No, il Pitesai non pregiudica la nostra indipendenza energetica. Si potrà continuare a estrarre gas (purtroppo)

Lo stop a 37 permessi di ricerca di nuovi giacimenti di gas mette il Pitesai di nuovo al centro del dibattito politico. Per alcuni, il blocco alle nuove ricerche di gas sarebbe un freno alla nostra indipendenza energetica. Ma per le associazioni ambientaliste, il ‘Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee’ permetterà di estrarre ancora gas dove è presente: in alcuni casi, aggirando i divieti stessi imposti dal Ministero della Transizione Ecologica.
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Michele Mastandrea 14 Aprile 2022

Nelle scorse ore si è tornati a discutere del Pitesai, il "Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee". Te ne avevamo parlato qualche mese fa, in occasione della sua approvazione, esprimendo alcuni dubbi in merito al suo impatto sulla transizione ecologica. Ora, mentre l'Italia cerca in maniera affannosa, e spesso contraddittoria, di limitare la propria dipendenza dal gas russo, il Pitesai è tornato al centro del dibattito.

Il motivo è il parere negativo espresso da parte dal Ministero della Transizione ecologica nei confronti di 37 istanze di permesso di ricerca, legate all'estrazione di gas sul territorio nazionale. Scelta arrivata proprio in base ai vincoli previsti dal Piano. Per alcuni parlamentari, si tratterebbe di un controsenso nel momento in cui l'Italia cerca nel frattempo miliardi di metri cubi di combustibile da altri Paesi esportatori. Ma le cose stanno davvero così?

Estrarre gas non incide sul prezzo

Bisogna inanzitutto ricordare, come spiegato in passato anche dal think tank Ecco in una sua analisi, che il gas prodotto a livello nazionale non viene pagato di meno rispetto a quello importato. Il gas infatti, "che sia importato o estratto localmente, viene comunque immesso nella stessa rete e scambiato in mercati organizzati come prodotto indistinto, a un prezzo che è influenzato solo dal rapporto tra offerta complessiva e domanda".

Inoltre, stando ai dati del Ministero della Transizione Ecologica, le riserve totali di gas naturale stimate nel nostro Paese sono inferiori a un anno di nostri consumi totali (circa 76 miliardi di metri cubi). Sul lungo periodo dunque, non avrebbero un ruolo significativo nel ridurre i nostri problemi energetici, né avrebbero un impatto particolare sul prezzo.

Le critiche allo stop

Nonostante questo, secondo il deputato di Forza Italia Dario Bond, "con un eccezionale atteggiamento autolesionistico", il Pitesai – oltre allo stop alle 37 istanze appena citate – porterebbe inoltre "alla chiusura di ben 101 impianti sui 123 già produttivi o che potrebbero esserlo".

Per Bond inoltre, l'Italia "si prende il lusso, anzi il superlusso di rinunciare a gran parte delle proprie potenzialità di sfruttamento energetico, affidandosi solo alle importazioni di gas metano ad un costo decisamente esorbitante rispetto alla produzione nazionale". La stima fatta da Bond parla di un prezzo tra i 70 e i 100 euro al metro cubo delle importazioni, a fronte dei 5-7 euro della produzione nazionale. Una dichiarazione che sembra però non tenere conto del modo in cui si forma il prezzo del gas.

La situazione attuale del gas italiano

Di tutt'altro avviso in materia, oltre al Think tank Ecco, sono invece le associazioni ambientaliste. In un comunicato congiunto, Legambiente, Wwf Italia e Greenpeace Italia offrono una lettura ben diversa da quanto accaduto. "Le 37 istanze rigettate a fine marzo sono ‘solo' permessi di ricerca e non concessioni estrattive, pozzi o piattaforme", si legge. Nessuno dei titoli in questione, prosegue il comunicato, "al momento e nei prossimi anni produce o produrrebbe gas". Sarebbero dunque solo ipotesi, che impiegherebbero diversi anni al fine di essere verificate e poi eventualmente messe a regime produttivo, in aree peraltro giudicate non idonee dal Ministero secondo i criteri del Pitesai.

Le associazioni proseguono ampliando il ragionamento sulla politica energetica generale. "In Italia, dei 3,5 miliardi di metri cubi di gas estratti nel 2021 (1,9 miliardi a mare e 1,6 a terra), la stragrande maggioranza del gas estratto proviene da 11 concessioni di coltivazione a mare (su 43 titoli vigenti) e da 4 concessioni di coltivazione a terra (su 58 titoli presenti)", si legge.

Andando nel dettaglio, per le associazioni "si evince come il 77% del gas estratto a mare proviene da 11 concessioni, di cui 3 (di proprietà Eni) contribuiscono per circa il 35% e le restanti 8 concessioni per il restante 42%. Ancor più evidente la situazione sulla terraferma dove il 77% della produzione proviene da sole 4 concessioni di cui in particolare 2, ubicate in Basilicata, contribuiscono per il 70%".

Le contraddizioni del Pitesai

Vale a dire, spiegano le associazioni, che "la quasi totalità del gas estratto in Italia proviene solamente da 15 concessioni di coltivazione, mentre le restanti 86 concessioni contribuiscono ognuna per pochi decimi percentuali rispetto al totale del gas estratto". Di fatto, queste ultime 86 sarebbero dunque inutili o quasi ai fini della riduzione della dipendenza energetica del nostro Paese, mentre sono certamente dannose per l'ambiente a causa delle attività di estrazione. Da qui il senso della loro potenziale chiusura.

Le stesse associazioni criticano invece il Pitesai da un altro punto di vista. In particolare, nella parte che prevede la possibilità di estrarre gas anche in aree giudicate "non idonee", nel momento in cui siano stimate riserve per almeno 150 milioni di metri cubi di gas. "Se un’area è stata individuata come ‘non idonea' secondo criteri oggettivi da un punto di vista ambientale, economico e sociale, non si capisce perché possano diventare magicamente ‘compatibili‘ se c’è una parvenza misera di gas da sfruttare", si legge nel comunicato delle associazioni.

Insomma, mentre l'Ipcc avverte sulla necessità di ridurre rapidamente l'estrazione e il consumo di fonti fossili, al fine di ridurre le emissioni e avviare la transizione energetica, in Italia si discute ancora di trivellazioni e gas naturale. Sarebbe forse il caso di fare un passo avanti, abbandonando nuovi progetti legati alle fossili e mettendo la stessa attenzione e le stesse risorse sullo sviluppo delle rinnovabili.