La Russia ha bloccato le forniture di gas all’Europa: cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo inverno

Da oggi e fino al 3 settembre le forniture di gas all’Europa attraverso il Nord Stream 1 sono ferme. La ragione ufficiale è la necessità di effettuare dei lavori di manutenzione agl impianti, ma è sempre più evidente come Putin stia utlizzando la dipendenza energetica dell’UE per fare pressioni contro le sanzioni. La prima conseguenza è un rialzo nei prezzi. Come affronteremo allora la prossima stagione invernale?
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Giulia Dallagiovanna 31 Agosto 2022

La Russia ha chiuso i rubinetti, di nuovo. A partire da oggi, 31 agosto, e fino al 3 settembre le forniture di gas verso l'Europa saranno interrotte. Lo ha annunciato Entsog, la Rete europea dei sistemi di trasporto del gas. La scusa ufficiale è la necessità di effettuare lavori di manutenzione al gasdotto Nord Stream 1, che trasporta il combustibile fino ai Paesi UE. Ma non è la prima volta. Veniamo già da uno stop di tre giorni, sempre motivato da interventi a una stazione di compressione situata nel nord della Germania. Intanto sappiamo dalla società norvegese Rystad Energy che la Russia sta bruciando ogni giorno 10 miliardi di dollari di gas rimasto invenduto. Mentre da noi i prezzi continuano a salire e ci si comincia a chiedere cosa si prospetta per l'inverno tra aumento dell'inflazione e spettro della crisi energetica.

La parola "razionamento" rimbalza sempre più di frequente nei discorsi dei governi e alcuni Paesi europei hanno già messo in atto alcune misure che l'Italia sta valutando di copiare. Nel frattempo, da più parti arriva un'apertura verso la possibilità di cercare una soluzione unitaria e coesa da parte di tutta l'Unione europea.

L'interruzione delle forniture

"Gazprom ha comunicato per la giornata di oggi la consegna di volumi di gas pari a circa 20 milioni di metri cubi, a fronte di consegne giornaliere pari a circa 27 milioni di metri cubi effettuate nei giorni scorsi", ha reso noto Eni. A partire dalle 5 di questa mattina, infatti, le forniture all'Europa attraverso il gasdotto Nord Stream 1 sono state bloccate e così rimarranno fino al 3 settembre.

La motivazione riguarderebbe alcuni interventi per riparare l'unica unità di compressione ancora in funzione alla stazione di Portovaya, al confine con la Finlandia. Lo stesso impianto dove, secondo le rilevazioni della società Rystad Energy, ogni giorno andrebbero in fumo circa 4,34 milioni di metri cubi di gas naturale liquefatto rimasto invenduto, in seguito alle diverse interruzioni alle forniture verso la Germania che si susseguono fin dalla metà di luglio.

Questa scoperta avvalora l'ipotesi di esperti e commentatori che denunciano l'uso che Vladimir Putin fa della dipendenza energetica europea nei confronti della Russia: un'arma di ricatto. Una risposta insomma alle sanzioni imposte al Cremlino in seguito all'invasione dell'Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio e in atto ormai da 6 mesi.

L'aumento dei prezzi

Ieri il prezzo del gas è leggermente sceso, arrivando a quota 258 euro al megawattora sul mercato di riferimento Ttf della Borsa di Amsterdam. Solo giovedì scorso però aveva sfondato per la prima volta il muro dei 300 euro al megawattora, quasi 10 volte superiore al prezzo registrato lo scorso anno nello stesso periodo. Oltre ai rincari diretti visibili nelle bollette, questo andamento scatena un effetto a catena che provoca un rialzo dei costi dell'energia elettrica e una stagnazione nel mercato dei fornitori. Alla fine di questa catena ci sono i consumatori, e quindi anche tu.

Secondo un'analisi di Reuters una famiglia media italiana oggi destina a luce e gas il 5% delle spese totali, ma solo tre anni fa era il 3,5%. La Germania ha invece conosciuto un raddoppio dei prezzi in bolletta rispetto all'anno scorso. D'altronde è da gennaio che lo stesso governo, e nello specifico il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, avvertono dell'aumento dei prezzi di luce e gas per il 2022.

