Il taglio illegale di alberi minaccia le foreste del pianeta e ci riguarda tutti da vicino

Secondo le stime dell’Interpol e dell’Unep, dal 15 al 30 percento del legname e dei prodotti derivati commercializzati nel mondo potrebbe essere di origine illegale, e l’Italia è uno dei maggiori Paesi importatori. Un fenomeno sfuggente, perché ogni Stato ha le sue leggi (e i suoi problemi interni): l’arma migliore per combatterlo è la consapevolezza.
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Federico Turrisi 5 Giugno 2020

Le foreste ospitano l'80% della biodiversità terrestre e sono degli alleati indispensabili per contenere gli effetti del cambiamento climatico grazie alla loro azione di assorbimento del carbonio atmosferico. Data questa premessa, la foresta amazzonica, per esempio, ossia la foresta pluviale più grande del mondo, va considerata un patrimonio dell'umanità oppure di un singolo Paese, come sostiene il presidente brasiliano Jair Bolsonaro?

La domanda è retorica, ma ci serve ad introdurre una questione che ha delle conseguenze sul mercato globale del legno e delle altre materie prime, come la pasta di cellulosa per fabbricare la carta, che derivano dagli alberi: il taglio illegale delle foreste (o illegal logging, per usare l'espressione inglese). Alcuni Paesi, soprattutto quelli tropicali, presentano maggiori criticità rispetto ad altri, ma il rischio è che un'azienda e un consumatore italiani diventino indirettamente complici dell'impoverimento del patrimonio forestale in alcune regioni del mondo.

Il commercio illegale di legname è uno dei prodotti della globalizzazione. Attenzione, però. Quelli del legno o della carta non sono dei settori da criminalizzare a priori. Un punto cardine che dovrebbe mettere d'accordo tutti è che occorre garantire un corretto sfruttamento delle foreste e un adeguato rinnovo del capitale naturale. Nessun dubbio a riguardo, e c'è chi lo fa in maniera esemplare. Tuttavia, la realtà è che i tagli illegali sono diffusi, anche se non sappiamo precisamente quanto. Si tratta di un tema complesso, che richiede una visione d'insieme.

Di che cosa stiamo parlando

Se dovessimo analizzarle con uno sguardo da economisti, le foreste sono un bene multifunzionale. Tra i vari prodotti che si possono ricavare il più importante è sicuramente il legno. Le cosiddette utilizzazioni boschive in Italia e in tutto il mondo sono soggette a una serie di autorizzazioni che hanno una componente sia di carattere ambientale sia di carattere amministrativo-fiscale. Per legno illegale s'intende proprio quel legno tagliato senza le dovute autorizzazioni.

Prima distinzione da fare. Il taglio illegale degli alberi non va confuso con la deforestazione. Quest'ultima è la perdita di superficie forestale per altri usi, per esempio per fare spazio a campi coltivati o a pascoli per il bestiame. L’illegal logging contribuisce certamente alla deforestazione, ma è l’insieme di tutte quelle attività che avvengono in violazione delle norme in materia forestale previste da un Paese.

Che cosa vuol dire? Che le politiche di Bolsonaro possono essere condivisibili o meno, ma è l'amministrazione brasiliana che stabilisce quali tagli sono autorizzati e quali no. Allo stesso modo, il ministero delle politiche agricole in Indonesia può autorizzare il via libera all'abbattimento di foreste per creare piantagioni di palma da olio. Niente di illegale, ma non sono pochi i dubbi sulla sostenibilità del taglio, che potrebbe anche danneggiare l'habitat di specie animali a rischio di estinzione. Riassumendo, non è detto che un taglio compiuto nel rispetto delle leggi di un Paese sia effettivamente sostenibile dal punto di vista ambientale.

Il rischio di illegalità è maggiore nei Paesi delle aree tropicali e laddove gli apparati pubblici sono più fragili ed esposti a fenomeni di corruzione

L'altra differenza fondamentale da tenere in mente è quella tra la legislazione interna di ciascun Paese e il commercio internazionale del legno e degli altri prodotti derivati. È vero, il rischio di illegalità è comunque più forte nei Paesi delle aree tropicali, con economie e apparati statali piuttosto deboli, ma tocca anche, per esempio, un paese come la Russia, che possiede milioni di ettari di foreste boreali ed è il più grande esportatore di legname nel mondo. Il punto è che il materiale ottenuto in maniera illegale potrebbe poi entrare nel mercato italiano.

