Maltempo in Italia, il meteorologo Andrea Giuliacci: “Il clima del nostro Paese si sta estremizzando”

“L’aumento della frequenza con cui si verificano questi episodi dipende sicuramente dalla crisi climatica”, spiega il meteorologo e aggiunge: “In questo scenario così complesso, non siamo in grado di prevedere con precisione quando e dove colpirà un evento estremo”.
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Giulia Dallagiovanna 25 Agosto 2022
Intervista al Prof. Andrea Giuliacci Meteorologo, climatologo e docente di Fisica dell'Atmosfera all'Università Bicocca di Milano.

"Non abbiamo gli elementi per dire che il singolo evento estremo sia stato causato dal cambiamento climatico, ma la maggior frequenza con cui si verificano questi episodi dipende certamente dalla crisi climatica e dall'aumento delle temperature". Andrea Giuliacci, meteorologo, climatologo e volto noto delle previsioni del tempo sulle reti Mediaset, ha pubblicato diversi libri sul climate change, tra cui Il clima come cambia e perché e Global Warming. Insegna inoltre Fisica dell'Atmosfera all'Università Bicocca di Milano. Assieme a lui, abbiamo cercato di capire se i violenti nubifragi e la trombe d'aria che alla fine della scorsa settimana hanno colpito Liguria e Toscana siano in qualche modo legati a un clima che cambia.

Il nostro Paese d'altronde sta convivendo già da diversi anni con l'arrivo improvviso di violente perturbazioni subito dopo lunghi periodi di assenza di piogge. Basti guardare a quanto è accaduto nel Catanese a ottobre 2021. L'ultimo report di Legambiente conferma, tra l'altro, che siamo di fronte a un trend in crescita e che difficilmente si arresterà. Cosa aspettarci dunque dal futuro e soprattutto cosa significa fare le previsioni del tempo in uno scenario divenuto così instabile?

Credits photo: pagina Facebook di Andrea Giuliacci

Giuliacci, per prima cosa le chiederei di spiegarci come si colleghino tra loro crisi climatica ed eventi estremi, pensando in particolare a quelli che si sono abbattuti di recente sul nostro Paese.

Se guardiamo al singolo episodio non possiamo individuare un legame netto: anche 50 anni fa poteva verificarsi un temporale più violento della norma. Ma il fatto che il numero di questi eventi sia cresciuto notevolmente nell'ultimo decennio è un fenomeno che si può spiegare solo con dinamiche legate al cambiamento climatico e all'aumento delle temperature.

A tal proposito, viene in mente un articolo pubblicato il 19 luglio del 1964 su l'Unità, dove si testimoniavano i 40 gradi raggiunti da Torino in quei giorni. È tornato a circolare quest'estate, soprattutto sui social network, come "prova" che le ondate di calore sono sempre esistite.

Vale lo stesso discorso. Il problema non è la singola giornata in cui si toccano i 40 gradi, ma quante giornate particolarmente calde si verificano nel corso di un'estate. O di un anno. Alcuni record storici di temperatura resistono addirittura da più di un secolo, ma la misura di quanto sta accadendo viene data dalla temperatura media registrata nell'arco di tutti i 90 giorni che compongono la stagione estiva.

"Tutte le estati più calde degli ultimi due secoli sono concentrate dopo gli anni Duemila"

Si scopre così che tutte le estati più calde degli ultimi due secoli sono concentrate dopo gli anni Duemila. La prima è quella del 2003, seguita da quella del 2017, poi dal 2019 e così via. Non abbiamo ancora i dati definitivi per il 2022, ma è probabile che si collocherà al secondo posto di questa classifica. Se invece prendiamo in considerazione un intero anno, il più caldo fino ad ora è stato il 2018.

In poche parole, non ha mai fatto così caldo come negli ultimi vent'anni.

Esatto, ma se ne può avere anche una percezione a livello personale. Quando ero bambino, negli anni '70, e si sentiva in televisione che sarebbero arrivati 30 gradi, si aveva la sensazione che ci sarebbe stato molto caldo. Oggi, invece, ci sembra una temperatura normale per i mesi estivi. Se andiamo a vedere i dati, però, troviamo la conferma che il clima è cambiato in modo rapido e importante.

Quest'anno, inoltre, l'inverno non ha praticamente visto precipitazioni.

Il primo semestre di quest'anno è stato il più siccitoso della storia recente dell'Italia. L'inverno e la primavera senza precipitazioni sono stati seguiti da un luglio molto asciutto e caldo, che ha aggravato la situazione di siccità. Le piogge di questi giorni hanno portato solo un leggero sollievo: il deficit idrico rimane importante. Da gennaio a luglio sono venuti a mancare 45 miliardi di metri cubi di acqua, che equivale quasi all'intero Lago di Garda.

"In 7 mesi sono venuti a mancare 45 miliardi di metri cubi di acqua: quasi l'intero Lago di Garda"

Inverni più miti si traducono anche in assenza di neve e questo mette in crisi i ghiacciai, che sono poi ancora più danneggiati dal caldo estivo. In circa 50 anni abbiamo perso il 30% di tutte le distese di ghiaccio sulle nostre montagne: una risorsa d'acqua importantissima, il serbatoio al quale attingiamo durante la stagione più calda, che già di norma è meno piovosa.