Le ragioni erano (e sono) molteplici. In primo luogo, l'aumento del prezzo della CO2 all'interno del sistema di scambi ETS (Emissions Trading Scheme) dove ogni azienda energetica deve acquistare quote che le permettano di emettere una certa quantità di anidride carbonica nell'aria. E più si inquina, più si paga.

A gennaio, poi, sono cominciate le pressioni da parte della Russia, che aveva già schierato l'esercito lungo i confini del Donbass, affinché l'Europa approvasse definitivamente il Nord Stream 2 come secondo canale di arrivo del gas, rinunciando quindi al gasdotto che passa attraverso l'Ucraina e permettendo a Putin di fare il bello e il cattivo tempo nel Paese confinante. E intanto eravamo in pieno l'inverno, in un anno in cui l'Europa provava a riprendersi dal calo della produzione interna dovuto ai vari lockdown del 2020. Mentre la domanda di gas saliva, dunque, l'offerta rimaneva limitata, con un conseguente aumento dei prezzi della materia prima al Ttf (Title Transfer Facility), il mercato di riferimento in UE.

Alla fine, il 24 febbraio, l'invasione dell'Ucraina era davvero iniziata. Nessuno Stato membro aveva preso sul serio la minaccia russa e lo scoppio del conflitto ha ulteriormente peggiorato la situazione. Ora ci apprestiamo ad affrontare una nuova stagione invernale, un nuovo aumento dei consumi e l'ennesima impennata nei prezzi.

La tassa sugli extraprofitti

Da tutta questa situazione, qualcuno che ci sta guadagnando ci sarebbe. E non stiamo parlando della Russia. Le aziende energetiche stanno infatti vendendo il gas al prezzo fissato dal Ttf, che si basa su contratti "futures", cioè in previsione del futuro. Viene quindi determinato da diversi fattori, tra cui gli eventi contigenti e le contrattazioni stesse.

Come avviene nel concreto? In sostanza, viene stabilito il prezzo che il gas naturale potrebbe avere tra un mese, o anche tra un anno. La scadenza più vicina infatti è quella di settembre 2022, mentre la più lontana è addirittura dicembre 2027. Come si fa a sapere oggi cosa accadrà nei prossimi mesi? Lo si immagina. E quindi ci si può speculare sopra. Se ad esempio si temono interruzioni alle forniture, come appunto si stanno verificando in questi giorni, il prezzo del gas aumenta.

Ti ricordi quando ti dicevamo che il 30 agosto il prezzo del gas era leggermente sceso? È accaduto perché la Germania ha annunciato di voler finire di immagazzinare le scorte con un mese di anticipo. Le previsioni quindi suggeriscono che tra un mese la richiesta di gas sarà più ridotta, perciò si abbassa anche il suo prezzo sul mercato.

Questa differenza tra il prezzo di acquisto del gas e quello di vendita è il famoso extra-profitto. Il governo Draghi, con il "decreto Ucraina", ha imposto alle aziende il pagamento di un contributo straordinario, una tassa insomma su questi extra-profitti, allo scopo di sostenere famiglie e imprese in difficoltà. Le aziende però hanno presentato ricorso, lamentando l'incostituzionalità del provvedimento. Risultato? Al 30 giugno è pervenuto un solo miliardo rispetto ai 4,2 che lo Stato si aspettava di incassare con la prima rata.

Le proposte del governo

Oltre alla tassa sugli extra-profitti, governo e partiti stanno ragionando su altre misure per gestire una probabile ulteriore impennata nei prezzi. La prima è l'erogazione una tantum di 200 euro per chi ha un reddito inferiore ai 35mila euro l'anno, allo scopo di arginare il caro vita, assieme a un credito d'imposta del 20% per le aziende che subiscono un aumento dei prezzi del 30%. Inoltre, si prevede di prorogare gli sconti già in atto su carburanti e oneri di sistema nelle bollette. La spesa complessiva dello Stato supera già i 40 miliardi di euro. Ma potrebbe essere solo l'inizio.