Vale la pena ricordare che l'Italia per soddisfare il proprio fabbisogno di legname e di cellulosa importa circa l'80% dei suoi prodotti forestali dall'estero. I semilavorati, che si prestano a una lavorazione successiva da parte delle cartiere e delle cartotecniche italiane, e anche i prodotti finiti fanno la parte del leone. La domanda è: di questa fetta quanto materiale è di origine illegale? Impossibile dare una risposta puntuale. Per il fenomeno dell'illegal logging si può parlare solo di stime; e proprio perché non esistono statistiche precise parliamo sempre di rischio di illegalità.

Secondo il report Green Carbon, Black Trade realizzato dall'Unep (il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) e dall'Interpol, tra il 15% e il 30% di tutto il legno commercializzato a livello globale potrebbe essere stato ottenuto illegalmente, per un giro d'affari compreso tra i 30 e i 100 miliardi di dollari all'anno. Tutti soldi che finiscono nelle tasche delle organizzazioni criminali. Per quanto riguarda la sfera ambientale, solo il traffico di droga è più redditizio. Ma quello di legno illegale è molto più subdolo, perché già nella fase di lavorazione e di trasporto si può confondere facilmente con il materiale che invece è conforme alle leggi.

Il caso Romania

Abbiamo detto che il problema non riguarda solo le aree tropicali, come il bacino del Congo o l'Amazzonia. I tagli illegali avvengono anche all'interno dell'Unione Europea. Un Paese membro, in particolare, presenta da tempo una situazione critica, a causa di una scarsa governance nel settore forestale: la Romania. La regione dei Carpazi ospita alcune delle ultime foreste vergini rimaste sul suolo europeo. Greenpeace stima che dalle foreste rumene vengano prelevati illegalmente 20 milioni di metri cubi di legname ogni anno.

Si tratta di un'emergenza che va avanti da anni. Grazie all'aiuto di immagini satellitari, il Global Forest Watch, lo strumento digitale messo a disposizione dal World Resources Institute per monitorare lo stato di salute delle foreste nel mondo, stima che in Romania siano andati perduti tra il 2001 e il 2018 336mila ettari di superficie forestale, l’equivalente di oltre 470mila campi da calcio. Circa la metà degli alberi si trovavano in parchi nazionali o in aree protette.

Ma a cadere non sono solo gli alberi. Dal 2014 a oggi sono state uccise in Romania sei guardie forestali mentre sorvegliavano i boschi oppure indagavano su casi di disboscamento illegale; due di loro hanno perso la vita negli ultimi mesi del 2019. Non è dunque un caso che i media siano arrivati a definire la Romania "l'Amazzonia d'Europa" e a parlare di una vera e propria mafia del legno.

Già, perché se da una parte il parlamento rumeno ha approvato una legge che permette alle guardie forestali di portare con sé una pistola sul posto di lavoro, dall'altra le organizzazioni ambientaliste accusano il governo di Bucarest di eludere il problema principale, ossia la collusione tra le autorità locali e i trafficanti di legno illegale.

La corruzione è uno degli elementi chiave che connota quasi tutti i paesi che hanno seri problemi di illegal logging all'interno dei propri confini. Secondo l'indice di percezione della corruzione 2019, stilato dall'organizzazione non governativa Transparency International, la Romania ha uno dei punteggi più bassi e occupa in classifica la penultima posizione tra i paesi dell'Unione Europea (peggio fa solo la Bulgaria). Lo scorso febbraio la Commissione Europea ha inviato alla Romania una lettera di diffida formale, minacciando sanzioni se il governo non metterà fine allo sfruttamento illegale delle foreste.