C'è chi sostiene che il clima dell'Italia si stia tropicalizzando, è così?

Non proprio. In realtà si sta estremizzando: rispetto al passato si passa con molta più velocità da un evento estremo all'altro, da lunghi periodi in cui non piove a giornate in cui cade tutta la pioggia di una stagione. Così la media a fine anno rimane la stessa, ma le precipitazioni sono state molto più violente e concentrate. Ci sono però alcuni aspetti di tropicalizzazione, perché rispetto a 50 o a 100 anni fa, le temperature sono più vicine a quelle dei Paesi tropicali.

Come facciamo a dire che una buona parte di responsabilità di questo cambiamento è dell'uomo?

Di nuovo, guardando i dati. La scienza ci dimostra che fino al 1950 il cambiamento climatico è stato causato dalle diverse azioni cicliche naturali e in particolare dal sole, che passa da cicli in cui emette meno energia a cicli in cui ne emette di più. Durante il 20esimo secolo, il sole ha aumentato la sua attività, quindi fino a qui i conti tornano.

Ma dal 1950 in poi non è possibile spiegare il cambiamento se non guardando all'aumento di emissioni di gas serra, che sono prodotte soprattutto dai combustibili fossili. Questi gas trattengono in atmosfera il calore, che altrimenti sarebbe disperso verso lo Spazio. Dobbiamo immaginarci una sorta di coperta che avvolge la Terra e che ora sta diventando sempre più spessa.

In questo scenario diventa più difficile fare le previsioni del tempo?

Senz'altro. Le previsioni oggi vengono elaborate grazie a potenti computer ed equazioni che descrivono con precisione l'atmosfera. Il meteorologo di solito interviene aggiustando i risultati quando questi appaiono inverosimili. Il problema è che oggi non sappiamo più dire con certezza quando le previsioni siano davvero inverosimili e quando invece stiano segnalando l'arrivo di un episodio particolarmente intenso. La realtà ha superato quello che prima ritenevamo inverosimile. Per fare un esempio: 40 anni fa avremmo classificato come impossibili previsioni su eventi estremi come quelli che sono accaduti di recente. I programmi vengono sviluppati sulla base delle conoscenze del clima, ma se questo cambia rapidamente, si devono modificare velocemente anche i modelli.

Che conseguenze ha questo problema nella comunicazione delle previsioni meteo al grande pubblico?

Negli ultimi anni la meteorologia è diventata sempre più affidabile e attendibile, quindi ora il pubblico si aspetta che il meteorologo avverta dell'arrivo di temporali intensi, specificando anche con precisione in quale zona si abbatteranno. Ma allo stato dell'arte non siamo in grado di dare questa informazione, proprio perché la situazione è divenuta molto complessa.

"La situazione è diventata molto complessa: non possiamo prevedere con precisione dove si verificheranno eventi estremi"

Se 30 anni fa si parlava di eventi davvero imprevedibili, che capitavano una volta ogni 10, 20 o addirittura 50 anni, oggi si tratta di episodi così frequenti che dovrebbero in effetti rientrare nelle previsioni meteo. Purtroppo non si riesce. Si può parlare di rischio, si può fornire un'indicazione di massima, avvertire che saranno interessate ad esempio alcune regioni del Nord Italia, ma non quali città.

Come cambia il ruolo del meteorologo in televisione secondo lei?

L'errore che rischia di fare un meteorologo, soprattutto se arriva da un percorso scientifico, è quello di dare per scontato che tutti possiedano delle competenze di base, ma non è assolutamente così. Quando si parla di temi delicati come il cambiamento climatico bisogna cercare di essere il più semplici e chiari possibile, senza utilizzare termini o ricorrere a concetti tipici del mondo accademico. Non dimentichiamo che su argomenti come le scienze geofisiche o la meteorologia la formazione della maggior parte della popolazione è scarsa, perché non li ha studiati a scuola. La giusta comunicazione quindi diventa fondamentale. Ma lo è anche l'educazione dei più piccoli: dobbiamo portare questi argomenti nelle scuole, aiutandoci magari con strumenti più vicino a loro come cartoni animati e fumetti. Crescere, insomma, cittadini già consapevoli di quello che sta accadendo.

Quanto è importante che i cittadini abbiano chiara la situazione?

Fondamentale. Si fa presto a parlare di transizione energetica, ma se la maggior parte della popolazione non sa perché si debbano privilegiare le fonti rinnovabili, continuerà a scegliere il fornitore di energia sulla base di considerazioni solo economiche. Forse se avesse consapevolezza di quanto sia importante consumare energia pulita, compirebbe anche più facilmente determinate scelte e accetterebbe qualche sacrificio. A quel punto, sarebbe il mercato stesso a operare la transizione energetica, perché cambierebbe la domanda. Il problema è che oggi le fonti di informazione sono tante e spesso non si riesce a distinguere tra quelle attendibili e quelle che invece non lo sono. In questo, la scuola rimane comunque una garanzia.