I partiti all'unanimità stanno facendo pressioni sul governo Draghi affinché intervenga con una nuova serie di misure, prendendo in considerazione anche la possibibilità di imporre un tetto del 4% al rincaro delle bollette. E c'è addirittura chi propone una tregua alla campagna elettorale in corso per permettere all'esecutivo di attuare tutte le manovre necessarie. Manovre che comporteranno sacrifici e sulle quali nessuna delle coalizioni vuole mettere la fima.

La proposta che in queste ore si trova sul tavolo del ministro Cingolani prevede una prima forma di razionamento, con l'abbassamento di un grado dei riscaldamenti in case, uffici e fabbriche e la riduzione di un'ora al giorno del tempo di accensione. E ancora. La settimana corta per le scuole, evitando quindi di riscaldare gli edifici il sabato, ma anche lo smart working per tutti i dipendenti pubblici e lo spegnimento delle insegne dei negozi dopo le 23, come già avviene ad esempio in Francia. Si sta poi pensando a ulteriori aiuti per imprese e famiglie. Ma se le casse non potranno contare sui soldi derivanti dalla tassa sugli extra-profitti, dove si troveranno i fondi necessari?

La risposta dell'Europa

L'Unione europea ha inziato a prendere coscienza delle necessità di affrontare il problema come un unico organismo, avendo quindi più forza contrattuale nei confronti della Russia. Non è semplice. I Paesi membri hanno ancora mix energetici e strategie molto diversi e mentre l'Italia cerca nuovi accordi per le forniture di gas, ad esempio con l'Algeria, la Germania mette la quarta in tema di idrogeno stringendo un'alleanza direttamente con il Canada.

Il 29 agosto, però, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha annunciato come imminenti interventi di emergenza rispetto al rincaro delle bollette, ma anche una riforma strutturale del mercato europeo dell'energia. Per venerdì 9 settembre è quindi in programma una riunione d'urgenza dei ministri dell'Energia dei diversi Stati membri durante la quale si discuterà proprio di una risposta unitaria alla crisi.

In cima alla lista dei punti da analizzare ci sarà il tetto massimo al prezzo di acquisto del gas naturale dalla Russia che dovrebbero applicare tutti i Paesi dell'UE e al sopra del quale si dovrebbero rifiutare di portare a termine la compravendita. Un'ipotesi sostenuta soprattutto da Mario Draghi.

E le rinnovabili?

Quando si parla di gas, si parla anche di dipendenza energetica e di combustibili fossili. Al lato opposto della barricata troviamo invece le fonti rinnovabili e in particolare fotovoltaico ed eolico. L'Italia oggi produce circa il 20% di tutta l'energia utilizzata proprio da canali non inquinanti. Ma il grosso del lavoro è affidato all'idroelettrico, costretto allo stop di fronte a lunghi periodi di siccità come quello che stiamo tuttora affrontando.

Di rinnovabili si discute almeno dal 1991, eppure siamo rimasti molto più indietro di Paesi come la Svezia che nel 2021 ha basato su queste fonti più del 60% della produzione energetica interna. Nell'ultimo periodo qualche passo avanti c'è stato. Il decreto Energia approvato ad aprile ad esempio ha rimosso alcuni vincoli all'installazione di impianti, soprattutto fotovoltaici.

E nel frattempo, soprattutto a livello europeo, si discute del cosiddetto decoupling, ovvero il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell'energia elettrica. In questo modo, risulterebbe più protetto dai rincari proprio chi privilegia la produzione di elettricità da fonti rinnovabili.

Se c'è una cosa che la guerra ha messo bene in chiaro è che scommettere tutto (o quasi) sui combustibili fossili, come ha fatto l'Italia negli ultimi 30 anni non è stata una mossa vincente.