Gli strumenti per contrastare il fenomeno

Come si combatte la circolazione di legno e di prodotti derivati ottenuti in maniera illecita sul mercato internazionale? Abbiamo appena citato la Commissione Europea. Questo ci permette di passare proprio agli strumenti che vengono messi in campo per cercare di mitigare il rischio di illegalità nel commercio di legname. Essendo un Paese membro dell'Unione Europea, per l'Italia il quadro normativo fondamentale è dato da due regolamenti comunitari: il Flegt (Forest Law Enforcement, Governance and Trade) e soprattutto l'Eutr (European Union Timber Regulation, entrato in vigore il 3 marzo 2013), che prevedono una serie di procedure e vincoli da parte di chi importa dai paesi extra-comunitari legno, pasta di cellulosa e altri prodotti provenienti dagli alberi.

"Facciamo un esempio: è avvenuto un taglio illegale in Brasile. Per ottemperare all’Eutr l’azienda italiana o europea deve farsi carico di effettuare internamente un’attività di Due Diligence, ossia di dovuta diligenza, sui materiali di origine legnosa che provengono dal Brasile. In linea di principio, un operatore italiano non potrebbe importare quel materiale e se lo facesse, consapevole o no della sua origine illegale, rischia non solo pesanti sanzioni amministrative ma anche procedimenti di natura penale".

A parlare è Davide Paradiso, Business Development Manager di Conlegno, consorzio senza scopo di lucro che riunisce oltre 1.800 imprese del settore e che svolge il ruolo di organismo di controllo (monitoring organisation) riconosciuto dalla Commissione Europea. Il suo obiettivo è proprio quello di aiutare gli operatori a rispettare gli obblighi imposti dal regolamento Eutr.

Conlegno è partner del progetto europeo LIFE Legal Wood, che si propone di far aumentare la consapevolezza delle norme comunitarie tra chi opera sul mercato del legno e dei prodotti derivati. In Italia c'è ancora un problema di carenza di conoscenze sul tema. Spesso il mancato rispetto del sistema di dovuta diligenza non avviene con dolo, ma per ignoranza delle norme.

"Ci sono anche i furbetti che conoscono i contenuti del regolamento, ma non fanno nulla per attuarlo", prosegue Paradiso. "Il punto però è che, nonostante le attività di sensibilizzazione in questi anni, l’informativa sull’Eutr non è arrivata a gran parte degli oltre 20 mila soggetti tenuti a rispettare l’obbligo della dovuta diligenza. Noi lavoriamo proprio su questo. La mancanza di conoscenza è un danno per tutti, anche per gli operatori che magari si ritrovano un giorno in azienda i controllori". E i controllori in questo caso sono i carabinieri forestali, ossia il braccio operativo della Direzione generale dell'economia montana e delle foreste organo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf).

"Il Mipaaf è l'autorità che coordina e orienta le attività dei carabinieri forestali, le quali con le loro strutture periferiche attuano i controlli sulle aziende che importano legno e prodotti derivati", aggiunge Angelo Mariano, responsabile dell'area operativa LegnOK, il sistema di Due Diligence messo a punto da Conlegno. "Noi stessi veniamo controllati, poiché l'autorità competente si vuole accertare che la nostra attività sia in linea con le prescrizioni dei regolamenti europei, che specificano che cosa possono fare e che cosa no gli organismi di controllo come appunto Conlegno".

Spesso è il fatto di non conoscere le norme a determinare il mancato rispetto della Due Diligence da parte degli operatori

Nel testo dell'Eutr vengono anche citati gli schemi di certificazione forestale, che rappresentano degli strumenti utili all'operatore per attuare la dovuta diligenza nella fase di mitigazione del rischio e di conformità alle leggi. Sono due le principali organizzazioni riconosciute a livello internazionale: Fsc (Forest Stewardship Council) e Pefc (Programme for Endorsement of Forest Certification). In sostanza, quando si parla di certificazione in questo campo, si parla di uno strumento di mercato volontario (non essendo governativo, non è obbligatorio): se un prodotto come un quaderno ha il marchio Fsc o Pefc significa che la carta utilizzata è il frutto di una gestione sostenibile delle foreste.

"Se i regolamenti Eutr e Flegt ruotano attorno al principio della legalità, gli schemi di certificazione nascono per il rispetto di un altro principio, non meno importante, che è quello della sostenibilità. Pertanto, la certificazione è un elemento senz'altro utile, ma non è di per sé considerabile un semaforo verde in tema di legalità; lo è invece in tema di sostenibilità", sottolinea Mariano.

