Dalle fonti fossili alle rinnovabili: a che punto siamo e dove dobbiamo arrivare. Ne parliamo con tre esperti

La guerra in Ucraina non è una guerra per il gas o il petrolio, ma ha molto a che fare con queste fonti fossili. L’Unione europea infatti è legata alle importazioni dalla Russia, soprattutto per quanto riguarda il gas. Come potrebbe muoversi l’Italia sulle fonti rinnovabili?
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Giulia Dallagiovanna 10 Marzo 2022

La guerra in Ucraina molto probabilmente starà preoccupando anche te. Si tratta di un conflitto che ha diverse ragioni, ma ha molto a che fare anche con la questione delle fonti fossili, in particolare petrolio e gas. L'Unione europea infatti dipende a tal punto dalla importazioni del gas naturale russo, che non ha dovuto escludere dalle sanzioni la Gasprombank, quella attraverso cui paga le importazioni del combustibile fossile dal quale produciamo energia e anche elettricità. Ma questo sistema di produzione sta dimostrando una volta di più quanto sia insostenibile, prima di tutto dal punto di vista ambientale. Non sarà allora arrivato il momento di liberarci da queste fonti inquinanti?

Prima di tutto devi sapere che il 73% dell'energia che consumiamo deriva da petrolio e gas. Di quest'ultimo importiamo circa il 40% dalla Russia. Per questo motivo, il governo ha dovuto prima di tutto cercare altri fornitori, come Algeria o Libia, in modo da mettere una pezza su una potenziale voragine.

 

Ma come sostiene il professor Nicola Armaroli, chimico, dirigente di ricerca del Cnr e membro del gruppo scientifico “Energia per l’Italia”, "qualsiasi intervento tampone in questo momento è necessario, perché non abbiamo soluzioni nell'immediato. Ma è anche vero che di interventi tampone in interventi tampone, l'Italia come Paese industriale alla lunga rischia di morire". Il vero nuovo fornitore che dovremmo cercare, prosegue il professore, è quello che abbiamo già a disposizione sul nostro territorio: le fonti rinnovabili, appunto. Ad oggi, il 20% dell'energia che consumiamo proviene da lì, e soprattutto da idroelettrico (43%) e da fotovoltaico (25%), mentre l'eolico cresce rapidamente.

Secondo Legambiente, dovremmo installare circa 70GW di impianti entro il 2030, se vogliamo centrare l'obiettivo europeo di riduzione del 55% delle emissioni. Ad oggi ne abbiamo già a disposizione 33GW, mentre Elettricità futura, che riunisce le associazioni di categoria e le imprese del settore, prevede di poterne installare altri 60GW in tre anni.

Dunque, siamo pronti. Lo pensa anche Toni Federico, Responsabile del gruppo di lavoro Energia e Clima di Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile): "Possiamo non solo partire ma avere ragionevoli probabilità di riuscire a portare a termine i programmi, di liberarci di una grande parte delle importazioni di gas".

In realtà, l'Italia ha da sempre in mente di basare una buona parte della produzione di energia su fonti rinnovabili. Lo testimonia il Piano energetico nazionale varato nel 1991 dal governo, per puntare all'autonomia energetica basandosi su due pilastri: ricerca e sfruttamento degli idrocarburi e aumento del 44% dell'uso delle rinnovabili. Il problema è che, come ricorda il professor Gianluca Ruggieri dell'Università dell'Insubria, mentre i primi hanno conosciuto un rapido sviluppo, le seconde sono state un po' dimenticate. I primi veri fondi arrivano infatti solo nel 2005, peraltro su spinta dell'Unione europea attraverso una direttiva che obbligava il nostro Paese a promuovere efficienza energetica e fonti rinnovabili. Queste ultime conoscono un periodo di grande sviluppo, con una crescita pari circa a 4,6GW all'anno. Fino al 2014, quando i sussidi si bloccano e l'aumento di ridurrà a 0,8 GW all'anno. Lo puoi vedere anche dal grafico che trovi qui sopra.

Gli investimenti sono ripresi solo da qualche anno, ma gli ostacoli che si incontrano producono lungaggini e rallentamenti. La lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, leggi regionali disomogenee ed effetto nimby sono i principali. "Le fonti rinnovabili sono le più economiche in termini di costi medi dell’intero ciclo di vita dell’impianto, ma dovremo abituarci a vedere le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici dove oggi vediamo altre forme di insediamentichiarisce il professor Michele Governatori, docente di Economia Ambientale all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e responsabile Energia del think tank Ecco. – A me non sembra che sia una cosa così terrificante, sapendo che ci saranno molte persone in meno che muoiono di problemi respiratori e tumori".

Non stiamo parlando di un mondo irrealizzabile, nei Paesi Bassi hanno ridotto del 20% la dipendenza dal gas in soli due anni. L'importante è che ci sia la volontà politica e la responsabilità civile di attuare la transizione energetica.