30% entro il 2030.

Di certo, un tassello in più nella lotta contro il cambiamento climatico. Tuttavia, a differenza dell'accordo sullo stop alla deforestazione, ci sono delle assenze di un certo peso: Russia, Cina e India, che sono tra i primi cinque emettitori di metano a livello globale, non hanno infatti aderito all'iniziativa guidata dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea. "Non mi vengono in mente due giorni in cui è stato fatto di più sul clima di questi ultimi due giorni", ha affermato ieri il presidente americano Joe Biden. "Francamente penso che sia stato un grosso errore per la Cina non presentarsi al summit. Lo stesso vale per la Russia".

Il metano (formula chimica CH4), è bene ricordarlo, è un potente gas serra. Rispetto all'anidride carbonica, è 84 volte più potente nell'intrappolare il calore in un periodo di 20 anni, contribuendo quindi in maniera rilevante all'aggravarsi della crisi climatica. Secondo l'Unep (il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente), il metano è da considerare responsabile del 30% del riscaldamento globale. Dall'epoca preindustriale ad oggi le sue emissioni sono più che raddoppiate: attualmente rilasciamo ogni anno in atmosfera circa 380 milioni di tonnellate di metano.

La maggior parte delle emissioni legate alle attività umane proviene da tre settori: agricoltura e zootecnia (40%), combustibili fossili (35%, ripartito tra il 23% della produzione e distribuzione di gas e petrolio e il 12% dell'estrazione di carbone) e rifiuti (20%). Per quanto riguarda il primo, una delle principali fonti sono senza dubbio gli allevamenti intensivi, in particolare di bovini. Per quanto riguarda il settore Oil&Gas, c'è da dire che le perdite di metano possono verificarsi durante tutta la catena produttiva: dalla trivellazione al trasporto, dallo stoccaggio all’utilizzo finale. In Italia, per esempio, il problema riguarda 25 impianti, come ha denunciato l'ong Clear Air Task Force. Per quanto riguarda infine il terzo punto, l'occhio è puntato soprattutto sulla gestione delle discariche dei rifiuti solidi urbani e delle acque reflue.

Per quanto sia da accogliere con favore l'impegno a tagliare le emissioni di metano assunto in occasione della Cop26, c'è un punto fondamentale da tenere in considerazione: ridurre le emissioni di metano può rallentare il ritmo del riscaldamento globale, ma solo nel breve periodo. Il ciclo vitale del metano nell'atmosfera è pari infatti a circa 12 anni (e per questo rientra tra i SLCP, Short-Lived Climate Pollutants, ovvero gli inquinanti atmosferici di breve durata). Se vogliamo affrontare in maniera più incisiva la crisi climatica, la sfida principale è contenere le emissioni di CO2, che rimane nell'atmosfera per centinaia di anni.