"Certo, se io imprenditore acquisto prodotti certificati la mia procedura di dovuta diligenza dovrebbe essere più snella e semplice, poiché dietro la certificazione c’è la catena di custodia, ossia la tracciabilità dal taglio fino al prodotto che intendo importare. Ma attenzione: questo non vuol dire che non devo applicare l'Eutr. Dovrò comunque mettere in piedi un sistema di dovuta diligenza e un processo di analisi del rischio", commenta Paradiso. Tecnicamente, la certificazione non è una condizione né necessaria né sufficiente per il rispetto di tutte le norme previste dalla legge. Ma può essere considerato comunque un alleato molto prezioso, anche per la sua funzione di orientare le scelte dei consumatori.

Una questione (anche) culturale

"Se il mercato chiedesse solo prodotti sostenibili, ciò che è insostenibile non entrerebbe nel mercato, no? Se il consumatore si dimostrasse attento a certi valori, come la tutela dell'ambiente e dei diritti umani, la difesa delle popolazioni indigene e la trasparenza, senza limitarsi alla sola logica del portafoglio, ecco allora che magari si potrebbe mettere all’angolo il problema dell’illegalità". Per Antonio Brunori, segretario generale di Pefc Italia, è fondamentale allargare lo sguardo anche alla sfera sociale se si vuole capire meglio come si alimenta il fenomeno dell'illegalità nel commercio di legname e di prodotti derivati.

Fin qui abbiamo parlato di trafficanti e di leggi, di aziende e di dovuta diligenza. Ma noi consumatori, o meglio noi cittadini, che ruolo possiamo avere in tutto questo? Non siamo del tutto impotenti, anzi abbiamo tutti i mezzi per mettere in movimento il motore della svolta, facendo pressione sul mercato. L'impulso al cambiamento viene dal basso e le aziende, se vorranno continuare a essere competitive, non potranno non tenere in considerazione una parte sempre più ampia di consumatori attenti e consapevoli.

Come abbiamo detto nel capitolo precedente, è pur vero che molti operatori comprano materiale dall'estero senza conoscere la sua origine illegale. Per le organizzazioni criminali non è troppo complicato assoldare dei taglialegna tra le classi più disagiate della popolazione locale, elargire mazzette a chi dovrebbe vigilare e camuffare la documentazione per l'esportazione della merce. Se sapesse che è complice della distruzione di ettari di foreste nei Paesi tropicali o in altre aree del mondo, un imprenditore italiano probabilmente ci penserebbe due volte prima di acquistare un determinato prodotto.

D'altro canto, oltre alla parte etica, non possiamo dimenticare le motivazioni economiche. Perché le aziende importano dall'estero il materiale? Semplice, perché ora conviene. "Anche nel mondo del legname e degli altri prodotti che derivano dalle foreste agisce una sorta di delocalizzazione. Ma perché dobbiamo finanziare il taglio degli alberi all’estero, quando potremmo investire sulla gestione sostenibile delle nostre foreste? Avremmo dei vantaggi idrogeologici, creeremmo posti di lavoro e magari riusciremmo a ridurre i tagli illegali negli altri Paesi", prosegue Brunori.

Per questo all'inizio abbiamo citato la globalizzazione. Le conseguenze si vedono anche qui. Potremmo fare un parallelismo con il settore alimentare: perché al posto di importare la carne dal Brasile, dietro cui si nasconde l'ombra della deforestazione, non valorizziamo quella italiana, con un prezzo più giusto e una maggiore attenzione per l'ambiente? "È tutta una questione di sensibilizzazione", conclude Brunori. Se i consumatori premiassero le scelte più sostenibili, forse anche il mercato legato allo sfruttamento forestale si dovrebbe in qualche modo adeguare.

La morale della favola è sempre la stessa. Un acquirente non può guardare solo il prezzo. Se il prezzo è troppo basso significa che qualcun altro lo sta pagando al posto tuo. In genere, quella differenza di costo la paga l’ambiente oppure la pagano i diritti umani calpestati. Come ogni altro fenomeno criminale, il taglio illegale degli alberi esisterà finché attorno ad esso ruoteranno ingenti somme di denaro. Il principale nemico della natura è l'ossessione del profitto da parte degli esseri umani.