Non stiamo abbandonando davvero i combustibili fossili, li stiamo solo nascondendo meglio

Secondo un rapporto dell’Environmental Defense Fund, tra il 2017 e il 2021 le grandi compagnie energetiche hanno ceduto circa 3mila giacimenti di gas e petrolio. Il problema è che li hanno venduti a società più piccole, che continuano a sfruttarli. Il risultato è che il livello di inquinamento rimane identico.
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Giulia Dallagiovanna 16 Maggio 2022

A parole, le grandi società energetiche hanno abbracciato la transizione ecologica e sono pronte a virare verso le fonti rinnovabili, abbandonando progressivamente i combustibili fossili. Nei fatti, stanno vendendo i loro giacimenti di petrolio e di gas a compagnie più piccole, che continuano a sfruttarli. Tirate le somme, il livello di inquinamento rimane identico a prima. Quando non peggiora, perché le aziende meno famose sono anche più libere di mettere in pratica le loro strategie economiche, lontane dai riflettori. Secondo un report dell'Environmental Defense Fund (EDF), tra il 2017 e il 2021 sono andati in porto 3mila accordi commerciali. Più del doppio ha coinvolto proprietà spostate da operatori con impegni emissioni-zero ad altri che non aderivano agli standard, rispetto al contrario. Un giro d'affari che, in totale, arriverà a superare i 100 miliardi di dollari.

Dunque non stiamo davvero lasciando da parte i combustibili fossili, li stiamo solo nascondendo meglio. Un'operazione che può mettere a repentaglio ogni tentativo di ridurre il nostro impatto sull'ambiente, rendendo vani gli impegni – già non vincolanti – che i governi hanno preso anche alla Cop26 di Glasgow. Ma soprattutto andando contro quanto l'ultimo rapporto dell'IPCC prescrive come unica possibilità per evitare conseguenze catastrofiche per la specie umana. "Si possono vendere i propri giacimenti a un'altra compagnia e formalmente ridurre le emissioni annuali, ma questo non ha alcun vero impatto positivo sul Pianeta se lo si fa senza tenere conto delle intenzioni dell'acquirente", ha commentato Andrew Baxter, che ha coordinato la ricerca dell'EDF.

Tra i maggiori compratori vengono indicate società di proprietà dei rispettivi Stati come la cinese CNOOC (coinvolta anche nella costruzione del più lungo oleodotto riscaldato al mondo), la Qatar Energy o l'indonesiana Pertamina. In realtà, però, in più di 6 casi su 10 le transazioni si muovono dal pubblico verso una costellazione di piccole compagnie private, rendendo le operazioni difficili da tracciare.

In 6 casi su 4, queste transazioni vanno dal pubblico a una costellazione di piccole compagnie private

Non solo, ma questa corsa alla compravendita sta anche ostacolando la corretta manutenzione delle infrastrutture utilizzate per estrarre petrolio e gas, nonché la dismissione in sicurezza di quelle abbandonate. Premure necessarie per limitare il rischio di fuoriuscite di sostanze tossiche e di ingenti emissioni di metano in atmosfera. Secondo l'Agenzia americana per la protezione dell'ambiente, ogni giacimento che non è stato chiuso in modo corretto può produrre una quantità di emissioni di gas climalterante pari a quelle di un'automobile a benzina che percorre tra i 27mila e gli 80mila chilometri.

Ma queste operazioni che si stanno svolgendo a livello globale chiamano in gioco un altro attore, ovvero le banche. Si torna a parlare dunque di un problema emerso anche in un rapporto della campagna ShareActions a febbraio: gli istituti di credito che avevano aderito alla Financial Alliance for Net Zero stanno in realtà supportando investimenti e transazioni a favore delle fonti fossili.

La soluzione potrebbe essere quella di coinvolgere nella stipula degli accordi parti terze, con il compito di far rispettare alcuni principi. Uno su tutti, l'obbligo per chi acquista di fissare un target di riduzione delle emissioni in linea con gli impegni internazionali sulla transizione energetica. Altrimenti non staremo abbandonando i combustibili fossili, gli staremo solo cambiando proprietario.