Nell’Egitto che ospita la Cop27 sono già stati arrestati quasi 70 attivisti

Secondo quanto denunciano le associazioni, agenti in borghese starebbero fermando i passanti e controllando i loro smartphone e account social. Già 67 attivisti sarebbero in carcere con l’accusa di diffondere fake news. Intanto, le eventuali manifestazioni durante i giorni del summit saranno concesse solo all’interno di una struttura già individuata.
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Giulia Dallagiovanna 3 Novembre 2022

La Cop27 di Sharm el-Sheikh è alle porte e le prime manette ai danni degli attivisti sono già scattate. Ajit Rajagopal, architetto e ambientalista di Kerala (India), è finito in carcere per aver deciso di andare a piedi dal Cairo fino alla celebre città balneare egiziana allo scopo di sensibilizzare sulla crisi climatica. E dietro le sbarre ci si è trovato anche il suo amico e avvocato, esperto in diritti umani, Makarios Lahzy, nel tentativo di difenderlo. Quella che sta per cominciare doveva essere la Conferenza dell'Africa per l'Africa, dove sarebbe stata presa sul serio l'istituzione del fondo loss and damage. Diverse associazioni e movimenti ambientalisti temono invece che si possa rivelare un grande evento a tema greenwashing.

Le Nazioni Unite sono state criticate a lungo per aver scelto di tenere il summit sul clima proprio in Egitto, dove vige uno dei regimi più repressivi al mondo. Le notizie che stanno arrivando in questi giorni sembrano confermare i timori. I servizi di sicurezza hanno stretto le maglie e aumentato i controlli, spesso effettuati da agenti in borghese che fermano i passanti per controllare smartphone e account social. Lunedì scorso erano già 67 gli attivisti arrestati, quasi sempre con l'accusa di diffondere fake news.

Lunedì scorso erano già 67 gli attivisti arrestati, con l'accusa di diffondere fake news

La stessa accusa che grava sulla testa di Alaa Abd El-Fattah, in carcere dal 2015, uno dei più conosciuti prigionieri politici e tra i simboli della rivoluzione di piazza Tharir. Proprio Abd El-Fattah a settembre avrebbe scritto una lettera, l'unica modalità che gli è concessa per comunicare con l'esterno, sul cambiamento climatico, con particolare preoccupazioni per le inondazioni avvenute in Pakistan a settembre. Quella lettera non è mai giunta a destinazione. In occasione della Cop27 ha annunciato che oltre allo sciopero della fame, già in corso da settimane, inizierà quello della sete.

Stando alle testimonianze, Sharm el-Sheikh appare una città blindata, con camere di hotel e resort troppo care per permettere agli attivisti provenienti dai Paesi più poveri di partecipare. Con buona pace della Cop per l'Africa.

Nella foto: Alaa Abd El–Fattah

Le proteste saranno concesse, ha assicurato il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, ma si dovranno tenere in una struttura adiacente alla sede della conferenza. Non nelle piazze, insomma, luogo naturale per esprimere il dissenso e far sentire la propria voce, e nemmeno vicino ai palazzi dove avverranno gli incontri e si riuniranno i gruppi di lavoro. I vari movimenti si troveranno inoltre di fronte a una legge del 2013 che regolamenta raduni pubblici e manifestazioni e conferisce alle forze di polizia pieni poteri per intervenire, con qualsiasi modalità, allo scopo di porre fine a iniziative pericolose.

Pericolose potrebbero rivelarsi, ad esempio, voci che denunciano l'inquinamento industriale e quello provocato dal settore del turismo, o il grave problema della siccità e dell'iniquo accesso all'acqua. E di certo saranno pericolose le proteste in nome del rispetto dei diritti umani e della giustizia climatica.

Una Cop confinata e controllata. È questa una delle ragioni per cui Greta Thunberg ha già annunciato che non intende partecipare al summit dell'ONU. Ma una conferenza sul clima senza quei movimenti che hanno risvegliato l'attenzione della società civile e del mondo politico rispetto all'urgenza della questione ambientale, può avere senso?